LA FIABESCA FINE DEL MONDO DI VANCE


di Claudio Cordella

“… il sole per un attimo si oscurò, coprendosi di un velo sottilissimo, simile al muco dall’occhio di un vecchio. La luce del sole ebbe un guizzo, baluginò e poi tornò a splendere…”. JACK VANCE, Cugel’s Saga, 1985; tr. it. La saga di Cugel, Fanucci Editore, Roma 2012, p. 84.

A differenza di una certa credenza comune, tipica sopratutto dei giornalisti di “terza pagina”, i quali tendono a etichettare in maniera univoca i prodotti culturali, in realtà i confini dei generi letterari sono assai porosi e impalpabili. La cosiddetta fantascienza (science-fiction o sci-fi che dir si voglia) non è affatto separata da un muro invalicabile dal fantasy. Gli esempi di ibridazione tra queste due declinazioni del fantastico, a cui talvolta si da il nome di science-fantasy, sono in genere assai fecondi; sopratutto quando l’autore (o l’autrice) riesce a mescolare tra di loro le caratteristiche migliori di questi due grandi ambiti della “letteratura popolare”. A questo proposito, sono assai famosi i romanzi della Marion Zimmer Bradley (1930 – 1999) ambientati sul pianeta Darkover, in cui dei coloni terrestri si trovano isolati per diversi secoli su di un mondo lontano e adattandosi alla loro nuova patria creano una società feudale pseudo-medievale. In ambito cinematografico, l’esempio supremo a tal proposito rimane l’esalogia di Star Wars di George Lucas, saga che nei prossimi anni, grazie all’acquisto dei diritti da parte del colosso della Disney, dovrebbe arricchirsi di nuovi capitoli. Al contrario Krull, film di Peter Yates del 1983, viene ricordato ancor oggi negli annali della storia del cinema come un fiasco colossale; non essendo riuscito nell’impresa di coniugare in maniera soddisfacente le ambientazioni tipiche del fantasy con la space-opera.

Un riscontro decisamente migliore, in ambito fumettistico, lo ha ricevuto nel corso degli anni il monumentale manga, tutt’oggi non ancora terminato, The Five Star Stories del giapponese Mamuro Nagano (01). Quest’ultimo ha creato un autentico capolavoro della letteratura disegnata che, per sua stessa ammissione, è al tempo stesso un “minestrone” di sci-fi e fantasy; qui robot giganti, creature artificiali e viaggi interstellari vanno a braccetto con draghi, maghi e divinità onnipotenti. Tra l’altro di recente, nel mese di novembre, è uscito nelle sale cinematografiche del Giappone il kolossal d’animazione Gothicmade; frutto di ben cinque anni di lavoro, vede Nagano nel ruolo di regista, sceneggiatore e produttore (oltre che creatore di personaggi e del mecha). In Gothicmade il nostro offre ai suo fans il medesimo cocktail tra i generi che avevamo già avuto modo di osservare nelle tavole di The Five Star Stories.

 

In ambito letterario però una delle voci più singolari della science-fantasy è senz’altro il californiano Jack Vance, pseudonimo di John Holbrook Vance, talentuoso scrittore dalla carriera pluridecennale. Nato nel lontano 1916, Vance ha dato alle stampe nel corso degli anni diversi cicli a carattere avventuroso in cui è riuscito abilmente, dando prova di un estro e di un’immaginazione fuori dal comune, a tenere i piedi in due staffe: quella della fantascienza e quella del fantastico più genuino. Sin dal suo romanzo d’esordio del 1952 Big Planet (L’odissea di Glystra), il nostro inizia a dar prova delle sue qualità; tra l’altro quest’opera in particolare ebbe nel ’75 un seguito affascinante non privo di elementi fanta-western: Showboat World (Il mondo degli Showboat). Ambientato nello stesso Big Planet (Grande Pianeta) de L’odissea di Glystra, è incentrato sulle troupe di attori e saltimbanchi che viaggiano lungo i fiumi di questo mondo gigantesco; percorrendoli in lungo e in largo a bordo di battelli che ricordano quelli del Mississipi dell’Ottocento. La fantasia di Vance pare essere rivolta a un estetismo dal sapore barocco, non disgiunta da un certo interesse per l’antropologia. Nel suo caso però, a differenza di altri autori come la sofisticata Ursula K. Le Guin, non diventa mai un leitmotiv predominante. Piuttosto le nozioni di etica, estetica e di antropologia culturale di Vance assumono piuttosto l’aspetto di ingredienti con cui egli condisce le sue scatenate avventure ai confini dello spazio-tempo; apparentandolo dunque per molti aspetti a un altro grande della sci-fi statunitense: Philip José Farmer (1918 – 2009).

Farmer, durante tutta la sua carriera di scrittore, si dimostrò assai insofferente alle etichette e agli angusti limiti di un genere ben determinato proprio come Vance. Quest’ultimo del resto conquistò negli anni ’60 i due maggiori premi della fantascienza con due romanzi brevi assai peculiari: The Dragon Masters (Uomini e draghi) del ’63 con cui vinse il Premio Nebula e The Last Castle (L’ultimo castello) del ’66 che si aggiudicò un Nebula e uno Hugo. In Uomini e draghi l’arcaica società feudale del pianeta Aerlith deve affrontare l’invasione di alieni simili ai draghi della mitologia; l’aspetto bizzarro della narrazione è dato dagli eserciti in campo. Se gli umani hanno le loro creature draghiformi domestiche al loro servizio, gli invasori rettiliani invece hanno creato degli appositi servi antropomorfi; una sorta di “corsa agli armamenti” speculare. L’idea di coniugare i draghi del fantasy con la space-opera verrà ripresa in seguito dalla scrittrice Anne McCaffrey (1926 – 2011), autrice dei romanzi e dei racconti della serie Dragonriders of Pern (Dragonieri di Pern).

Assai diverso è invece L’ultimo castello, ambientato su una remota Terra di un remoto futuro; uno scenario che il nostro riesce a rendere al tempo stesso affascinante, desolato, avventuroso e velato di melanconia. La popolazione terrestre è divisa tra i nomadi, diretti discendenti degli abitanti originari, e alcuni nobili, i quali invece provengono dalle colonie che l’umanità ha creato nel cosmo. I secondi disprezzano i primi e vivono all’interno di grandi castelli, occupati da oziose riflessioni filosofiche, estetismi fini a sé stessi e da altri passatempi per ricchi aristocratici annoiati. Tutto viene però sconvolto dalla ribellione di alcuni servi alieni, i quali erano stati portati sulla Terra in qualità di manodopera per lavorare nei castelli. L’ultimo castello è permeato da quella atmosfera da “fine dei tempi” che ritroviamo anche nelle storie del ciclo noto come “The Dying Earth” (“La Terra Morente”), apparse sin dagli inizi della carriera del nostro. In effetti, seppure L’odissea di Glystra rimane la sua opera romanzesca d’esordio, la pubblicazione in volume delle prime novelle appartenenti a “La Terra Morente”, è antecedente di due anni all’uscita di quest’ultima. Anzi, pur essendo assai numerosi i cicli avventurosi science-fantasy a cui il nostro mise mano, come la pentalogia dei Principi Demoni, oppure quelli ambientati sui pianeti di Tschai o di Durdane, quello de “La Terra Morente” rimane senz’altro uno dei più affascinanti. Vance stesso, durante la sua vita, riprese in mano e ampliò più di una volta queste sue fiabe crepuscolari, dal forte sapore picaresco, ambientate su di un mondo vicino al suo termine vitale. Per rendersi conto del suo fascino, tutt’ora immutato, si pensi solo che il noto scrittore fantasy George R. R. Martin, in collaborazione con Gardner Dozois, diede alle stampe nel 2009 la corposa antologia Songs of the Dying Earth: Stories in Honor of Jack Vance (Storie dal crepuscolo di un mondo), a cui parteciparono diversi nomi di spicco del fantastico contemporaneo.

Prima di Vance un altro bizzarro scrittore californiano, Clark Ashton Smith (1893 – 1961), aveva deciso di ambientare delle storie fantasy, dal sapore fortemente orientalizzante e non disgiunte da un certo erotismo, su di un continente immaginario: Zothique. Una terra illuminata da un sole rosso, prossima alla morte, in cui non mancano né meraviglie, né orrori, popolata com’è da negromanti, demoni, lamie e altre creature mostruose. Come quest’ultimo, Vance offrì ai suoi lettori l’immagine di un mondo decadente, moribondo e ritornato, in prossimità della sua fine, a un’era in cui le magie e i prodigi possono ancora esistere. L’idea di una Terra futura illuminata da un sole rossastro è solo apparentemente scientifica, si tratta in realtà di un’eresia astronomica bella e buona; quando il Sole si muterà in gigante rossa il nostro pianeta, assieme a buona parte del Sistema solare, finirà inghiottito da questo mostro dei cieli in un sol boccone. Del resto pensare che fra milioni di anni la nostra specie possa essere tale e quale a oggi rimane, dal punto di vista della biologia, assai poco credibile. Ma Vance, esattamente come Smith prima di lui, volle solo offrire ai suoi lettori uno sfondo affascinante che attirasse la loro attenzione e solleticare la loro immaginazione, ben al di là della plausibilità dell’universo proposto. Lo stesso Robert Silverberg, una delle colonne della sci-fi statunitense e ammiratore di questo ciclo “vanciano”, concludeva che quest’ultimo era più vicino al fantastico in senso stretto che alla fantascienza. Silverberg ne riconobbe la potenza evocativa e immaginativa, paragonando però la realtà de ”La Terra Morente“ a un’Europa tardo medievale, riletta in chiave fiabesca, piuttosto che a una canonica ambientazione fantascientifica.

Dopo di Vance sarà Gene Wolfe a riportare alla grande la science-fantasy con la sua saga The Book of the New Sun (Il Libro del Nuovo Sole), quest’ultima pur se ispirata all’opera vanciana, se ne differenzia sotto molti aspetti (02). In Italia entrambi i cicli, dopo diversi anni di assenza dalle librerie nostrane, sono stati resi nuovamente disponibili grazie alle ristampe della casa editrice Fanucci. Laddove però Wolfe è drammatico e crudo, Vance al contrario mostra di privilegiare un tipo di narrazione picaresca, quasi boccaccesca, non disgiunta da una vivace vena satirica. In effetti i personaggi edonistici, furbeschi e avventurosi de “La Terra Morente” sarebbero senz’altro piaciuti a Giovanni Boccaccio (1313 – 1375), uno dei padri della nostra letteratura. Un’altra particolarità delle opere di questa serie è la loro natura frammentaria, i quattro libri che compongono La Terra Morente sono delle raccolte antologiche che tutt’al più possono assumere la forma di romanzi episodici: The Dying Earth (La Terra Morente) del 1950, The Eyes of the Overworld (Le avventure di Cugel l’Astuto) del 1966, Cugel’s Saga (La saga di Cugel) del 1983 e infine Rhialto the Marvellous (Rhialto il Meraviglioso) del 1984.

Il primo volume, rinominato in un’edizione statunitense del 2005 Mazirian the Magician (03), comprende i racconti Turjan of Miir, Mazirian the Magician,T’sais, Liane the Wayfarer, Ulan Dhor e Guyal of Sfere; nonostante alcuni personaggi facciano la loro apparizione in più di una novella, come il mago Mazirian, la donna artificiale T’sain oppure il cinico criminale Liane the Wayfarer (Liane il Viaggiatore), esse narrano delle vicende sostanzialmente slegate tra loro. Gli elementi fantascientifici, a parte il riferimento d’obbligo alla prossima morte del sole, che incombe perennemente sulla vita di tutti i personaggi presenti, sono qui quasi del tutti assenti. Questi ultimi si riaffacciano solo nelle ultime due avventure qui incluse, laddove appaiono dapprima il nobile Ulan Dhor e infine il curioso Guyal of Sfere (Guyal di Sfere). In entrambi i casi vengono introdotti nella narrazione dei manufatti tecnologici e in particolare, nel racconto che vede Guyal come protagonista, si fa cenno alla possibilità che l’umanità, per scampare l’estinzione, debba riprendere quella via per le stelle che aveva già percorso in passato.

Nel secondo volume facciamo invece la conoscenza di uno dei personaggi più simpatici della produzione “vanciana”: Cugel the Clever (Cugel l’Astuto). In questo caso sono state riunite delle novelle, apparse tra il ’65 e il ’66 sulla rivista The Magazine of Fantasy & Science Fiction (conosciuta anche come Fantasy & Science Fiction, o più semplicemente F&SF), le quali hanno tutte come protagonista una sorta di briccone matricolato, Cugel appunto. Le peripezie del nostro non si fermano però qui, Vance continuò a raccontarne le imprese in altri racconti che costituiscono il terzo volume della serie. L’ultimo tomo invece è focalizzato sulle imprese di un mago (04), noto con il nome altisonante di Rhialto the Marvellous (Rhialto il Meraviglioso). Rhialto è un personaggio “vanciano” abbastanza tipico, un giovane uomo di bell’aspetto, colto e raffinato che piace alle donne; una sorta di affascinante playboy o di dandy, capace però di essere risoluto, deciso e intraprendente quando serve.

Al contrario Cugel è un autentico antieroe, un mascalzone matricolato la cui sorte è sempre caratterizzata da un continuo succedersi di alti e bassi. Lo incontriamo per la prima volta mentre svolge l’attività di venditore di amuleti, delle patacche ricavate da una bara di piombo ma spacciate al popolino come portentosi. Egli però subito dopo ha la malaugurata idea di mettersi contro il potente Iucounu the Laughing Magician (Iucounu il Mago Beffardo). È il mercante Fianosther a suggerigli di andare a rubare alla casa del mago, il quale deve assentarsi dalla sua abitazione per comprare un volume dal commerciante. Fianosther, assicura a Cugel che riuscirà a tener impegnato Iucounu in una lunga contrattazione e che lui non correrà alcun rischio nel tentare il furto.

Effettivamente una delle caratteristiche peculiari degli abitanti della realtà de “La Terra Morente” è quella che generalmente tutti, maschi e femmine, giovani e vecchi, tendono sempre e comunque a tirarsi dei tiri mancini gli uni con gli altri. Questo modo di agire, edonistico ed egoista, viene solitamente motivato con la medesima scusa: il Sole sta per spegnersi, presto la vita sulla Terra scomparirà e quindi è meglio afferrare i beni terreni e i piaceri senza troppi indugi o scrupoli morali. Purtroppo per Cugel un incantesimo protettivo, appositamente creato per far perdere l’orientamento agli intrusi, lo confonde e così lo sfortunato ladro finisce con l’essere sorpreso dal padrone di casa. Cugel, dopo aver detto qualche patetica bugia, spacciandosi con la sua tipica sfacciataggine per un mercante perdutosi e venuto dal mago per proporgli qualche affare, deve piegarsi davanti ai poteri di Iucounu. Costui affida al nostro una missione: recuperare una particolare lente (“Eye of the Overworld”), proveniente dalla dimensione del Sottomondo La-Er, impiegata a suo tempo da una delle creature che vi abitavano per poter vedere. Senza tali strumenti tali esseri, invocati dal demone Unda-Hrada, sarebbero stati come ciechi; perciò quando giunsero sulla Terra dovettero ricorrere a delle apposite lenti. Questi oggetti in seguito vennero abbandonati nel momento in cui gli abitanti del La-Er, dato che il conflitto a cui avevano preso parte volgeva al peggio per loro, decisero di far ritorno nella loro patria. Iucounu, che aveva già trovato la prima di queste lenti color viola, ordina a Cugel di trovargli la seconda. Per meglio controllare il poveretto, gli innesta nel corpo Firx, un alieno proveniente dalla stella Archenar. Questa creatura, separata a forza dalla compagna a cui vuole ricongiungersi, è simile a un granchio e ha il compito di controllare l’operato di Cugel; facendolo soffrire se quest’ultimo osa deviare dalla missione che gli è stata assegnata. Del resto il poveraccio ha poca scelta, opporsi al volere dello stregone equivarrebbe per lui a morte certa. Iucounu, facendo ricorso ai suoi immensi poteri, trasferisce d’incanto il nostro sventurato ladruncolo nella lontanissima Terra di Cuntz. Con le sue sole forze il nostro dovrà recuperare l’oggetto bramato dal mago e far ritorno nella sua patria, la Terra di Almery.

Hanno qui inizio i vagabondaggi di Cugel, il quale riuscirà, al termine de Le avventure di Cugel l’Astuto, a vanificare tutti i suoi sforzi e a ritrovarsi sulla medesima spiaggia desolata su cui era stato gettato all’inizio del romanzo. Effettivamente, una delle caratteristiche principali di Cugel è quella di riuscire a perdere tutto quello che è riuscito a conquistare, con coraggio, astuzia e faccia tosta, sino a pochi istanti prima. Pur se libero dalla sgradevole compagnia dell’extraterrestre Firz, una volta ritornato sulla spiaggia desolata bagnata dall’Oceano dei Sospiri, nella Terra di Cutz, il nostro novello Ulisse ne La saga di Cugel dovrà intraprendere un difficile secondo viaggio di ritorno. Schiavizzato dapprima con l’inganno dal mellifluo quanto perfido Maestro Twango, il quale vive facendo raccogliere nel fango ad altri le scaglie del demone Sadlark, riesce a ribaltare la situazione ma solo per subire poco dopo l’ennesimo rovescio della sua sorte.

Il che è proprio un refrain nei vagabondaggi di Cugel, il quale sembra possedere una buona dose di sfortuna. Eppure al tempo stesso il nostro, quando si tratta di mettere in salvo la pellaccia difronte a pericoli mortali, riesce sempre a trionfare sui suoi avversari. Ad esempio, egli compie parte del suo nuovo viaggio assieme alle Diciasette Vergini di Syrunatis, delle giovani che devono partecipare al Grande Corteo della città di Lumarth. Un privilegio per cui Cugel ha mentito, ingannato e truffato ma che alla fine ha rischiato di costargli caro. A Lumarth, una volta arrivata a destinazione la carovana a cui si è aggregato, gli abitanti non tardano ad accorgersi che le vergini che son state loro consegnate sono solo due e non diciassette come si aspettavano. Naturalmente il responsabile, che ha voluto impiegare sulle fanciulle le sue abilità di seduttore, non è altri che Cugel. I cittadini di Lumarth, descritti da Vance come degli ipocriti che mostrano una mitezza e una mansuetudine che è solo di facciata, hanno conservato dei templi a cupola in cui vivono tutt’ora dei demoni. Per punizione questo Casanova viene gettato tra le fauci del demone Phampoun; una sostanziale condanna a morte che viene mascherata come missione caritatevole. Teoricamente il nostro, secondo i suoi aguzzini, dovrebbe esser capace di redimere questa demoniaca creatura. Solo in virtù della sua intelligenza Cugel, che è stato gettato nei sotterranei del tempio dove si trova Phampoun, riesce a ritornare in superficie sano e salvo.

Il che equivale a dire che Vance trova giusto che si impieghi la propria astuzia per garantirsi la sopravvivenza, scampando in tal modo pericoli mortali, ma non che essa venga usata per far danno al prossimo o per il proprio tornaconto personale. Scampato al demone, lasciato libero di scorrazzare per l’abitato, Cugel si ritrova poco dopo su di un molo a faccia a faccia con Haruska; cioè l’uomo che aveva fatto ubriacare e gettato su di una barca a cui aveva mollato gli ormeggi. Una serie di azioni sicuramente discutibili, compiute unicamente per poter prendere il posto del suo rivale nel viaggio per Lumarth; inutile dire che anche in questo caso il nostro deve mettere le ali ai piedi! Insomma, le mascalzonate di Cugel finiscono sempre per ritorcerglisi contro mentre esclusivamente contro suoi veri nemici, crudeli e privi di qualsivoglia senso della pietà, egli riesce a primeggiare. Persino Iucounu, dopo innumerevoli fatiche, viene sconfitto e debellato una volta per tutte; e questo avviene proprio grazie a una particolare scaglia del demone Sadlark. I cui resti venivano raccolti dai lavoranti del Maestro Twango e spediti grazie a intermediari proprio all’odiato mago di Almery. La disonestà di Cugel, che ha tenuto quel pezzo pregiato per sé, noto come Sprizzaluce Spezzacielo Pettorale, questa volta non solo non viene punita dal destino ma al contrario viene premiata. La reliquia che il nostro ha gelosamente custodito si dimostrerà di importanza fondamentale, svolgendo un ruolo chiave nello scontro finale con il suo più grande avversario. In conclusione, le avventure che hanno per protagonista Cugel sono tra le più rappresentative di tutta “La Terra Morente”, mentre costui è un baldanzoso anti-eroe, un truffatore che sprizza simpatia da tutti i pori. Un gaglioffo baldanzoso, capace di rimanere nel cuore dei lettori allo stesso modo dei personaggi del film The Sting (La stangata), la leggendaria pellicola con Paul Newman (1925 – 2008) e Robert Redford.

Note

(01) Chi scrive, ha già avuto modo di far riferimento all’opera di Nagano su questo magazine: Ricreare il passato, immaginare il futuro. Terza parte: Bradbury, Simak e la space-opera recente (http://www.fantasyplanet.it/2011/12/21/ricreare-il-passato-immaginare-il-futuro-terza-parte-bradbury-simak-e-la-space-opera-recente/) oppure: L’evoluzione della psicologia dei protagonisti degli anime robotici – cap 4(http://www.fantasyplanet.it/2012/05/18/levoluzione-della-psicologia-dei-protagonisti-degli-anime-robotici-cap-4/).

(02) Su Fantasy Planet ho già avuto modo di parlare di Wolfe, dei suoi rapporti con la narrativa di Vance e delle suggestioni delle vicende dark-fantasy di Zothique: Gene Wolfe e i futuri fantasy (http://www.fantasyplanet.it/2012/05/30/gene-wolfe-e-i-futuri-fantasy/).

(03) Si tratta della The Vance Integral Edition, un’imponente raccolta di 44 volumi (più uno speciale quarantacinquesimo volume) che comprende l’opera omnia di Jack Vance. In tal caso ai primi tre volumi de “La Terra Morente” sono stati dati dei titoli nuovi: il primo così è diventato Mazirian the Magician, il secondo Cugel the Clever e infine il terzo Cugel: The Skybreak Spatterlight. Inoltre questi ultimi due, accomunati dalla presenza di Cugel come protagonista, sono stati raccolti nel 2007 in un volume doppio: The Laughing Magician.

(04) Il volume Rhialto the Marvellous (Rhialto il Meraviglioso) è composto da tre racconti (The Murthe, Fader’s Waft e Morreion), più un quarto (Foreword, posto all’inizio della raccolta) che era già apparso nel primo volume dell’antologia di heroic-fantasy Flashing Swords!, curata da Lin Carter (1930 – 1988).


 


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