La polvere del tempo di Daniele Picciuti


Se si escludono  quei casi in cui l’estro creativo dello scrittore si fa strabordante, o viceversa, alle spalle del suo genio fa capolino una certa tendenza alla generalizzazione, il titolo di un’opera dovrebbe sempre interpretarsi come una lapidaria ma efficace sintesi dell’intento autoriale: certamente questo è il caso de La polvere del tempo, racconto breve di Daniele Picciuti edito da La mela avvelenata.

Lungi dal volersi avvalere di qualche espressione pre-confezionata e ormai decisamente stantia, l’autore dissimula abilmente nel titolo i due motivi portanti attorno cui si addensano le pagine brevi ma suggestive del suo racconto. La polvere tossica che aleggia su Nuova Roma, capitale impoverita – e impolverata – dell’era del disfacimento 2195, ha infatti una triplice simbologia: in primo luogo stabilisce un quasi  impercettibile parallelo tra realtà e finzione, richiamando le polveri sottili che infestano le metropoli attuali, e che seppur non si mostrano ai nostri occhi con la stessa tenace evidenza non sono certamente più salutari di quella della scena letteraria.

In secondo luogo, la polvere del futuro immaginato da Picciuti non è solo indice di un mondo inquinato, devastato dalla superbia degli uomini; è una coltre giallastra che ricopre ogni cosa, dai relitti dei monumenti del passato, alle strade, finanche alle persone, e che come quella prodotta dagli acari suggerisce un senso di abbandono e nostalgia, motivo per cui quello su cui si muovono Lorenza e i pochi altri personaggi altro non è un palcoscenico pieno di reliquie senza vita, proprio come una soffitta ingombra di oggetti polverosi ed inservibili.

Ancora, la polvere è l’ennesimo ostacolo ad una vita serena, un soffio letale e inafferrabile contro cui combattere stancamente, ma più di tutto è la testimonianza tangibile del GrandeDisastro, un monumento a ciò che gli uomini sono stati capaci di fare alla natura, al mondo, a loro stessi; forse l’unico ancora dotato di respiro in un mondo rantolante e privo di storia.

È a questo punto che il tempo, altro grande protagonista di questa novella, fa il suo ingresso trionfale, preannunciato dall’intelligente essenzialità del titolo: nonostante il solaio affollato in cui Nuova Roma si è tramutata, i ninnoli inutili che la adornano non hanno il potere di restituirle il suo passato, o almeno, quanto del suo passato andrebbe recuperato.

In definitiva, quello di Picciuti è uno scenario astorico, nel quale non è prevista alcuna  possibilità di riscatto fin quando non verrà strappata all’oblio la memoria collettiva, cristallizzata dell’essenza degli Arcangeli.

Come insegna GeorgeOrwell in 1984, un popolo privo di storia si ritrova talmente infiacchito nella sua forza morale da non esser nemmeno in grado di concepire una ribellione, perché dalla storia egli trae senso critico, spirito d’osservazione, desiderio d’emulazione, coscienza e moralità, e in una società in cui anche la storia è asservita agli scopi del Partito, niente di tutto ciò è possibile.

Questa la lezione che l’autore ha appreso, e questo il senso ultimo della ribellione di Lorenza, che parte sì dal rifiuto caparbio di quanto già conosciuto – il presente – per rinsaldarsi però nell’abbraccio di quanto sconosciuto, il passato.

Molto altro si potrebbe aggiungere sulle pagine densissime de Le polveri del tempo: balza all’occhio, per esempio, il riferimento ad un’altra opera del medesimo autore, che è il romanzo Terraluna, non solo per lo sfondo ugualmente straziante, ma per una simile predilezione per il rapporto uomo – animale, che nella prospettiva di Picciuti rappresenta un sostituto assai valido delle relazioni sociali e familiari, meschine se non del tutto assenti.

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Ulteriore affinità si intravede tra il racconto e The Road, film meritevole ma non troppo conosciuto, ispirato all’omonimo romanzo di Cormac McCarty e appartenente al filone già ampiamente sfruttato della sopravvivenza in uno scenario post-apocalittico: in entrambe le narrazioni i protagonisti sono spinti dalla continua, strenua ricerca di cibo, da una minaccia esterna  non ben identificata ma sempre pressante – nel racconto incarnata negli orribili Predatori – e dal desiderio di raggiungere il mare per poter sperare in una vita migliore.

Nel film, la corsa verso i lidi marittimi è dettata da fini puramente utilitaristici, cioè dalla convinzione che lì sia più semplice trovare cibo e riparo, oltre che una comunità pronta ad accogliere i due sopravvissuti; nel racconto la fuga di Lorenza si riveste invece di una valenza simbolica, dovuta all’ incompatibilità tra la polvere che insudicia Nuova Roma e l’unico elemento in grado di spazzarla via, purificando il mondo intero e coloro che lo abitano: l’acqua.

Alessandra Sorvillo

STILE E TECNICA
ORIGINALITA'
PERSONAGGI
GESTIONE DELLA TRAMA
COPERTINA
VOTO PERSONALE
Final Thoughts

Overall Score 3.8