L’evoluzione della psicologia dei protagonisti degli anime robotici – Cap 1: Gli esordi


A cura di Claudio Cordella

Com’è noto la storia dei moderni anime robot inizia negli anni ’70 con Gō Nagai. Non che prima di allora non si fossero mai visti, nei cartoni animati e nei fumetti giapponesi, dei robot giganti ma i “robottoni” nagaiani sono assai diversi da tutti i loro predecessori. Il nostro ha una geniale intuizione che risulta essere epocale: immaginare che i piloti di enormi giganti meccanici non comandino più a distanza le loro macchine con dei telecomandi, così com’era avvenuto in passato, ma che invece possano salirvi direttamente a bordo. Certo, da questo punto di vista, i robot di Gō Nagai non sembrano esseri degli organismi cibernetici dotati di consapevolezza. Insomma, a differenza delle creature presenti nelle opere di scrittori di sci-fi come Isaac Asimov, Philip K. Dick e Stanislaw Lem, essi non sono in grado di fare alcunché senza l’aiuto di una controparte umana; è solo quest’ultima che conduce il robot in battaglia e si assicura, grazie alla propria forza, coraggio e tenacia, la vittoria finale. Non a caso la cabina di pilotaggio di questi titani è tradizionalmente collocata nella loro testa, un emisfero vuoto destinato ad ospitare l’eroico umano che sopperirà, con la sua mente e la sua volontà, le deficienze del suo partner robotico. Il successo di questo genere di storie, incentrate su epiche lotte contro mostruosi invasori, alieni e non, desiderosi di impossessarsi dell’intera Terra ma ossessionati dalla conquista dell’arcipelago nipponico, fu immenso. Da noi l’autentica apertura a questi robot antropomorfi, a volte chiamati mecha, avvenne con l’importazione degli anime robotici di Gō Nagai a partire dagli anni ’70.

Il classico Grendizer (Goldrake). Copyright degli aventi diritto.

Stiamo naturalmente parlando di quei cartoni animati trasmessi in Italia come Ufo Robot Goldrake, Mazinga Z, Grande Mazinga, Space Robot e Jeeg Robot. I giganti nipponici dell’epoca sono dei veri “super robot”, dotati di immensi poteri e di capacità distruttive inimmaginabili, non per niente essi riescono da soli a tenere in scacco interi eserciti e a ergersi quale unico baluardo dell’intero pianeta. Mostri simili non possono essere affidati a chiunque ma a esseri umani parimenti eccezionali, degli eroi se non addirittura dei supereroi. Persone del genere, dotate di un coraggio e di una tenacia fuori dal comune, non solo non possono permettersi di avere alcuna debolezza ma nemmeno di avere una vita privata degna di questo nome che possa  interferire con la missione a cui essi sono votati. Certo, qui stiamo semplificando e generalizzando, questi samurai tecnologici made in Japan, anche nelle loro incarnazioni più spaccone, non raggiungono mai quel livello di vuotezza e arroganza tipico dei pop-corn movie di matrice hollywoodiana. Si tratta di differenze causate da un diverso tipo di immaginario, le cui radici affondano in miti, tradizioni e simboli locali legati a due tipi di background culturale assai diversi tra loro. Il cinema americano di genere predilige l’eroe vincente, invincibile e capace di qualsiasi impresa, privo di qualsiasi dubbio e in grado di assicurarsi, prima dei titoli di coda, l’indiscussa vittoria sui propri nemici assieme all’incondizionato amore della bella di turno. Al contrario, il protagonista – tipo dei primi anime robotici è solo marginalmente assimilabile a questa concezione dell’eroismo.

Goldrake, illustrazione. Copyright degli aventi diritto.

 Prima di tutto i piloti creati da Gō Nagai ci appaiono come dei moderni samurai, influenzati come sono dall’etica tradizionale di questi antichi guerrieri; orgoglio, onore e sacrificio rimangono i valori fondamentali di riferimento. La virtù dell’auto-sacrificio, cioè la disponibilità a sacrificare sé stessi per il bene degli altri, assieme alla capacità di rinunciare a qualcosa per esser in grado di trionfare, sono dei tratti basilari nella caratterizzazione psicologica di questo tipo di personaggi. Mentre i più stereotipati eroi a “stelle e strisce”, presenti un tempo nei film di serie-B e oggi in produzioni dai budget stratosferici, sono dei trionfatori a tutto campo, qui invece abbiamo dei characters che in genere paiono avere ben poco di che rallegrarsi. Certo, anche a loro, giunto l’inevitabile momento dell’ultimo episodio, ottengono la tanto agognata vittoria, ma il cammino che gli ha portati a un simile risultato è stato lungo, pieno di amarezze e costellate da lutti. Duke Fleed, il protagonista di UFO Robot Grendizer (Atlas UFO Robot o Ufo Robot Goldrake) del ’75 – ’77, l’alieno proveniente dal pianeta Fleed che i telespettatori italiani hanno imparato a conoscere con il nome di Actarus, proviene da un mondo devastato in seguito a un’invasione. Sotto la copertura di un’identità fittizia, quella di Daisuke Umon, figlio dello scienziato Genzo (dottor Procton nel doppiaggio nostrano), costui intraprende una nuova, pacifica vita, presso una fattoria. Senza alcun dubbio Duke Fleed/Actarus preferisce i lavori agresti ai combattimenti e odia la guerra. Solo perché costretto,  abbandona l’aratro per la spada e si impegna in una serie di scontri durissimi contro gli invasori extraterrestri di Vega, già responsabili in passato della distruzione della sua terra natia. In tal modo l’animo del nostro è perennemente tormentato, scisso da un impulso contraddittorio che lo spinge a difendere il Giappone, sua patria d’adozione in quanto esule, e la sua indole gentile e pacifica. Solo il tacere delle armi e il ritorno della pace potranno riportagli un po’ di serenità.

Il Grande Mazinga. Copyright degli aventi diritto.

 Un animo ancor più fosco è quello di Tetsuya Tsurugi, il pilota del possente Grande Mazinga che fa la sua comparsa nell’anime Gureto Majinga (Grande Mazinga) del ’74 – ’75. Se Actarus è un nobile, una sorta di “cavaliere dello spazio”, Tetsuya è un orfano che è stato adottato con l’unico scopo di poter diventare un giorno un guerriero imbattibile. La sua psicologia è maniacale, ossessionato com’è dal pensiero del combattere e di vincere, arrivando a disprezzare in quanto dilettanti i piloti degli altri robot. Senza contare che il suo rapporto con la bella compagna di squadra Jun Hondo, a cui è stata l’affidata l’unità robotica dall’aspetto femmineo Venus A, non è certo dei più semplici. Abituato più a menare le mani che alle relazioni interpersonali, Tetsuya ha non pochi problemi a dichiarare il suo amore alla giovane, la quale dal canto suo non conduce di certo un esistenza idilliaca. Jun, in quanto afro-nipponica,  è vittima del razzismo e dell’emarginazione. Da questi pochi esempi, si può ben capire come l’eroe “nagaiano” non rappresenti affatto un tipo di umanità allegra e solare. I suoi robot fanno scuola, gli imitatori sono legioni, vengono prodotte serie su serie incentrate sulle lotte di sempre nuovi titani di metallo, destinati a diventare giocattoli per bambini, e i loro brutali nemici. Qualcosa però inizia inesorabilmente a cambiare tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80; un decennio che si annuncia rivoluzionario sin dai suoi esordi. Il regista Tadao Nagahama (1936-1980) è senz’altro uno degli artefici dei primi significativi cambiamenti all’interno di questo sottogenere. Certo, gli anime da lui diretti propongono ancora, com’era nella tradizione del tempo, i ripetuti combattimenti tra robot e alieni, ritualizzati e sempre uguali tra loro, con tanto di immancabile “super-arma finale” usata per il colpo di grazia, eppure qui c’è un altro elemento narrativo che inizia a emergere: quello della soap-opera.

Tre anime robot diretti da Nahahama, noti al pubblico nostrano come Combattler V, Vultus V e General Daimos, sono considerati come parte di un’ideale “Trilogia robotica romantica“. Se è vero che con Nagahama i “robottoni” non cambiano, invece i loro piloti umani subiscono una drastica trasformazione, con questo regista le vicende private di questi combattenti assumono un’importanza primaria. Ad esempio Chōdenji Machine Borutesu Voltes V, conosciuto in Italia come Vultus V, non solo strizza l’occhio più volte agli avvenimenti della Rivoluzione francese, non a caso Nagahama ha diretto anche degli episodi di Lady Oscar, ma è un “drammone” all’ennesima potenza con tanto di fratelli e fratellastri, tragiche morti, amori impossibili e un destino avverso sempre pronto a colpire. Gli stessi invasori alieni, lungi da essere delle mere creature, hanno una propria personalità individuale ben definita, sono capaci di odiare ma anche di amare, di tradire ma al tempo stesso di sapere che cosa sia l’onore. La figura del principe Heinel (Sirius nella versione italiana), giovane aristocratico extraterrestre desideroso di mettersi in luce agli occhi del proprio sovrano, è ben caratterizzata così come quella dei piloti del robot componibile Vultus V. Tre dei cinque piloti di Vultus V sono in realtà dei mezzosangue alieni, dato che il loro padre Kentarus era uno scienziato del pianeta Boazan caduto in disgrazia. Anzi, si scopre persino l’esistenza di un legame di sangue che unisce costoro a Heinel/Sirius. Lo stesso schema alieni-cattivi contro terrestri-buoni viene infranto da Nagahama; i veri malvagi sono gli aristocratici di Boazan, schiavisti e corrotti, che discriminano e sfruttano la maggioranza della popolazione del proprio mondo, vittima piuttosto che complice delle loro malefatte. La vittoria finale arride ai nostri proprio perché essi riescono ad allearsi con le forze ribelli anti-aristocratiche. Lo stesso Vultus V non è altro che il frutto delle ricerche del nobile alieno anti-schiavista Kentarus, ostile ai privilegi della sua casta d’origine, fuggito sulla Terra dopo diverse vicissitudini e ben deciso a combattere la tirannia. I nostri lottano per la libertà e la democrazia di tutti i popoli, non mirando al mero annientamento del nemico aggressore. Un’ulteriore nota tragica al conflitto viene data da Nagahama nell’ultimo episodio della serie: Heinel/Sirius è anch’egli figlio di Kentarus, nato da una precedente relazione dell’uomo prima del suo arresto. La lotta tra la squadra di Voltus V e l’esercito di Boazan assume dunque uno spiccato carattere fratricida, con annesso messaggio pacifista implicito: tutte le guerre sono conflitti tra fratelli.

Voltus V. Copyright degli aventi diritto.

Un mix analogo viene riproposto da questo regista nel 1979 con Mirai Robo Darutaniasu (Daltanious – Il robot del futuro), trasmesso per la prima volta in Italia nel 1981, dove ritroviamo reami stellari, lotte disperate, separazioni e ricongiungimenti inaspettati. Daltanious si distingue dai suoi predecessori anche per la caratterizzazione del protagonista, Kento, originale e ben studiata. Alcuni tratti della sua biografia, riguardanti la sua origine extraterrestre e il suo essere un discendente del casato imperiale di Helios, lo accomunano ai characters già visti Voltus V e in Goldrake, ma egli si distacca dai suoi predecessori grazie alla natura quasi contraddittoria della sua psicologia. Il Giappone devastato dall’armata Akron, un’alleanza tra diverse specie aliene, ricorda nelle intenzioni di Nahagama le condizioni del suo paese nel ’45, dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Ecco allora che Kento ci viene descritto come un ragazzo di strada, costretto a vivere di espedienti assieme all’amico Danji e ad altri ragazzi che come loro si ritrovano a non avere più nessuno al mondo. La sua vita è fatta di ruberie, in particolare ai danni di chi organizza il mercato nero delle derrate alimentari, fame, freddo, percosse e privazioni di ogni tipo caratterizzano le sue giornate. Kento è orfano, del padre si son perse le tracce da anni, solo in seguito si scoprirà che egli è ancora vivo e che è il figlio del deposto imperatore di Helios, mentre la madre e la sorella hanno perso la vita durante i bombardamenti degli Akron. Inevitabilmente il nostro si ritrova costretto a combattere per sopravvivere in una realtà spietata. Nonostante un destino così crudele Kento non mostra affatto una personalità ombrosa o triste. Pur se ben deciso a vendicarsi di chi lo ha privato dei suoi affetti, trasformando in tal modo la lotta per la libertà della Terra in una sorta di guerra privata, il nostro è ben deciso a godersi i pochi attimi di serenità e allegria con gli amici. Diventato per caso, assieme a Danji, il pilota del potente robot Daltanius, egli da il via alla sua lotta ma egli sembra ugualmente poco propenso a sottomettersi qualsiasi regola o disciplina. A differenza di tutti i suoi precedessori, escluso l’Actarus di Goldrake che amava la vita agreste, Kento non pare intenzionato a vivere nell’ipertecnologica base spaziale del Dottor Earl. Quando gli Akron distrussero la sua patria Earl fuggì sulla Terra portando con sé il piccolo principe Harlin, ovverosia il padre di Kento. L’arrivo di questi profughi interstellari coincide con i combattimenti della Seconda guerra mondiale e i due si perdono di vista, quando dopo molti anni Earl incontra Kento alla fine egli riconosce in quel giovane cencioso il figlio del suo protetto. Le idee di Earl sono assai chiare al riguardo: Kento dovrà sconfiggere gli Akron, sposare un’aristocratica di alto rango e rifondare il perduto impero di Helios. Peccato che al giovane non interessino né gli imperi galattici, né il potere. Egli infatti sceglie di continuare a vivere, assieme a Danji e a tutti gli altri suoi compagni di scorribande, all’interno di un vecchio autobus scassato; lontano da quelle norme del rigido cerimoniale di corte a cui Earl vorrebbe abituarlo. Ecco allora che in Daltanious la tragedia si alterna sapientemente alla commedia, il riso al pianto, mentre Kento, nonostante gli eventi di portata cosmica in cui si trova catapultato, le sconfitte e le vittorie, vuole solo una cosa: esser libero di essere sé stesso.

Baldios, il protagonista Marin. Copyright degli aventi diritto.

Non si deve però pensare che Nagahama sia l’unico innovatore del genere robotico apparso in questo lasso di tempo, si pensi solo alla sfortunata serie Uchū Senshi Barudiosu (Baldios – Il guerriero dello spazio) di Akiyoshi Sakai. Baldios, trasmesso per la prima volta in Giappone tra il 1980 e l’81. Penalizzato dagli ascolti, che ne decretarono la cancellazione anticipata, Baldios ebbe un degno finale solo in una versione cinematografica. Il pilota protagonista, Marin Reigan, viene anche qui spinto alla lotta da motivazioni di carattere personale, il padre infatti gli viene ucciso davanti agli occhi dai militari che prendono il potere nel mondo di S-1. Eppure questa volta la guerra non porta con sé alcuna vittoria. In Daltanious alla fine dell’animeci viene svelato il lato oscuro dell’impero di Helios, solo all’apparenza civile e illuminato, in realtà capace di creare dei cloni, qui chiamati biodroidi, come banche degli organi viventi. Sia il Supremo Kloppen, comandante delle forze d’invasione della Terra, sia il Mega-Imperatore Ormen, sovrano di Zaar e di tutti gli Akron, non sono altro che cloni; il primo, nonostante le sue errate convinzioni in proposito, di Harlin mentre il secondo del nonno paterno di Kento. Ebbene, in Baldios accade anche di peggio. Pure in questo caso abbiamo un nemico la cui la natura è stata mal compresa sin dall’inizio, gli abitanti di S-1 non sono degli extraterrestri ma giungono da un lontano futuro di desolazione e morte. Essi, alla ricerca di un mondo da conquistare e colonizzare, dopo un balzo spazio-temporale sono giunti per errore non nelle vicinanze di un’altra stella ma nel loro stesso passato. Invasori e invasi si ritrovano imprigionati in un paradossotemporale che non lascia scampo. La guerra tra i terrestri e gli abitanti di S-1 non farà altro che inquinare con le radiazioni la terra, l’acqua e l’aria generando quella landa desolata che a sua volta porterà all’emigrazione temporale e al successivo conflitto. In tal caso il pilota del Baldios, Marin, non riesce purtroppo a fare la differenza e a rompere questa spirale d’incubo; l’unica cosa che egli può fare è cambiare il rapporto che ha nei confronti della bella Aphrodia. Il giovane odia la donna perché è una fedele seguace del dittatore Theo Gattler, il capo supremo del regime dittatoriale di S-1, responsabile della morte del padre, mentre a sua volta Aphrodia ha dei seri motivi di risentimento nei confronti di Marin, essendo quest’ultimo l’assassino del fratello. Solo il reciproco perdono e l’amore potrà sanare le ferite dell’animo di entrambi, aiutandoli ad affrontare l’inevitabile tetro futuro che gli attende. In Baldios non c’è happy end e l’apocalisse non è in alcun modo evitabile. Si tenga però ben presente come la portata rivoluzionaria delle produzioni di cui abbiamo parlato sinora, tutte apparse a cavaliere degli anni ’70 – ’80, non debba esser esagerata. Non si deve dimenticare di come sceneggiatori e registi avessero le mani legate, dovendo accettare in un modo o nell’altro le convenzioni narrative del sottogenere “super robot”, imposte loro dai produttori. Sino a che i mecha presenti nelle serie televisive sarebbero stati dei “robottoni” dagli inverosimili poteri, impegnati in duelli cavallereschi con il nemico di turno, un vero cambiamento sarebbe stato impossibile. Per avere un’autentica svolta si sarebbe dovuto attendere Yoshiyuki Tomino e il suo Kidō Senshi Gandam (Mobile Suit Gundam).