RICHARD MATHESON, CREATORE DI INCUBI E SOGNI


di Claudio Cordella

“Mamma così bella e io invece così brutto. Guardati ha detto e non aveva una buona faccia. Gli ho toccato il braccio e ho detto fa lo stesso papà”. RICHARD MATHESON, Born of Man and Woman (1950); tr. it. Nato d’uomo e di donna, in Tutti i racconti – vol. 1 1950 – 1953, Fanucci, Roma 2013, p. 7.

Lo statunitense Richard Matheson, classe 1926, è uno dei grandi nomi del fantastico contemporaneo, forse non sarebbe esagerato accostarlo a figure di letterati del secolo scorso come Italo Calvino, Jorge Luis Borges o James G. Ballard, che contribuirono alla maturazione di questo genere.

Ha collaborato alla realizzazione della storica serie televisiva The Twilight Zone (Ai confini della realtà) di Rod Serling, mentre uno dei suoi romanzi più famosi, I am a legend (Io sono leggenda) del 1954, ha rivoluzionato la figura del vampiro molto tempo prima di Ann Rice o di Stephenie Meyer. Quest’ultimo libro ha beneficiato di ben più di una trasposizione cinematografica, oltre che ad aver ispirato diversi cineasti (01). Le pellicole più famose tratte da Io sono leggenda rimangono senz’altro The Omega Man (1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra) del ’71, con Charlton Heston nel ruolo del protagonista Robert Neville, assieme al più recente I am a legend (Io sono leggenda) del 2007, interpretato dalla star afro-americana Will Smith. Le creature di Matheson, a differenza di quelle di Bram Stocker, sono membri di una nuova specie, i cui corpi sono stati modificati da un’epidemia. Il soprannaturale dunque non ha alcun gioco nella narrazione. Quel che è eccezionale in Io sono leggenda, non è solo l’aver trasformato il vampiro da personaggio dell’horror tradizionale in mutante fantascientifico, ma è piuttosto il senso di tragedia e di solitudine che impregna ogni pagina, ogni riga di questo romanzo.

Neville è un uomo solo, una specie di novello Robinson Crusoe che ha fatto naufragio su di una landa da incubo dalla quale non vi è ritorno. Dopo aver passato un’eternità a uccidere vampiri senza cervello, esseri più simili a zombie che a uomini e donne, il nostro scopre l’esistenza di una nuova società, persone dotate di raziocinio che odiano come lui i non – morti fuoriusciti dalle loro fosse. Non si tratta però di esseri umani in senso stretto quanto piuttosto di vampiri a tutti gli effetti. Si tratta di sopravvissuti alla malattia che senz’altro hanno ben poca simpatia per i risorti ma che al tempo stesso considerano il povero Neville alla stregua di un mostro. Effettivamente, a differenza dei revenant privi di raziocinio che assediano la casa del nostro al calar delle tenebre, sono degli esseri viventi e non dei morti rianimati.

Un’apposita pillola da loro inventata, una sorta di antidoto, impedisce il proliferare nel sangue del batterio che causa il morbo del vampirismo. Questi mutanti sono dunque riusciti a conservare le loro capacità intellettive, pur essendosi trasformati in animali notturni, incapaci di vivere alla luce del sole. Anzi, i superstiti hanno eretto una nuova civiltà, una realtà brutale e violenta nella quale un rappresentante della vecchia specie Homo sapiens non è nient’altro che un intruso da eliminare. Del resto Neville, nel corso delle sue scorribande diurne, si è reso responsabile della morte di più di un innocente vampiro addormentato, macchiandosi in tal modo del reato di strage. L’unica sua consolazione, dopo esser stato catturato, è quella di sapere che in futuro, in quanto ultimo esponente della specie umana, egli diverrà un’autentica leggenda. Prima del momento della pubblica esecuzione, grazie all’aiuto di una vampira che ha mostrato di comprenderlo e di perdonarlo per ciò che ha fatto, egli si suicida volontariamente per sottrarsi all’umiliazione di una fine simile (02). In definitiva Matheson offre ai suoi lettori un’autentica “rivoluzione copernicana” nell’ambito del fantastico, passando dalla rappresentazione di un mondo umano minacciato da un singolo vampiro (come nel Dracula di Stocker), a una Terra vampirizzata nella quale cerca di sopravvivere un unico superstite, disperato e solo. Io sono leggenda è un romanzo che non si scorda, capace di lasciare una traccia indelebile nella mente di chi lo ha letto.

All’interno della produzione romanzesca di questo prolifico autore non possiamo non segnalare The Incredible Shrinking Man (Tre millimetri al giorno) del ’56, portato sul grande schermo dal noto regista di B- movie Jack Arnold, oltre a A Stir of Echoes (Io sono Helen Driscoll) del ’58. Il primo è la storia incredibile, terribile e al tempo stesso surreale, di un uomo che rimpicciolisce alla velocità di tre millimetri al giorno mentre il secondo è una vicenda soprannaturale, a base di spettri, ibridata con il thriller. Nel 1999 da Io sono Helen Driscoll è stato tratto il film Stir of Echoes (Echi mortali), con Kevin Bacon nel ruolo di uomo comune che inizia a percepire una realtà ultraterrena che va ben oltre la mera quotidiana materiale. I suoi nuovi poteri cambieranno la sua esistenza, ma al tempo stesso gli permetteranno di far luce riguardo a un efferato delitto.

Meno noto è forse invece il romanzo What Dreams May Come (Al di là dei sogni) del ’78, sorta di meditazione sulla vita, la morte, il paradiso, l’inferno e il peccato; pieno di riferimenti ai miti orfici e alle opere di Dante Alighieri e di William Shakespeare. Vent’anni dopo esser stato pubblicato, nel 1998, uscì nelle sale cinematografiche una pellicola omonima che si segnala per la presenza nel cast di Robin Williams (L’attimo fuggente) e dello svedese Max von Sydow, noto per esser stato l’attore prediletto da Ingmar Bergman.

Gran parte della produzione di Matheson però la ritroviamo nelle sceneggiature, per la televisione o per il cinema, oltre che nella narrativa breve; quest’ultima a sua volta capace di influenzare sia la settima arte tanto quanto il piccolo schermo. Duel, il primo lungometraggio di successo dell’allora giovane esordiente Steven Spielberg, con la sua messa inscena di una lotta senza quartiere tra un povero automobilista e uno spietato camionista senza volto, nacque in origine come novella di Matheson. Nel 1971 uscì come film per la TV, riscuotendo però un apprezzamento tale da meritarsi di essere distribuito anche nelle sale cinematografiche, contribuendo significativamente al lancio di Spielberg nell’Olimpo hollywoodiano. Personalmente, per la rappresentazione di una dirompente violenza primordiale che fa irruzione in un arido universo meccanizzato, ritengo che Duel possa essere accostato a opere di Ballard come The Atrocity Exhibition (La mostra delle atrocità) del ’70 e Crash del ’73. Anche due pellicole recenti, The Box del 2009 e Real Steel del 2011, affondano le loro radici nella novellistica di Matheson: il primo da Button, Button del ’70, un dilemma a carattere etico in salsa fantascientifica, mentre il secondo da Steel (Acciaio) del ’56, una storia sportiva ambientata nel futuro, quando i pugili umani verranno sostituiti da robot. Entrambe queste novelle, ben prima di imboccare la strada per il grande schermo, erano state trasformate in altrettante puntate di Ai confini della realtà: Acciaio nel ’63, all’interno della quinta e ultima stagione della serie classica, mentre Button, Button solo nel remake degli anni ’80, diventando il ventesimo episodio della prima stagione del 1985. Effettivamente, non si può non constatare come diversi racconti “mathesoniani” siano alla base di diverse puntate di Ai confini della realtà, come ad esempio Third from the Sun (Terzo dal sole, 1950) oppure Little Girl Lost (Bambina smarrita, 1953) (03).

Del resto non credo che vi sia di che stupirsi, la filosofia su cui si fondava lo show era la stessa che reggeva l’impianto della produzione letteraria di questo scrittore: in entrambi i casi era sempre previsto un colpo di scena finale in cui le credenze iniziali dello spettatore (o del lettore) venivano ribaltate in maniera scioccante. Insomma, Matheson e Serling, avendo idee analoghe in proposito, erano certamente in sintonia riguardo al modo in cui doveva essere narrata una storia fantastica.

Indipendentemente da quello che possano pensare certi romanzieri come Stephen King, i cui debiti nei confronti di Matheson sono assai numerosi e riconosciuti dallo stesso “Re”, una grandezza di uno scrittore non risiede nella sua capacità di sformare romanzi – fiume nemmeno fosse una fabbrica antropomorfa di parole. La narrativa breve “mathesoniana” lo dimostra ampiamente e adesso il lettore italiano, grazie alla casa editrice Fanucci, ha a disposizione quattro grandi tomi che riuniscono la totalità della produzione novellistica di quest’autore lungo un arco di sessant’anni, dal 1950 al 2010. Personalmente, prendendo in mano il primo volume di questa serie, comprendente i racconti apparsi tra il 1950 e il 1953, non posso non pensare a un altro grande scrittore americano, Philip K. Dick, anch’egli negli anni ’50 agli inizi della propria carriera. Negli Stati Uniti del Dopoguerra, in cui l’euforia per la fine della Seconda Guerra Mondiale, la fiducia nel futuro, il consumismo rampante, il mito dell’american way of life e del “sogno americano”, si intrecciavano con le paure legate alla Guerra Fredda e alla bomba atomica, sia Dick che Matheson scavarono oltre quella facciata di conformismo e retorica allora imperanti.

Entrambi erano ben decisi a strappar via quell’insopportabile “velo di Maya”, falso e zuccheroso, che serviva a nascondere orrori indicibili. Generalizzando, possiamo dire che all’interno della loro produzione le tipiche famiglie anni ’50, con il marito in carriera e la moglie casalinga, l’auto nuova e il primo televisore in soggiorno, finivano sempre con l’imbattersi in forze incomprensibili. Un incontro/scontro con il fantastico che diventava rivelatore delle false conoscenze, delle illusioni e delle menzogne che avevano moneta corrente in quel presente.

Così Matheson in Born of Man and Woman (Nato d’uomo e di donna, 1950), ci mostra una brava famiglia borghese che nasconde il proprio figlio mutante in cantina, trattandolo alla stregua di un animale selvatico in gabbia, disprezzato e guardato con disgusto. Al lettore la sentenza: chi è davvero il monstrum? Il bambino recluso perché diverso, non corrispondente ai canoni della “normalità”, oppure i genitori così preoccupati per il suo aspetto da non riuscire a trattarlo con un minimo di umanità?

Le ordinarie famigliole di Terzo dal sole, con i loro riti quotidiani, i loro terrori e le loro speranze, sono un perfetto affresco dell’umanità sottoposta all’incubo dell’annientamento totale dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki. Fanno capolino persino quelle tematiche “fantastoriche” e “fantarcheologiche” che riaffioreranno diversi decenni più tardi all’interno del serial televisivo Battlestar Galactica, in particolare nella recente incarnazione di Ronald D. Moore.

In The Disinheritors (I diseredati, 1952), abbiamo invece a che fare con una peculiare invasione aliena, mentale piuttosto che fisica, che forse potremmo accostare al recente romanzo The Host (L’ospite, 2008) della Meyer, la creatrice dei vampiri luminosi e capaci d’amare della serie di Twilight. Invece Bambina smarrita, con lo sfaldarsi della stessa trama della realtà, ha un tono che noi oggi definiremmo “dickiano”, con il pregio aggiuntivo di essere una perfetta storia d’atmosfera. La tensione emotiva e la disperazione dei genitori della piccola Tina, scivolata dal suo lettino sino alla quarta dimensione, viene resa in maniera magistrale.

Precorre alcune tematiche di Dick, relativamente a quei problemi di identità che i robot antropomorfi sono sempre capaci di sollevare, la fulminante novella Brother to the Machine (Fratello della macchina, 1952). Anche il primordiale cyborg che compare in Lazarus II (Lazzaro II, 1953), costruito a partire dal cervello di un suicida, posto all’interno di un corpo metallico e poi rianimato, ripropone interrogativi analoghi relativi al rapporto uomo/ macchina.

L’agghiacciante Death Ship (L’astronave della morte), edito nel ’53 e diventato dieci anni dopo un episodio della quarta stagione di Ai confini della realtà, ci conferma una delle caratteristiche fondamentali della produzione “mathesoniana”: non tutto quello che consideriamo una realtà consolidata lo è per davvero, dietro la fragile maschera delle nostre patetiche illusioni c’è in agguato qualcosa di mostruoso. Una verità scioccante, pronta a balzarci addosso e a colpirci con la forza di un maglio. La nostra stessa identità, tutto quello che noi crediamo di essere, può dimostrarsi essere nient’altro che un cumulo di menzogne.

Certo, si può desiderare di fuggire con tutte le proprie forze da questa presa di coscienza, esattamente come fa il viaggiatore temporale di Return (Ritorno, 1951), ma alla fine i protagonisti delle storie di Matheson devono per forza di cose rendersi conto di chi sono e fare i conti con un amaro destino. Persino gli sfortunati inquilini di Shipshape Home (Appartamento a basso canone, 1952), non potranno fare altro che accettare, dopo aver dubitato e lottato, la sorte che altri hanno stabilito per loro mentre il loro universo perde una volta per tutte la propria menzognera facciata di tranquillità, rispettabilità e normalità.

D’altro canto The Last Day (L’ultimo giorno, 1953), rimane un esempio allo “stato dell’arte” di storia apocalittica e di psicodramma, commovente e disperato come Io sono leggenda, capace di rendere in modo magistrale la solitudine, la follia ma anche la tenerezza, l’amore e il desiderio d’affetto che si nascondono nelle pieghe del cuore umano. Un ulteriore conferma del talento di Matheson, capace di cambiare in poche pagine lo sguardo che ha il lettore del mondo, riuscendo al tempo stesso a terrorizzarlo a morte, conducendolo per mano in una dimensione onirica dalla quale il ritorno è tutt’altro che assicurato.

Note

(01) Esiste anche un film del 1964, L’ultimo uomo della Terra, nato da una coproduzione Italia / Stati Uniti. Il ruolo principale dell’umano superstite, che qui viene chiamato Robert Morgan, venne affidato l’attore Vincent Prince, entrato nella storia del cinema come interprete di film horror. Oltre alle trasposizioni ufficiali diversi registi, come George A. Romero o Danny Boyle, si sono ispirati liberamente a Io sono leggenda.

(02) A proposito di Io sono leggenda, il critico francese Jacques Sadoul ha scritto che: ” Richard Matheson ci dà nel 1954 un romanzo molto originale, che tratta in chiave di pura fantascienza uno dei temi classici del fantastico, il vampirismo. L’autore immagina che una specie di epidemia abbia alterato il metabolismo umano, così che gli uomini possono nutrirsi soltanto di sangue. La storia è raccontata dall’ottica dell’ultimo uomo normale, ma si è normali quando si è soli contro tutti gli altri rappresentanti della propria specie? Robert Neville, diventato un mostro agli occhi di tutti gli uomini vampiro, ha una sola soluzione: la morte. E a titolo di consolazione postuma non gli resta che la coscienza di essere diventato una leggenda per i discendenti della nuova umanità”. JACQUES SADOUL,  Histoire de la science-fiction moderne, 1973; La storia della fantascienza. Dal fantastico al capovolto, il genere letterario del futuro, Garzanti, Milano 1975, p. 216.

(03) Quest’ultimo episodio venne in seguito parodiato dal serial cult d’animazione The Simpson (I Simpson) di Matt Groening, in occasione del sesto speciale di Halloween. Persino la trovata dei boxeur robotici, presentata in chiave ironica, fa la sua comparsa all’interno del cartone animato fanta – satirico Futurama, creato da Groening e da David X. Coehen, durante il diciottesimo episodio della seconda stagione.


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