“Il ritorno del re”: un successo lungo dieci anni


sfondo-desktop-il-signore-degli-anelli-439Dieci anni e non sentirli. Anzi, dieci anni e apparire in splendida forma. Chi direbbe, infatti, che “Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re”, ultimo capitolo della pluripremiata e visionaria trilogia del regista Peter Jackson, tratta dall’immortale capolavoro di J.R.R. Tolkien, abbia già compiuto un decennio di vita? Era il 22 gennaio 2004, infatti, quando la pellicola usciva in Italia (un’eternità a pensarci ora), con un mese appena di ritardo dagli States. E fu subito successo. Dieci anni ma non sentirli affatto, perché come ogni buon whisky, anche il film di Jackson è migliorato con lo scorrere del tempo, acquistando quei “gradi” del cult che lo collocano di diritto tra le pellicole eterne. E tuttavia i meriti di Jackson vanno ben oltre aver reso reale quello che generazioni di lettori si erano limitati solo a sognare; il tempo, galantuomo come non mai, ha infatti svelato poco a poco tutta la bontà del lavoro che oggi, a due lustri di distanza, può essere apprezzata appieno.

lord-of-the-rings-ii-aragon-and-friends-4900243Tanto per cominciare Jackson, dimostrando un coraggio fuori dal comune (in molti avevano pensato a una trasposizione cinematografica del romanzo di Tolkien, salvo poi ritirarsi di fronte alla maestosità dell’opera e all’impegno che avrebbe richiesto) ha deciso di cimentarsi nell’impresa. Correndo rischi enormi, personali e non, come “bruciarsi” la carriera o realizzare un’opera aspramente criticata dai fan e dagli appassionati di Tolkien. Nessuno, infatti, sa essere più crudele di un ammiratore “tradito”. Ma come ogni eroe degno di questo nome, Jackson non ha fallito. E il successo è stato totale e planetario.

Ma dicevamo dei suoi meriti. Come non sottolineare, infatti, l’importanza del suo film nello sdoganare un genere, quello fantasy, fino ad allora considerato di nicchia, tanto al cinema, quanto in libreria? Lo stesso Tolkien, conosciuto soprattutto dagli appassionati, ha potuto godere di nuova vitalità e di una nuova ondata di riconoscimenti, anche da quella parte del grande pubblico che prima dell’opera di Jackson ne ignorava perfino il nome. Viene da chiedersi (e vi invito a farlo), se oggi potremmo leggere o vedere “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di George R. R. Martin, se non ci fosse stato Jackson con il suo film. Non è stato lui con la sua opera a “sbloccare” l’interesse delle masse, rivitalizzando un genere che prima di lui era sconosciuto ai più? I tanti autori fantasy emersi in Italia e all’estero in questi ultimi dieci anni ci sarebbero stati senza quel film? Difficile dirlo, io dal canto mio propendo per il no.

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C’è poi da dire un’altra cosa. Girare un film è difficile. Girare un bel film è molto difficile. Girare un capolavoro è un’impresa. E lui c’è riuscito, mostrando capacità che non si sono limitate alla regia. Molti infatti ignorano che Jackson ha preso in mano l’intero processo produttivo, girando insieme i tre film, uno dopo l’altro, riuscendo in tal modo a mantenere non solo un senso di unità, come un invisibile filo-rosso che collega le tre pellicole, ma aggiungendo il merito di aver fatto crescere la tensione narrativa, poi esplosa in quell’ultimo film, in quel “Ritorno del re” che è la degna conclusione di un’opera epica, sulla carta prima e sullo schermo poi.

Logico attendersi quella cascata di riconoscimenti che poi sono arrivati. Annunciati e meritati. Il pubblico ha infatti ricompensato quell’ultimo film garantendogli introiti per la sbalorditiva cifra di 1,1 miliardi di dollari; poi Jackson, tanto per gradire, si è tolto la soddisfazione di fare l’en plein: vinti tutti gli undici Oscar per i quali concorreva, portando così a 17 le statuette totali assegnate alla trilogia. E consegnando all’immortalità un film che, a dieci anni di distanza, lascia ancora a occhi aperti.

Il re è tornato. Evviva il re.

 

Stefano Mancini

 

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