Il Sapore della Vendetta di Joe Abercrombie.


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Styria. Palazzo del Duca Orso. Monza Murcatto, la Serpe di Talins, la Macellaia di Caprile, il comandante delle Mille, e suo fratello Benna sono convocati in una riunione dal loro datore di lavoro. I due aspettano di essere gratificati, Monza è la punta di forza di Talins nella guerra contro la Lega degli Otto, si è distinta per la sua determinazione e abilità al comando. Ma nella sala di Orso, al cospetto del suo staff di consiglieri e guardie del corpo, non c’è nulla di buono ad attendere i Murcatto. Benna viene ucciso, trafitto dalla spada di persone che reputava amiche, alleati. Monza viene ferita gravemente e scagliata giù dalla finestra del palazzo. L’agguato però non produce i risultati sperati. La Macellaia di Caprile viene trovata mezza morta sulla riva di un fiume. Il suo salvatore è un misterioso individuo, un abile chirurgo che si prende cura di lei e delle sue ferite. La pelle si ricuce, le ossa si rinsaldano, ma il dolore per la perdita del fratello rende Monza cieca. Non può avere pace, non può dare un senso alla propria esistenza se non avrà bagnato le sue mani con il sangue degli assassini. Uno alla volta tutti dovranno morire, anche il Duca Orso. Questa è la storia Monza, il sapore della sua vendetta.

Lo scrittore britannico Joe Abercrombie, esponente di spicco di quella nuova corrente fantasy che predilige il realismo alla magia e agli elfi, ritorna di prepotenza sul mercato editoriale italiano con Il Sapore della Vendetta (Gargoyle Books). Se avete imparato ad apprezzare il suo stile con la trilogia The First Law, questa nuova pubblicazione vi lascerà senza parole. La storia si colloca proprio nell’universo dei romanzi precedenti. Abbiamo lasciato Logen Novedita, Glotka e gli altri personaggi della saga a Nord, per imbarcarci con Caul il Brivido sulla prima nave diretta in Styria. Abbiamo già incontrato Caul, personaggio secondario nelle guerre del Nord, e adesso lo seguiamo verso il suo viaggio alla scoperta di sé stesso. Vuole diventare un uomo nuovo, gli hanno detto che oltre mare ci sono opportunità per tutti, basta rimboccarsi le maniche. Desidera lasciarsi alle spalle il sangue e la morte, ma finisce in strada come un barbone. Se la Styria è la terra delle opportunità, allora queste non sono per nulla intenzionate a farsi cogliere da lui, o quasi. La sua occasione ha il volto di una donna misteriosa, Monza, che interviene a salvarlo in un vicolo dall’attacco di alcuni balordi che volevano derubarlo. C’è qualcosa nei suoi modi che lo strega, Caul ne é attratto e poi entrambi sono legati da una storia, entrambi hanno perso un fratello. Monza cerca vendetta e Caul è l’uomo che fa per lei, lui è l’inizio, il primo membro di un gruppo di antieroi per eccellenza che l’accompagnerà in una folle missione, omicidio per omicidio, fino alla vendetta finale.

Fantasy Planet ha seguito con attenzione Joe Abercrombie, è un autore di grande talento. I suoi romanzi sono completi, riesce a passare dall’azione tipica del fantasy al thriller, agli intrighi, condendo il tutto con la giusta dose di dark humor e con una spiccata attitudine alla caratterizzazione dei personaggi. Il punto di forza dell’autore britannico è proprio rappresentato dalla bravura con cui riesce a rendere i suoi “attori” reali: nulla è scontato, il conflitto interiore è vivo e genera empatia. Durante la lettura si percepiscono le emozioni, si suda e sanguina al fianco di Monza e di tutti gli altri personaggi. Abercrombie è stato ospite di FP, in un’intervista rilasciata alla nostra redazione ha chiarito la sua concezione di scrittura creativa. Il Sapore della Vendetta in Italia è tradotto dal bravissimo Edoardo Rialti: eravamo curiosi di scoprire i segreti che si nascondevano dietro il prezioso lavoro di un traduttore ed Edoardo rappresenta la guida perfetta per avventurarci in questo mondo.

Facciamo due chiacchiere con lui.

1) Una vita in viaggio, trenta anni e già una carriera come docente all’estero, un impegno da giornalista, saggista, ma soprattutto da traduttore. Un’esistenza impegnativa, direi, che cammina su un binario parallelo alla letteratura. Come è nata la tua passione per i libri e perché proprio “tradurre”?

Anzitutto, grazie per questa chiacchierata e complimenti, stracomplimenti per il sito! Come direbbe Gandalf a Omorzo, possano i followers scorrere come la birra!
Per quanto riguarda la mia vita, i draghi ci sono SEMPRE stati: nel primo video che i miei genitori mi fecero a quattro anni imitavo gli orchi del “Signore degli Anelli” di Bashki. E fu molto divertente quando ritrovai il mio pediatra e gli raccontai che, in effetti, sono trent’anni che continuo a giocare con i cavalieri e i mostri, e che ho intenzione di farlo fino alla fine. Ho sempre amato le storie, ed in particolare le storie di avventura, le fiabe, i miti. Il primo ricordo letterario che ho è un adattamento dell’Odissea per ragazzi. E da quando ho avvertito il brivido lungo la schiena mentre leggevo di Ulisse che, coperto di stracci e ingrigito, improvvisamente getta via le vesti da mendicante, tende l’arco dorato e, come Clint Eastwood, dice “Adesso miro a un altro bersaglio” e si vendica dei Proci, non ho più smesso di leggere. Io ho bisogno di storie. Di qui, col tempo, il desiderio di far diventare questo parte decisiva della mia vita lavorativa, mettendo a disposizione nella lingua della nostra gente alcune delle storie che amavo di più. Si tratta sempre di una grande emozione, e un grande onore. Quei personaggi, quelle scene, quelle battute a me hanno dato così tanto. Se possono raggiungere qualche altro bambino (di 5 o 50 anni) e dare un brivido anche alla sua schiena allora ho fatto il mio lavoro di bardo come dovevo. A volte mi domando perchè mi paghino, anche se ho la premura di non palesare questo quesito ai miei editori! Me lo chiedo sottovoce. Qualche giorno fa ero abbastanza stanco, dopo parecchi mesi di lavoro intenso. Stavo traducendo una perfida piratessa ubriaca. Mi sono fermato a stropicciarmi gli occhi, e poi mi sono detto: “ma se non avessi da lavorare, oggi, se avessi il pomeriggio libero, che farei?” e la risposta è stata “Cercherei una piratessa ubriaca da tradurre!” E mi sono rituffato al lavoro ridacchiando.

Edoardo Rialti

Edoardo Rialti

2) Le spade di Joe Abercrombie si tingono di sangue in Italia grazie al tuo contributo. Quello del traduttore è un lavoro occulto, fatto dietro il palcoscenico, al pari di editor e correttori. Un’unica fucina in cui si forgiano le grandi storie. Come è stata la tua esperienza a lavorare con Abercrombie? Ti sei sentito stimolato dal suo stile? E quali i momenti più difficili, se ce ne sono stati?

Lavorare su un grande narratore come Abercrombie, con la sua prosa ricca, audace, dettagliata, la sua ironia sferzante, la violenza realistica, la complessità dei personaggi e la forza cinematografica della trama, è un piacere davvero immenso. E piacere e fatica non si contraddicono affatto, nella mia esperienza quotidiana, anzi. Quando ami qualcosa ami dedicargli tempo, spazio, energie, il lavoro che ti fa “macro”, come diceva Dante. Quando l’ho scoperto volevo a tutti i costi tradurlo, e sono davvero grato a Gargoyle e Mondadori per avermi voluto a bordo. Si tratta di una stella del firmamento letterario tout-court, assolutamente nella mia top ten. Leggere un grande romanziere è come guardarlo ammirati scalare una montagna, e condividere lo spettacolo ai suoi piedi e tutto intorno a lui, come se avesse una telecamera sulla spalla. Tradurlo vuol dire mettersi dietro di lui e, passo passo, provare a scalare quella montagna. E ti accorgi in maniera molto concreta di quanto possa essere mostruosamente grande, maledettamente aguzza, impervia, e di che immenso lavoro ci sia in ogni movimento delle mani e dei piedi di questi scalatori d’eccezione. Tu ti affanni dietro e ogni tanto sbotti “Ma come cazzo ha fatto ad arrivare lassù? Non c’è un appiglio apagarlo oro!”. Impari davvero tantissimo, in termine di stile, costruzione della trama, e noti rimandi, riprese, accenni che in una semplice lettura magari assorbi con minore consapevolezza, anche se non con minore efficacia. Ti tagli spesso le mani, ti sbucci le ginocchia e batti qualche testata. Tutte cose che servono. Ma è un gran divertimento, prima, durante, e dopo ogni altra cosa: ricordo molto bene un giorno in cui stavo traducendo il suo perfido, divertentissimo avvelenatore Morveer, con la sua parlantina sprezzante, e sono scoppiato a ridere. Ero in biblioteca e qualche testa si è girata indispettita. Ho pensato di spiegare “Scusate, è che sto traducendo un avvelenatore di-ver-ten-tis-si-mo!” Poi ho pensato che forse avrei avuto qualche problema a essere riamesso il giorno dopo. La piacevole difficoltà, quella che non ti fa dormire sugli alloro ma ti fa chiedere ogni giorno come lavorare al meglio, sta proprio nell’inestricabile legame tra forma linguistica e significato, propria di ogni cultura. L’inglese è una lingua densa, che proprio per questo si presta molto all’ironia, all’understatement. ma è al contempo ricca in una modalità molto sua, diversa dall’italiano: parecchi avverbi, frasi brevi. Il lavoro sta proprio nel rendere tutto questo con la massima aderenza possibile, ma nella forma mentis della lingua di arrivo. Dirò una banalità, ma è proprio vero che traduzione funziona quando il lettore non pensa che sia una traduzione, quando non si notano rattoppi o cuciture forzose (come quando S. King diceva che nei film horror degli anni ’50 si vedevano le cerniere lampo dei costumi dei mostri). Io poi ho la fortuna di avere un circolo ristretto di amici, lettori appassionati, cui sottopongo il lavoro, e da cui ricevo sempre consigli davvero utili, talvolta decisivi. Il primo resta sempre il mio fratello d’armi Sam Macchi. la tua metafora della forgia è inoltre davvero accurata: in editoria si fa molto lavoro di squadra, e spesso il gioco anonimo di revisori è altrettanto decisivo di chi sta in prima linea. I correttori di bozze sono i Frodo Baggins delle case editrici! Il grande privilegio e aiuto poi, con scrittori della disponibilità di Abecrombrie, è che puoi chiedere chiarimenti, e proporgli le tue soluzioni stilistiche, e incontrare sempre grande e illuminante disponibilità. Non ho dubbi che anche Shakespeare, Wilde, Tolkien sarebbero altrettanto gentili. Tuttavia non rispondono mai alle mie mail, mah.

Joe Abercrombie

Joe Abercrombie

3) Gargoyle Books ha avuto il merito di portare il di Abercrombie nelle nostre librerie. Quanto credi che il lavoro di scouting possa supportare l’editoria italiana in questo periodo di crisi della lettura? E quanto si potrebbe ancora fare per convincere le persone che i libri non mordono? E poi, Edo Rialti che tipo di lettore è? Il romanzo che hai sul comodino?

Davvero molto! Uno dei grandi vantaggi del web è che permette, credo, una grande circolazione di idee, segnalazioni, spunti. Spesso anche i blogger fanno già conoscere, con coraggio e intelligenza, libri e autori molto prima che questi vengano effettivamente tradotti. A volte bisogna stare attenti a discernere, perché taluni lettori-recensori adombrano degli scrittori mancati, e spesso lamentano nei libri la carenza di quello che loro ci avrebbero messo! Si può essere pericolosamente dogmatici anche in ambito critico-letterario. Ed è un peccato, perché niente fa bene alla mente come un appetito sano e vario, anche per quanto riguarda le letture. Chi chiede sempre lo stesso libro somiglia un pò agli Hobbit che squadrano Gandalf in cagnesco. Taluni commenti, esaltazioni o stroncature rischiano di essere più emotivi che razionali, ma ci sono anche tanti, tantissimi stimoli ricchi, equilibrati, proposte e intuizioni coraggiose, tanta ironia e alla fine serve tutto, anche il commento di chi scrive un pò ingenuamente a caratteri cubitali “QUI CI VORREBBE UN DRAGO A TRE TESTE!”  Come se ogni fantasy che si rispetti abbia bisogno di incantesimi e mostri superlativi a ogni piè sospinto. In realtà sulla vexata questio “Ahimè la gente non legge! O tempora, o mores!” io sono molto positivo. In autobus, in treno, io vedo parecchia gente col naso ficcato in un libro, o a guardare una bella serie tv, che è un’altra forma di narrazione, niente a fatto dissimile dai romanzi a puntate di Dickens o Hugo. Anzi mi pare che anche in questo caso il web e persino i social network contribuiscano non poco a creare un linguaggio di storie comuni: oggi puoi scherzare sui Lannister, o su Han Solo, con persone di culture e paesi diversi, puoi divertirti a leggere gli strilli di orrore per le “Nozze rosse” di Martin. E le storie condivise fanno bene, come insegnava già il nostro Boccaccio. tengono alla larga parecchie pesti, interiori ed esteriori. Per quanto mi riguarda, datemi STORIE LUNGHE, dei lunghi racconti avvincenti che mi tengano sveglio a notte fonda, che mi facciamo compagnia per tutto l’inverno, o mentre sono, ancora una volta in
treno, magari facendomi gongolare per l’ennesimo ritardo. Abercrombiequesto effetto me lo fece. Ricordo benissimo come mi gustai quell’ora di attesa in più sulla banchina, sentendomi ricco, perchè potevo tornare a tuffarmi in quelle pagine. Amo stili e narrazioni diverse, e non dico certo di no a J. Austen o Proust. Amo farmi portare dove non sono mai stato, o riscoprire quello che già conosco con occhi rinnnovati: amo la fantascienza di Ursula Le Guin, o la Grecia antica di M. Renault. I grandi libri aggiungono vita alla vita, visto che una sola non ci basta. Io lo dico sempre ai miei studenti: una delle cose più belle del leggere un gran bel libro, è godersi il mondo con gli occhi di qualcun altro, che sia un’adultera della russia zarista, un eroe greco invincibile che ha perso il suo amato compagno, un principe danese che riceve un incarico da un fantasma. Come diceva Lewis più cerchi ha l’albero, più l’albero è cresciuto, ma le mie preferenze corrono sempre e anzitutto alla grande narrativa d’avventura, che si tratti dell’Odissea, del Conte di Montecristo, di un Martin. Datemi tradimenti, battaglie, intrighi. Datemi regine che battono i pugni sul tavolo e pirati. Come dico sempre con mio padre “Se in questo film non ci sono asce e non esplode niente, perché guardarlo?”

4) Il Sapore della Vendetta ha messo in risalto le tue qualità come traduttore, ma sono sicuro che questo lavoro è solo un punto di partenza. Puoi anticipare ai lettori di FP i tuoi progetti futuri? E soprattutto, per tutti quelli che stanno decidendo d’intraprendere il mestiere deltraduttore, quali sono i consigli e suggerimenti che potrebbero essere loro utili?

Presto uscirà “Half a King” di Abercrombie, che non vedo l’ora possiate leggere. Si tratta  davvero di un grande romanzo. Nel frattempo, prima di dedicarmi al secondo volume “Half a world”, tradurrò il bel “Red Rising” di P. Brown, e mi sa che mi servirà un casco, visto che stavolta andiamo su Marte. In contemporanea devofinire due libri di Oscar Wilde, e sarà divertente eccome muoversi dalle porcellane vittoriane alla lotta feroce dell’aristocrazia in un futuro distopico!  A settembre poi uscirà “La lunga sconfitta, la grande vittoria”, la mia biografia letteraria di Tolkien. Stiamo inoltre pensando di adattare a fumetto alcuni romanzi molto belli e molto celebri, ma al riguardo posso solo fare accenni muti con gli occhi, come i prigionieri di qualche film sui gladiatori… E poi ci sarebbe la mia di narrativa, con un romanzo breve e uno mooooolto più lungo che avrebbero bisogno di più tempo e attenzione, ma che spero di completare entrambi al più presto. Per chi volesse intraprendere l’avventura del tradurre, oltre a un caloroso “Benvenuto a bordo!” (magari con l’alito fetido e i denti d’oro di un pirata), il mio consiglio è essenzialmente duplice. Da una parte legge leggere leggere leggere leggere….leggere l’ho già detto? Sia nella lingua che si deve tradurre che in quella in cui si deve tradurre. E nel modo più variegato possibile; e poi di tenere gli orecchi ben aperti, perchè come diceva Lewis “si scrive con l’udito”. Quante volte dei suggerimenti su come rendene una frase, una battuta, un personaggio mi sono venuti da una conversazione udita sull’autobus, o per la strada, o guardando un film. Ricordo quanto una volta, in palestra, finii quasi per capitombolare giù dal
tapis-roulant gridando “Ma certo! la parola che mi serve è falcata!” In questo senso una delle cose belle del tradurre è che ti serve semplicemente tutto. Se poi qualche giovane scrittore volesse provarci, sappia che costituisce una straordinaria palestra di allenamento per lo sviluppo della propria narrativa. Un pò come fare da scudiero da Jaime Lannister. Anche se forse ho scelto l’esempio sbagliato, ehm. E come abbiamo bisogno di grandi narratori, e ce ne sono eccome, così abbiamo bisogno di grandi traduttori. Ci sono un sacco di storie che meritano di essere raccontate, e magari hanno bisogno proprio della tua voce.