L’EVOLUZIONE DELLA PSICOLOGIA DEI PROTAGONISTI DEGLI ANIME ROBOTICI – Cap 4: Dagli anni ’90 di Evangelion a oggi


A cura di Claudio Cordella

Non sono né Gundam, né Macross, o tanto meno Patlabor, le star indiscusse degli anni ’90, esse appaiono piuttosto dei riveriti classici costretti a dover competere con un nuovo fenomeno mediatico: Shin seiki Evangerion  (Neon Genesis Evangelion), un anime sceneggiato e diretto dal talentuoso Hideaki Anno. Costui si era già fatto notare nel 1988 con un OAV prodotto dallo studio d’animazione Gainax: Toppu wo nerae! (Punta al Top! GunBuster), sei episodi che non esitano a riunire commedia romantica, space-opera e anime robot, qui presente in tutte le sue sfaccettature. Anno da vita un opera citazionista, ideata per l’appassionato di fantascienza in grado di cogliere riferimenti e allusioni, in cui i sentimenti delle protagoniste hanno uno spazio  importante esattamente come le battaglie galattiche. Robot onnipotenti, superiori persino ai vecchi giganti meccanici di Gō Nagai, irriproducibili come pezzi unici di artigianato, vengono affiancati da altri esseri robotici; questi ultimi prodotti in serie per l’addestramento oppure per la fanteria. In seguito, molte delle intuizioni ravvisabili in Gunbuster saranno riversate da Anno in Evangelion; anime di 26 episodi trasmesso per la prima volta sul suolo giapponese tra il ’95 e il ’96. Evangelion, ancor più che Gunbuster, è infarcito di citazioni, in questo caso prese a man bassa dagli ambiti culturali più disparati come la poesia (ad esempio, Robert Browning), la filosofia, il misticismo, lo scrittore Ryū Murakami, senza dimenticare i “robottoni” anni ’70, le serie televisive dei britannici Jerry e Sylvia Anderson, il cinema di Stanley Kubrick, il cyberpunk e la sci-fi catastrofista.

Illustrazione ispirata alla scena conclusiva della seconda pellicola della nuova serie cinematografica Rebuild of Evangelion. Copyright degli aventi diritto.

Una delle caratteristiche principali di Evangelion, stranissimo capolavoro-minestrone di difficile decifrazione, è proprio l’accuratezza nella ricostruzione della psicologia dei protagonisti della serie. L’adolescente Shinji Ikari, chiamato a diventare il pilota dell’Unità Eva-01 Test-Type, è descritto nella maniera più verosimile possibile sia nei suoi turbamenti amorosi, sia nelle contraddizioni del suo animo, capace di gesti di chiusura e di vigliaccheria nei confronti del prossimo, così come di generosità e di coraggio. Tra l’altro Shinji, come diversi altri personaggi degli anime robotici del decennio precedente, si trova a vivere una situazione famigliare non semplice. La madre Yui è scomparsa mentre il padre Gendō non solo non sembra affatto intenzionato a occuparsi del suo unico figlio ma è un ambizioso, un cinico e un amorale. Shinji è uno dei ragazzi selezionati come piloti (Children) della Macchina Multifunzione Evangelion, nello specifico dell’Unità Eva-01, e Anno non solo ci sottolinea le differenze comportamentali che sussistono tra costui e le sue colleghe, la misteriosa Rei Ayanami e l’aggressiva Asuka Sōryū Langley, ma anche con gli adulti dell’Agenzia Speciale Nerv da cui egli dipende. Gendō, Comandate Supremo di questa misteriosa organizzazione, dopo aver allontanato per anni il figlio e averlo affidato a un tutore, lo richiama a sé per usarlo come una sua personale pedina nella lotta contro delle creature chiamate Angeli. L’uomo però non è affatto intenzionato a vivere con Shinji, né a prendersi in qualsiasi modo cura del ragazzo; è allora la bella trentenne Misato Katsuragi, Direttore Esecutivo della Nerv, ad accollarsi la duplice responsabilità non solo di guidare Shinji (e gli altri Children) in battaglia ma anche di diventare la tutrice legale del ragazzo. Misato ha alle spalle un passato non semplice, comprendente un difficile rapporto con il padre, morto da tempo ma ancora presente nei suoi pensieri, oltre a una relazione finita male con l’ambiguo Ryōji Kaji.

Rei Ayanami e la sua Unità Eva - 00, illustrazione di Yoshiyuki Sadamoto, character designer della serie Evangelion. Copyright degli aventi diritto.

Questa giovane donna si ritrova a essere per Shinji sia una madre putativa, sia il suo diretto superiore incaricarlo di guidarlo durante quei combattimenti che gli arrecano sempre un forte dolore psicofisico. Da quel che si può intuire le varie Unità Eva non vengono semplicemente assemblate, esse sono più simili a un organismo cibernetico, il loro corpo di base è organico ed è creato per clonazione. Solo in seguito a questo tessuto vivente viene aggiunta un’apposita armatura e i dispositivi che permettono di inserire, alla base del collo dell’EVA, la capsula per il pilota chiamata entry plugg. Quest’ultima, riempita di un liquido speciale detto LCL, permette a chi vi è immerso di respirare e di interfacciarsi con l’Unità assegnatagli. In buona sostanza da questa posizione, semplicemente pensando, il Children può muovere a piacere il suo “robot”. L’inconveniente di un simile sistema, che collega le fibre nervose di una macchina da guerra vivente con quelle di chi è destinato a guidarla, è il concreto rischio per il pilota di avvertire i colpi ricevuti dall’EVA come dolore fisico. Ecco allora che le battaglie degli EVA, ancor di più che quelle tra Mobile Suit, diventano un evento traumatico che colpisce ogni volta sgradevolmente il povero Shinji, segnandoli il corpo e la mente. Durante il suo primo scontro con una delle creature chiamate Angelo, l’essere stringe il braccio sinistro dell’EVA-01 sino a romperlo, di conseguenza il ragazzo prova la sensazione che sia il suo stesso arto ad essere strappato. Inoltre gli EVA, come abbiamo già avuto modo di vedere non sono dei robot, o delle semplici armature cibernetiche, ma sono degli autentici mostri. Un EVA può sbavare, ringhiare, ferirsi e sanguinare arrivando persino a perdere il controllo, agendo sotto la spinta di una furia incontenibile ed entrando in tal caso in uno stato chiamato Berserk. Anzi, Shinji riesce a sopravvivere al suo primo scontro solo perché, attanagliato dalla paura e dal dolore, riesce a mandare in Berserk l’Unità – 01. La ferocia del “robot” in tale condizione è tale che esso può agevolmente avere la meglio sul suo avversario. Come si può ben vedere i combattimenti delle Unità EVA sono senz’altro brutali, arrivando ad avere autentici toni da film horror splatter. Il carico psicologico che grava su Shinji e sugli altri Children, tutti dei ragazzini di 14 anni, è ancor più pesante se si pensa che essi vivono in una Terra post-apocalittica, devastata da un evento di grandi proporzioni, il Second Impact.

Rei, Shinji e Misato. Illustrazione di Yoshiyuki Sadamoto. Copyright degli aventi diritto.

Rei, Shinji e Misato. Illustrazione di Yoshiyuki Sadamoto. Copyright degli aventi diritto.

Quest’ultimo, come si intuisce nel corso dell’anime, è stato causato dagli esperimenti effettuati da un team di scienziati sull’Angelo Adam, un’entità umanoide rinvenuta in Antartide. L’essere però a un certo punto ha spalancato le sue ali di luce, talmente grandi da oltrepassare l’atmosfera terrestre e sbucare nello spazio, provocando un disastro senza precedenti. Il potere liberato da Adam ha sciolto in pochi attimi i ghiacci del Polo Sud, innalzando così il livello degli oceani e mutando il clima a livello globale. In realtà, tutti gli EVA non sono altro che cloni dell’Angelo Adam, solo l’Unità – 01, a differenza di tutte le altre, è una copia di Lilith; quest’ultima creatura giace nascosta agli occhi del mondo, immobilizzata a crocefissa, in appositi sotterranei. Il compito dei Children non è tanto quello di proteggere le strutture dell’avveniristica Neo-Tokyo 3, la città-fortezza che ospita il quartier generale della Nerv, ma impedire che un Angelo raggiunga Lilith. Sino al terzultimo episodio, quando viene ventilata l’ipotesi che si tratti di una menzogna, viene considerata conoscenza comune che un incontro tra Lilith e un Angelo scatenerebbe il Third Impact, con la conseguente scomparsa del genere umano. Penetrare il misticismo fanta-biologico di Evangelion, a cui abbiamo solo accennato, non è però il nostro scopo primario. Quel che a noi interessa è poter notare come l’anime di Anno sia incentrato su dei ragazzini, realisticamente descritti come tali, che portano su di loro il peso del mondo intero, costretti a impegnarsi in scontri armati che minano alle fondamenta la loro salute psicofisica. Shinji, analogamente all’Amuro di Gundam, arriverà a disertare, per poi chiedere ufficialmente di non voler più pilotare un EVA. Egli ritornerà di propria iniziativa a farlo solo nel corso di una situazione di estremo pericolo, quando un Angelo avrà già fatto irruzione nel Central Dogma, l’edificio in cui ha sede il quartier generale della Nerv. Invece Asuka, perseguitata dal ricordo della madre, impazzita e morta suicida dopo un’operazione di collaudo dell’Unità EVA-02, ossessionata dal bisogno di primeggiare e di essere al centro dell’attenzione, finirà in coma dopo una fuga autodistruttiva. A conti fatti Evangelion è dunque la perfetta unione dello psicodramma con il genere robotico. Anzi, a voler guardar bene, la sede della Nerv sembra più di un centro di igiene mentale che un baluardo a difesa dell’umanità. Le stesse pulsioni adolescenziali di Shinji, incerto su quale sia la sua sessualità, attirato ora dalla misteriosa Rei Ayanami, ora dall’espansivo e amichevole Kaworu Nagisa, in realtà un Angelo, vengono descritte con grande attenzione, e in genere con garbo. Fa eccezione in questo il film del 1997 Shin seiki Evangerion Gekijō-ban: THE END OF EVANGELION Air/Magokoro o, kimi ni (The End of Evangelion), proseguo cinematografico dell’anime televisivo con ambizioni da kolossal alla Kubrick; eccessivo nell’incomprensibilità così come nella violenza, raggiunge livelli di morbosità da voltastomaco.  Complessivamente sia i pregi che i difetti della serie televisiva di Evangelion, a cui hanno fatto seguito diverse opere cinematografiche, e non solo il sopracitato The End of Evangelion, sono molteplici. In particolar modo gli elementi di oscurità presenti nella trama, come la vera natura degli Angeli o della laconica Rei, apparentemente priva di emozioni, oppure la stesso destino della madre di Shinji, molto probabilmente assorbita dall’Unità-01, per non parlare dell’intero quadro fanta-religioso e fanta-biologico che fa da cornice a questo anime, non mancano di sicuro. Eppure, nonostante essa sia una serie criptica, che mette lo spettatore nella condizione solo di ipotizzare il significato di ciò che sta guardando, Evangelion è la serie di rottura degli anime robotici degli anni ’90. Anno, come prima di lui Gō Nagai e Tomino, ha saputo rinnovare da solo un intero genere dell’animazione. Il successo di Evangelion, parimenti a quello di Gundam, è stato fenomenale ma arrivando nell’era di Internet e del mercato globale ha saputo sin da subito scavalcare i confini nazionali nipponici.

Illustrazione dedicata a Tengen Toppa Gurren Lagann, copyright degli aventi diritto.

Le storie di Shinji e compagnia, così come il relativo merchandising, hanno spopolato a livello mondiale. Sarebbe senz’altro ingeneroso affermare che il Giappone non abbia creato niente di paragonabile a Evangelion negli ultimi 17 anni, eppure non si sono ancora visti anime robotici capaci di portare ulteriormente avanti una rivoluzione dei paradigmi narrativi. Le produzioni successive si sono caratterizzate o dalla semplice emulazione, offrendo ai telespettatori dei cloni più o meno riusciti, come RahXephon di Yutaka Izubuchi del 2002, oppure a un ritorno alle tradizioni degli anni ’70. Infatti mentre nuovi anime, legati ai franchising affermati di Gundam e Macross, vengono continuamente proposti al pubblico, al tempo stesso nelle terre del Sol Levante si fa avanti una vera tendenza “vintage”. Una nuova animazione, più ricca di dettagli e fluida nella realizzazione dei movimenti, resa ancor più tridimensionale dal massiccio uso della grafica computerizzata, consente di realizzare ciò che gli animatori degli anni ’70 – ’80 non potevano nemmeno sognarsi di poter fare. Da qui il desiderio di raccontare storie analoghe a quelle dei classici di un tempo, impiegando le risorse della moderna tecnologia digitale. Troviamo lo stesso Kawamori, già regista di Macross, tra gli alfieri di questo revival d’altri tempi con il suo Sōsei no Akuerion (Aquarion); animazioni e musiche seguono gli elevati standard di qualità attuali mentre la trama pare un ritorno alle miscellanee di “super-robot” e “drammoni” già viste in Daltanius e Vultus V.  Persino la Gainax si lancia nella mischia con Tengen toppa Guren Ragan (Sfondamento dei cieli Gurren Lagann), trasmesso per la prima volta da TV Tokyo nel 2007, è un ritorno di questo studio di animazione alle atmosfera di un suo vecchio successo: Gunbuster. Gli ingredienti praticamente gli stessi di quell’indimenticabile OAV degli anni ’80: robot onnipotenti e minacce inconcepibili, space-opera e storie d’amore, citazioni della sci-fi orientale e occidentale. Gurren Lagann, diretto da Hiroyuki Imaishi, ci pare che sia caratterizzato da due elementi in particolare: 1) un inizio minimalista, preludio a eventi che diventano via, via più grandiosi assumendo alla fine una portata cosmica; 2) personaggi e mezzi-bellici dall’aspetto caricaturale, contribuendo in tal modo a mantenere la serie in bilico tra commedia e tragedia. Effettivamente Gunbuster, con i suoi toni da storia scolastica che poi sfociano in conflitti di portata galattica, è senz’altro l’anime targato Gainax che più si avvicina a Gurren Lagann. In quest’ultimo casi il giovane protagonista, Simon, intraprende il lungo e difficile cammino che lo porterà a diventare un eroe. Egli affronterà lutti e sofferenze, pericoli e avversari di ogni tipo, confrontandosi dapprima con gli uomini-bestia agli ordini del misterioso Lord Genome, il Re Spirale, e in seguito con gli alieni Anti-Spiral, riuscendo sempre e comunque a trionfare nonostante le difficoltà. L’umanità di un lontanissimo futuro, costretta a vivere in miseria in cupe città sotterranee, potrà alla fine dirsi libera solo grazie al coraggio e alla tenacia di Simon e dei suoi amici, i membri della Brigata Dai-Gurren.

Il cerchio può dirsi completato, dal punto di vista psicologico Simon dimostra di essere lontano anni-luce dal depresso Shinji di Evangelion, ben più simile ai vitali eroi “nagaiani”; come parimenti in Gurren Lagann si è lontanissimi dalle ambientazioni belliche plausibili di Tomino. La rivoluzione di Anno, capace di associare lo psicodramma adolescenziale ai robot giganti, però non è andata perduta nel 21° secolo; Bokurano (Il nostro gioco) del 2007, pur non risultando rivoluzionario come Gundam o Evangelion, appare ugualmente come un’importante punto di arrivo di un intero genere. Bokurano, prodotto dallo studio Gonzo e tratto con alcune libertà dal manga omonimo di Mohiro Kitoh, è un serial volutamente scioccante, capace di far gelare il sangue nelle vene dello spettatore che viene condotto per mano in un universo spietato. I ragazzini protagonisti di Bokurano, diventati piloti di un colossale robot che loro stessi chiamano Zearth, rimangono prigionieri di un gioco di portata cosmica che essi non comprendono e che li porterà inesorabilmente, l’uno dopo l’altro, a morte sicura. Pilotare lo Zearth significa infatti morire, sia che si vinca o che si perda, poiché il gigante sfrutta la stessa energia vitale del pilota. Quindi già il fatto di esser scelti per muoverlo equivale a una condanna a morte. Rifiutarsi di lottare non è un’opzione accettabile,  dato che implicherebbe di conseguenza la totale distruzione della Terra e del nostro universo. La stessa vittoria, oltre all’immediato decesso del pilota naturalmente, reca con sé altre spiacevoli implicazioni: ovverosia la cancellazione della Terra parallela (e del suo universo) che risultano perdenti. Naturalmente, in caso di sconfitta, sarebbe il nostro mondo a fare un’analoga fine. Bokurano, con molta finezza, pur non evitando le situazioni più scabrose, ci descrive con un’accuratezza quasi documentaristica la vita di questi giovani, vittime sacrificali che non capiscono bene né gli adulti, né le creature che allestendo quella specie di torneo all’ultimo sangue tra i diversi piani delle realtà li stanno uccidendo. Alla conclusione di Bokurano chi muore, accettando consapevolmente il proprio destino a cui sa di non potersi sottrarre, lo fa in nome del proprio mondo e dei propri cari; saranno loro ad avere il difficile compito di continuare a vivere e di ricordare chi ormai non c’è più.

Eureka Seven, illustrazione. Copyright degli aventi diritto.

Kōkyōshihen Eureka Sebun (Eureka Seven) del 2005 – ’06, sempre opera dello studio Bones, è fortemente debitrice del lavoro di Anno così come quello di Tomino. Nel 2008 è stata distribuita una versione cinematografica di questo anime, Kōkyōshihen Eureka Sebun: Poketto ga Niji de Ippai (Eureka Seven: good night, sleep tight, young lovers), mentre di recente è stato anche annunciato uno spin-off Eureka Sebun Ei Ō Astral Ocean (Eureka Seven Astral Ocean). Eureka Seven rimane un prodotto dignitoso, capace di raccontare in una maniera abbastanza originale una “invasione” aliena, ma niente affatto rivoluzionario. Decisamente interessante ci pare essere Kōdo Giasu – Hangyaku no Rurūshu (Code Geass: Lelouch of the Rebellion), trasmesso in due stagioni televisive nel 2006 – ’07 e nel  2009 – ’10; quasi un dramma shakespeariano ambientato in un presente alternativo, dominato dal dispotico Sacro Impero di Britannia, con contorno degli immancabili mecha. Se la crudezza di certe situazioni non può sembrare così insolita, non dopo Evangelion, la caratterizzazione del protagonista principale della serie, Lelouch Vi Britannia, lascia sbigottiti. Costui è un principe decaduto alla ricerca di una personale vendetta (la madre è stata assassinata da alcuni sicari) e di una maniera per poter cambiar il mondo. Lelouch, ottenuto un potere mentale detto Geass da una misteriosa donna immortale di nome C. C., intraprende una lotta senza quartiere contro la Britannia e il suo imperatore, ovverosia il suo stesso padre Charles Zi Britannia. Amici e nemici, parenti e compagni di scuola, tutti paiono essere ugualmente sacrificabili agli occhi di Lelouch. Solo alla fine si riuscirà a comprendere come ogni cosa, compreso il suo stesso assassinio in diretta TV, sia stato ordito dal ragazzo solo per assicurare alla sorellina Nunnaly, cieca e priva dell’uso delle gambe, un futuro. Code Geass, in cui non mancano agganci alla nostra attualità, è però più una storia alternativa (o ucronia che dir si voglia) che un anime robotico. Eppure Code Geass, piuttosto che altri cartoni animati made in Japan degli ultimi anni, ci pare essere l’ultima creazione riconducibile al filone di cui ci siamo occupati sinora che abbia realmente qualcosa da dire. L’estetica medievaleggiante dei mecha di Code Geass si richiama ad alcuni lavori degli anni ’90, come il manga The Five Star Stories di Mamuro Nagano, o l’anime Tenkū no Esukafurōne (I cieli di Escaflowne) di Kawamori, nati come una fusione tra i robot giganti e le tematiche del fantasy. Invece lo sviluppo della trama, in cui abbondano atti di guerriglia e di terrorismo, inganni e tradimenti, allontanano Code Geass dai consueti plot degli anime robot visti sinora. In conclusione, agli esordi degli anime robotici abbiamo visto dei superuomini combattere senza dubbi e paura per la causa in cui credevano. Essi agivano in mondi fantastici privi di limiti e di regole ben definite. Spesso orfani, i loro problemi personali non influenzavano in alcun modo le loro azioni. In seguito, dovendo muoversi su realtà via, via sempre più realistiche, costoro iniziano ad avvertire gli effetti di vere nevrosi mentre i loro compagni meccanici, persi gran parte dei loro poteri, diventano della semplice ferraglia ambulante. In Evangelion, dove il potere delle Unità EVA è devastante ma sottoposto a ben precise limitazioni, ad esempio questi “robot” in genere non possono muoversi se non sfruttando un apposito cavo di alimentazione (l’umbilical cable), anche i piloti non sono degli irrealistici guerrieri onnipotenti. Qui è il realismo di carattere psicologico a farla da padrone: i ragazzini-piloti son trattati come degli adolescenti problematici e nessuno di loro può definirsi in qualunque modo come un superuomo. Una tendenza che è continuata sino a oggi, una umanizzazione dei personaggi di saghe che, a causa dell’alto contenuto di alta tecnologia presente, corrono perennemente il rischio di perdere di vista che cosa sia importante, diventando in tal caso delle semplici esposizioni di androidi futuribili.

Code Geass, fotogramma dalla serie. Copyright degli aventi diritto.

          


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