RICORDANDO SHINGO ARAKI: TRA SPADACCINE E CAVALIERI


di Claudio Cordella

“Nel termine ukiyo, derivato da un concetto buddista che indica tristezza e malinconia, si riflettevano i temi di canti popolari densi di dolorosa nostalgia di casa e di tristi vicende legate agli amanti di una notte incontrati nei quartieri dei piaceri proibiti”. ELISE K. TIPTON, Modern Japan. A social and political history, tr. it. Il Giappone moderno. Storia politica e sociale, Einaudi, Torino 2011, p. 18.

Quando si cresce? Quando si inizia per davvero a invecchiare? Domande che oggi, con la tendenza (o forse si dovrebbe dire anche con la necessità) a prolungare il periodo dell’adolescenza, ottengono diverse risposte: da quelle di carattere filosofico e psicologico (si cresce quando si impara ad accettare la propria mortalità), a quelle dotate di un maggiore pragmatismo (si matura nel momento in cui si lascia la casa dei propri genitori, ci si costruisce una propria famiglia, etc). Nel nostro piccolo aggiungiamo che c’è un altro segnale che potremmo aggiungere a quelli che abbiamo già elencato: la morte dei miti dell’infanzia e della giovinezza. Da questo punto di vista la recente scomparsa di un maestro dell’animazione del calibro di Shingo Araki, uno dei protagonisti di quell’età dell’oro degli anime giapponesi che furono gli anni ’70 e ’80, è significativa. Durante quest’arco di tempo, quando vennero trasmessi alcune serie televisive oggi entrate nel mito, il Giappone iniziò a esportare in maniera massiccia i propri serial all’estero.

In Italia le neonate televisioni private ne approfittarono immediatamente, e con loro le ditte di giocattoli che invasero i negozi di robot e bambole ispirati agli anime del tempo, influenzando così l’immaginario di un’intera generazione. Forse il nome di Shingo Araki dirà subito qualcosa unicamente agli appassionati di animazione, in particolare a coloro i cui gusti si sono formati proprio nel periodo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, ma a chiunque sia nato e cresciuto in quell’arco di tempo basterà fare i nomi di Goldrake, Lady Oscar o de I Cavalieri dello zodiaco per andare a evocare preziosi ricordi lontani. Ecco, queste ultime sono solo alcune delle serie televisive che hanno beneficiato dell’apporto artistico del genio di Araki, capace di dar vita a personaggi dallo sguardo magnetico, eroi indomiti dal perenne ciuffo ribelle. Tutto questo ora è relegato nel passato, è storia ed è quasi impossibile non essere sopraffatti da una forte malinconia. Le stampe Ukiyo-e, letteralmente “mondo fluttuante”, una parola che allude scherzosamente a un termine omofono che indica il “mondo della sofferenza”, il ciclo continuo di morte e rinascita della religione buddhista, sono in voga in Giappone sin dal XVII secolo. Queste ultime, incentrate in particolare sulle più diverse ambientazioni urbane, ritraeevano in origine paesaggi, teatri e attori, lottatori di sumo e quartieri di piacere. Unanimemente gli Ukiyo-e sono considerati gli “antenati” di manga e anime di cui hanno influenzato la nascita. Ecco, sia la vita che le opere di Araki ci ricordano che viviamo in un mondo perennemente in mutamento; ed ora è come se tutti quelli che sono cresciuti in compagnia delle creature di questo sensei si ritrovassero imprigionati assieme a lui in una stampa Ukiyo-e particolarmente melanconica. A questo punto, per ricordare in modo adeguato questo grande dell’animazione e per farlo conoscere a quanti non ne avessero mai sentito parlare sino a oggi, ripercorriamo a grandi linee la carriera di Shingo Araki. Si tratta di una lunga  carrellata che va direttamente a intrecciarsi non solo con gli sviluppi avvenuti nel mondo degli anime nel corso dell’ultimo trentennio, ma anche con la storia di un’intera generazione.

Araki nasce nella città marittima di Nagoya il 1 gennaio 1939, la quarta città per ordine di grandezza del Giappone, ed è venuto recentemente a mancare a causa di un collasso cardiocircolatorio il 1 dicembre 2011, un mese esatto prima di compiere 73 anni. Precocissimo, dimostrò attitudine e interesse per il disegno sin dalla tenera età di 5 anni, a 18 anni debuttò già come professionista iniziando a lavorare come fumettista per la rivista Machi, un magazine della sua città. Per otto anni il nostro farà una dura gavetta, contribuendo alla realizzazione di diversi manga, pubblicati da alcune delle più importanti case editrici nipponiche. Finalmente nel ’65 entrò a far parte della Mushi Production, lo studio di animazione fondato dal celebre Osamu Tezuka (1928 –  1989), uno dei pionieri dei manga e degli anime contemporanei. Qui egli ha l’occasione di lavorare alla serie Janguru Taitei (“Imperatore della giungla”), noto in Italia come Kimba, il leone bianco, tratta dai tre volumi di un notissimo manga di Tezuka, pubblicati per la prima volta in Giappone tra il ’50 e il ’54. Quest’anime, trasmesso per la prima volta dal ’65 al ’66, è un’autentica opera pionieristica riguardo ai cartoni animati giapponese a colori prodotti per la televisione. Le avventure dei leoni antropomorfizzati di Kimba, dei loro amici animali e umani, ritornarono in seguito diverse incarnazioni per la TV e le sale cinematografiche. Il  primo lavoro come Animation Director (Direttore dell’animazione)  di Araki si ha però solo nel ’70 con la serie  Ashita no Jō (“Joe del domani”), conosciuta nel nostro paese come Rocky Joe. La storia, tratta dal manga omonimo di Ikki Kajiwara, pseudonimo di Asaki Takamori (1936 – 1987), e di Tetsuya Chiba, è incentrata sulle vicende di un orfano che tra mille difficoltà diventa un pugile professionista, pur andando al tempo stesso incontro a un tragico destino di morte. Si tratta di una storia non priva di crudezze e di elementi di denuncia sociale, ambienta in una periferia degradata di Tokyo, in cui si parla anche di riformatori, delinquenza e disagio giovanile. I volumi del fumetto pubblicati, con i testi di Ikki e i disegni di Tetsuya, editi tra il ’68 e il ’73, sono complessivamente venti. Dall’opera cartacea vengono tratte due serie animate, una prima tra il ’70 e il ’71, costituita da 79 episodi e andata in onda quando il manga è ancora incompleto, mentre una seconda è trasmessa nel 1980 – ’81 per un totale di 47 episodi; in entrambi i casi per la regia del talentuoso Osamu Dezaki.

Rocky Joe. Copyright degli aventi diritto.

In buona sostanza Araki, il quale lavora solo alla primissima trasposizione televisiva di Rocky Joe, ha l’occasione di partecipare a un progetto che coinvolge un personaggio importante nell’ambito del panorama fumettistico made in Japan. Si pensi solo che la notorietà di Joe è ancor oggi così forte che le avventure di questo pugile, un emarginato che conduce un’esistenza al limite, hanno beneficiato di una recente trasposizione con attori in carne e ossa. A cavallo degli anni ’60 e ’70 il nostro ha l’opportunità di poter offrire il suo apporto come character designer anche a un altro anime d’ambientazione sportiva: Kyojin no Hosh (Tommy, la stella dei Giants); i 19 volumi originari del fumetto uscirono tra il ’66 e il ’77, per i testi di Ikki Kajiwara, che abbiamo già visto tra i creatori di Rocky Joe, e i disegni di Noboru Kawasaki. Araki da il suo contributo ai 24 episodi della prima serie del ’68 – 71, e in seguito di una terza del ’79 che però non venne completata.  Intanto Araki prima fonda nel ’66 lo Studio Jaguar e nove anni più tardi, assieme all’animatrice e character designer Michi Himeno, da vita all’Araki Production. Il duo collaborativo Araki – Himeno funziona generalmente in base a una precisa divisione del lavoro; al primo è affidata la realizzazione dei characters maschili mentre alla seconda la creazione di quelli femminili. In buona sostanza nel corso degli anni ’70 il nostro ha l’occasione di dare il suo apporto a quegli anime che oggi noi consideriamo come dei classici, pietre miliari della storia dell’animazione. Spesso e volentieri, come nel caso di Rocky Joe, tratti dai manga di autorevoli mangaka (fumettisti).

Si pensi solo a Ryū no michi (“La strada di Ryū”), noto in Italia come Ryu il ragazzo delle caverne, liberamente ispirato a un manga omonimo di un autore di spicco della sci-fi disegnata: il prolifico Shotaro Ishinomori (1938 – 1998). L’anime, privo di tutti i riferimenti fantascientifici dell’opera di Ishinomori,  appare sul network nipponico TBS tra il ’71 e il ’72 ed è costituito da 22 episodi. Si tratta di un’avventura ambientata in un universo primitivo e violento, in questa realtà brutale non solo il giovane Ryu dovrà lottare per sopravvivere e per proteggere i suoi cari, ma dovrà anche affrontare mille difficoltà per ritrovare la madre, combattendo contro nemici umani e non, tra cui un mostruoso Tyrannosaurus rex orbo di un occhio, lo spietato Tirano. Anche in quest’ultimo caso Araki ha l’occasione di collaborare all’animazione, pur se non direttamente al character design. Altra serie citabile del periodo, pur se non memorabile, è Debiruman (Devilman), originata dal successo di un manga omonimo nato dal genio di quel mostro sacro che è Gō Nagai; anche in quest’ultimo caso il nome di Araki appare nei credits tra gli animatori.  Gō Nagai, universalmente noto per essere il creatore del genere dei super robot, incentrato su automi giganteschi e potentissimi che combattono per la difesa della Terra, con Devilman realizza un fumetto fanta-horror dai toni apocalittici capace di attaccare le meschinità e le ipocrisie della civiltà con forza dirompente. Troppo nichilismo per una serie d’animazione degli anni ’70, l’anime così stravolge completamente e diluisce i significati del fumetto.

Ryu il ragazzo delle caverne. Copyright degli aventi diritto.

Durante questi anni però Araki avrà occasione di partecipare alla realizzazione di altri anime televisivi ispirati ai manga di Gō Nagai come il super-eroistico (e sexy) Kyūtī Hanī (Cutie Honey) del ’73 – ’74, il robotico UFO Robot Grendizer (UFO Robot Goldrake noto pure come Atlas UFO Robot) del ’75 – ’77, e il mediometraggio del ’76 Grendizer – Getter Robo G – Great Mazinger Kessen! Daikaijū (Il Grande Mazinga, Getta Robot G, UFO Robot Goldrake contro il Dragosauro). Lo sbarco in Italia di Goldrake, mandato in onda per la prima volta dalla RAI tra il 1978 e il 1980, rappresenta una svolta epocale nella storia della cultura popolare del nostro paese. Certo, dal punto di vista strettamente cronologico, altri anime arrivarono prima nella nostra penisola dall’arcipelago nipponico ma Goldrake rappresentò un punto di non – ritorno. Dopo di lui gli anime arrivarono a frotte, a decine, troppi forse tutti in una volta; a questo periodo di eccessi a seguì negli anni ’90 una sorta di pausa di riflessione, contraddistinta dallo svilupparsi di un mercato per l’home-video, e sopratutto di una regolare pubblicazione di manga. Tra i motivi dietro il successo di questa serie, a tutt’oggi inalterato, possiamo annoverare gli scontri epici del robot Goldrake contro i mostri extraterrestri di Re Vega, la bellissima sigla dell’edizione nostrana, scritta da Vince Tempera assieme a Luigi Albertelli e Ares Tavolazzi,  il cui disco superò il milione di copie vendute, ma anche dagli affascinanti ed eroici protagonisti. Goldrake, dall’episodio 49 al 74, beneficiò della mano del sempre più esperto Araki. Chi non ricorda il principe Duke Fleed, l’alieno del Pianeta Fleed che ha assunto l’identità fittizia di Daisuke Umon, meglio noto al pubblico nostrano semplicemente come Actarus? Actarus, chiamato Goldrake dai suoi nemici, che non sembrano così far distinzione tra di lui e il suo robot, è fuggito sulla Terra per sfuggire a Re Vega ma ora si trova a dover combattere per dover proteggere la sua patria d’adozione. Nel manga, sceneggiato da Gō Nagai e disegnato da Gosaku Ota, questo principe stellare è un ragazzino capriccioso, volubile e viziato mentre invece la caratterizzazione di Araki lo trasforma in un eroe romantico a tutto tondo. Actarus è a suo agio sia nell’ambiente dai toni western in cui si ritrova a vivere la vita di tutti i giorni, intento al lavoro di fattoria oppure suonare la chitarra al chiarore della luna, sia nella sua attillata divisa da battaglia quando parte per una missione a bordo del Goldrake; guerriero riluttante ma non per questo meno eroico e pronto al sacrificio. Sempre in questi anni il nome di Araki spunta fuori anche a proposito dei primi anime dell’allora nascente filone delle mahō shōjo (ragazza magiche) o majokko (piccola maga): Mahō Tsukai Chappy (La maga Chappy) del ’72 e Majokko Megu-chan (Bia, la sfida della magia) del ’75 – ’76; quest’ultima in particolare, è trasmessa per la prima volta da RAI 2 nel 1981.

Il principe alieno Duke Fleed, noto al pubblico italiano come Actarus. Copyright degli aventi diritto.

Ancor oggi è ricordata con piacere dagli appassionati la sigla scritta da Andrea Lo Vecchio e cantata assieme al gruppo dei Piccoli Stregoni. Pure il fantascientifico Babiru Ni-Sei (Babil Junior) del ’73, ispirato dall’opera del mangaka Mitsuteru Yokoyama (1934 – 2004), uno dei pionieri del genere robotico made in Japan, beneficia del character design di Araki. Si tratta di una storia che mescola elementi di fanta-archeologia, poteri mentali e prodigi tecnologici; il protagonista ad esempio può contare sull’aiuto di Ropuros, uno pterodattilo meccanico, di Poseidon, un robot gigante pesantemente armato, e di Roden, una ragazza mutaforma. Verso la fine di questo decennio il nostro, assieme alla sua socia Himeno, realizza i personaggi per la serie majokko Hana no Ko Runrun (Lulù l’angelo tra i fiori) del ’79 – ’80, giunta in Italia nel 1981. Il duo Araki – Himeno da anche la sua impronta al character design di un’originale serie robotica: Wakusei Robo Danguard Ace (Danguard), 56 episodi trasmessi tra il ’77 e il  ’78. Danguard, che arriva sulle reti private del Bel Paese praticamente subito dopo la fine del suo primo passaggio televisivo nipponico, nasce da un’idea di Leiji Matsumoto, geniale mangaka notissimo tra l’altro per aver creato il personaggio del pirata spaziale Hārokku (Harlock). Particolarmente riuscita è la caratterizzazione del giovane Takuma Ichimonji (Arin), pilota ribelle e desideroso di riscatto, bisognoso di una rivincita quanto di una guida. Rimane memorabile però l’apporto lasciato da Araki e dalla Himeno a una serie che possiamo definire leggendaria: Versailles no Bara (cioè “Le rose di Versailles”, conosciuta in italiano come Lady Oscar); i 40 episodi che la compongono sono trasmessi per la prima volta in Giappone  dal 1979 al 1980, in Italia invece nel 1982. Questa serie televisiva, replicata diverse volte nel corso del tempo, ha saputo far innamorare più di una generazione; degna di menzione è anche la sigla cantata dal gruppo di Riccardo Zara, I cavalieri del re. Ikeda Riyoko, autrice dei 10 volumi del manga del ’72 – ’73 che sono alla base della sceneggiatura dell’anime, per questo suo capolavoro della letteratura disegnata ha ricevuto dal governo francese nel 2008 la Légion d’honneur (Legion d’onore).

Oscar François de Jarjayes. Copyright degli aventi diritto.

Abbiamo dunque a che fare con un successo duraturo e ben meritato, trattandosi di un affresco storico drammatico, credibile e arricchito da un’accurata costruzione psicologica dei personaggi. La vita dell’aristocratica francese Oscar François de Jarjayes, costretta dal padre a vestirsi da uomo e a imparare a duellare con la spada, non può non affascinare; domande sul significato della vita, dell’amore, sul rapporto tra i sessi e  sulle differenze sociali, affiorano durante la narrazione che termina con la tragica morte di quest’eroina, e del suo amato André Grandier, un semplice popolano, all’inizio della Rivoluzione francese nel 1789. Si tratta di una tragedia allo stato dell’arte, portata sugli schermi televisivi grazie alla tecnica del cartone animato: “La sensazione di morte incombente che aleggia su ogni episodio lascia presagire il destino delle protagoniste, e da questo punto di vista Lady Oscar è una tragedia nel senso classico del termine: una narrazione in cui un fato crudele è in agguato sui personaggi, i quali subiscono con rassegnazione e dignità il loro destino – al contrario di quanto avviene nel dramma, dove gli eventi luttuosi e infelici sono vissuti con disperazione e senso di ribellione. La complessità degli eventi che si susseguono nel macrocosmo della Versailles del tardo Settecento (matrimoni combinati, intrighi di palazzo, rivalità fra Stato e Chiesa, amori illeciti consumati in segreto), e che influendo gli uni sugli altri riuniscono in un solo, grande affresco i destini di tutti coloro che ne sono coinvolti, trova il suo riflesso psicologico e interiore nella complessità del microcosmo interiore di Oscar”. MARCO PELLITTERI, Mazinga nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation, Castelvecchi, Roma 1999, p. 383.

Testimoniano il duraturo successo di Lady Oscar sia un film con attori del ’79, girato dal regista francese Jacques Demy (1931 – 1990), che un musical del 2009, Lady Oscar. François – Versailles Rock Drama, diretto dall’italiano Andrea Pallotto. Gli anni ’80 rappresentano il raggiungimento dell’acme creativo di quest’artista che contribuisce con il suo stile raffinato al successo di numerosi anime, troppi per essere ricordati qui; ricordiamo solo il curioso serial franco-nipponico Uchu densetsu Ulysses 31 (Ulisse 31), riscrittura in chiave fantascientifica del mito greco-romano di Odisseo/Ulisse. Ulisse 31, trasmesso per la prima volta in Francia nel 1981 – ’82, si segnala per il mecha design, cioè la realizzazione dei mezzi meccanici e della tecnologia in genere, di Shōji Kawamori, nonché per il character design di Araki e della Himeno. Anzi, furono proprio i fans di Araki a far pressioni sui network giapponesi affinché trasmettessero il lavoro del loro beniamino. Sono però due le opere di questo periodo che hanno maggiormente beneficiato del tocco geniale  di quest’artista: Rupan Sansei – Part III (Lupin, l’incorreggibile Lupin), terza avventura televisiva dedicata al ladro gentiluomo Lupin III; e Seinto Seiya (Saint Seiya o I Cavalieri dello zodiaco), saga fantasy che rielabora i vecchi miti dell’antichità classica. Il successo di Lupin III inizia nel ’67 con un manga di Monkey Punch (vero nome Kazuhiko Katō), ispirato ai romanzi del francese Maurice Leblanc (1864 – 1941), incentrati sulle gesta rocambolesche del ladro Arsène Lupin (Arsenio Lupin).

Logo giapponese della terza serie televisiva di Lupin III. Copyright degli aventi diritto.

Dopo la versione cartacea di Lupin III vengono realizzate in seguito ben tre serie televisive, dei film, per l’esattezza cinque d’animazione e uno con attori in carne ossa, e un’opera teatrale; senza contare gli OAV e gli speciali televisivi che continuano a esser realizzati a tutt’oggi, a dimostrazione della freschezza del personaggio. Araki, assieme ad altri collaboratori, contribuisce anche in questo caso al character design e all’animazione ma il riscontro, sia dal punto di vista della critica che del pubblico, è deludente. Nei primissimi episodi degli anni ’70 Lupin III, con la sua giacca verde, la polizia alle costole e i contrasti con l’amico/nemico samurai Jūsandaime Ishikawa Goemon (Goemon Ishikawa XIII), era un anti-eroe noir che rappresentava l’incontro/scontro tra il vecchio e il nuovo Giappone. Di seguito, indossata una sgargiante giacchetta rossa, il nostro in compagnia del fido pistolero Jigen Daisuke, di Goemon e della bella (ma infida) Fujiko Mine (chiamata Margot in Italia proprio nel doppiaggio della seconda stagione TV), viene presentato come un ladro internazionale, capace di colpire ovunque nel mondo; a Tokyo così come a Parigi o a New York. Insomma, quando negli anni ’80 Araki ha modo di intervenire su questo personaggio, questo è già un vero cult, noto da tempo agli appassionati di serial TV e di film d’animazione, anche grazie alla regia del grande Hayao Miyazaki. Le venti puntate del 1984 – ’85, in cui Lupin III fa sfoggio di una giacca dall’assurdo color rosa e di un ancor più improbabile pettinatura cotonata, si segnalano per un carattere marcatamente surreale; persino l’irriducibile ispettore Koichi Zenigata, da sempre alla caccia del noto ladro, diventa se possibile ancor più caricaturale e grottesco. In buona sostanza Araki, pur avendo avuto l’indubbio onore di partecipare a un progetto relativo a un classico, ha l’indubbia sfortuna di aver messo mano a una delle meno famose incarnazioni di Lupin III.

Al nostro va assai meglio con I cavalieri dello zodiaco, un opera che lo fa entrare direttamente nell’Olimpo dei grandi dell’animazione. Anche questa volta troviamo alla base della storia un fumetto di successo partorito da un mangaka di genio, in questo caso di Masami Kurumada, che pubblica 28 volumi di Saint Seiya dal 1986 al 1990. Il franchising relativo a I cavalieri dello zodiaco è immenso, avendo generato nel tempo film, spin-off e altri manga che raccontano storie antecedenti o collaterali agli avvenimenti della saga principale. L’anime classico, articolato lungo ben 114 episodi trasmessi per la prima volta in Giappone dal 1986 al 1989, giunge in Italia nel 1990 da Odeon TV e deve molta della sua fama, ben meritata, al charcter design della Himeno e di Araki. Anche in Italia i critici sottolineano l’importanza dell’apporto artistico fornito da quest’ultimo nel garantire il successo de I cavalieri dello zodiaco, nonché di come questa produzione abbia colpito l’immaginario di un’intera generazione di italiani: “L’impatto di questa serie sul pubblico italiano fu «devastante». Le battaglie attiravano l’attenzione dei ragazzi, che si identificavano nei protagonisti (ciascuno secondo la propria natura psicologica), mentre la presenza di questi stessi protagonisti, diversi nelle fattezze e nel carattere, ma ognuno ricco di fascino e mistero, «irretiva» il giovane pubblico femminile. Il character design di Araki Shingo contribuiva anch’esso a rendere attraenti non solo i cinque protagonisti principali, ma anche i numerosi comprimari, dai Guerrieri d’Argento ai Cavalieri d’oro”. PELLITTERI, Mazinga nostalgia, p. 392.

Seiya/Pegasus. I Cavalieri dello zodiaco. Copyright degli aventi diritto.

Il lavoro di Araki non si ferma però alla serie TV originaria, già negli anni ’80 realizza i personaggi per le avventure cinematografiche degli eroici cavalieri al servizio della dea Atena e della giustizia: Saint Seiya: Gekijōban (La dea della discordia) del 1987, Seinto Seiya: Kamigami no Atsuki Tatakai  (L’ardente scontro degli dei) e Saint Seiya: Shinku no shônen densetsu (La leggenda dei guerrieri scarlatti), entrambi distribuiti nelle sale cinematografiche giapponese nel 1988. In tutti e tre il nostro, assieme alla sua socia Himeno, risulta accreditato in qualità di character design così come art director (direzione artistica). Negli anni ’90 ritroviamo il duo al lavoro sui personaggi di Yu-Gi-Oh! Duel Monsters (Yu-Gi-Oh!), tratto dal manga omonimo di Kazuki Takahashi, il cui successo ha generato non solo la relativa serie animata ma anche un ricco merchandising fatto di carte da gioco, giocattoli e videogiochi. Invece con l’inizio del nuovo secolo ritroviamo nuovamente Araki all’opera con un nuovo capitolo di Saint Seiya. Infatti tra il 2002 e il 2008 escono per il mercato dell’home-video le 31 puntate di Saint Seiya: Meiou Hades (I Cavalieri dello zodiaco – Saint Seiya – Hades  nota anche come Saint Seiya: The Hades Chapter), articolate tre partizioni narrative, cioè Sanctuary (Capitolo Santuario), Meikai-hen (Capitolo Inferno) ed Elysion (Capitolo Elisio). Stranamente, mentre erano stati appena distribuiti gli ultimi episodi di Santuario e i primi di Inferno, apparve un film ambientato successivamente alla battaglia ingaggiata dalla dea Atea e dai suoi guerrieri contro il dio Ade e le sue schiere infernali. Distribuito nelle sale del Giappone nel 2004, Saint Seiya: Tenkai-hen Josō ~ Overture ~ (Le porte del paradiso), si avvale del duo Araki e della Himeno in qualità di animatori; rimanendo a tutt’oggi il prologo di una mai realizzata saga dei Cieli (o di Zeus) mai realizzata. In Italia sono stati trasmessi tra il 2008 e il 2009 sia il Capitolo Santuario che il successivo Inferno mentre invece non ha mai goduto di un passaggio televisivo il conclusivo Elisio, al contrario del film Le porte del paradiso. Quest’ultimo, pur non avendo beneficiato di una distribuzione nei cinema nostrani, è stato però mandato in onda dal canale Hiro il 24 gennaio ’09, al termine della programmazione delle puntate del Capitolo Santuario e prima dell’inizio di quelle relative a Inferno. Oggi, anche se si dovesse decidere che Saint Seiya possa un giorno ritornare sul grande schermo grazie a qualche kolossal d’animazione, Shingo Araki non potrà esser lì a dar un mano nella sua creazione. Il sensei ha abbandonato il colorato mondo degli anime proprio dopo aver terminato il suo lavoro relativo al Capitolo Elisio, e ha lasciato definitivamente questa nostra Terra, ora un po’ più grigia e tetra, nel dicembre di quest’anno.

La dea Atena. I Cavalieri dello zodiaco. Copyright degli aventi diritto.


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