I Demoni del Ghiaccio – Stefano Federici – Intervista


Intervista Stefano Federici

A cura di Anna Grieco

 

I demoni del ghiaccio”

Estratto del libro: http://www.fantasyplanet.it/2012/12/11/i-demoni-dei-ghiacci-estratto/

Note biografiche dell’autore

Stefano Federici è nato nel 1955 a Bologna. Ha scritto e illustrato libri per l’infanzia e pubblicato settimanalmente per molti anni sul “Corriere dei Piccoli”. Oggi vive a Taranto, dove si occupa di grafica e insegna discipline artistiche.

Sinossi: Tanith corre con i lupi dell’Orda, sfidando il gelo delle Terrefredde. Si muove con l’accortezza di un predatore e ne possiede la ferocia, ma è solo una ragazzina. Cresciuta dal branco e dalla misteriosa Sciamana, Tanith non ha paura di niente, come i lupi che l’hanno accolta tra di loro. Né delle gigantesche creature che popolano i ghiacciai né dei soldati dell’imperatore venuti da lontano per imprigionare suo padre, il leggendario Signore dei Lupi. Per liberarlo, la giovane dovrà viaggiare fino ai confini di Tlön, un regno in decadenza lacerato da sanguinose battaglie tra clan rivali. Insieme a Tanith combattono l’amato fratello Garr, che l’aiuterà a scoprire davvero se stessa, e il boia Malamorte, depositario di antichi riti negromantici e di un segreto che potrebbe salvare l’impero dalla distruzione. Perché su Tlön incombe l’oscura minaccia di un popolo primigenio che esige tremendi sacrifici umani per ritornare alla luce.

Con I demoni del ghiaccio Stefano Federici racconta l’epopea fantasy di una giovane ribelle, pronta a sfoderare gli artigli contro il Male che si risveglia nel cuore della sua terra e contro quello che segretamente si annida nel suo.

Intervista all’autore Stefano Federici.

 

Chi è Stefano Federici?  Parlaci un po’ di te.

 

Considerando il panorama degli scrittori fantasy italiani potrei senz’altro definirmi una stranezza. La prima anomalia è nel dato anagrafico. Gli altri autori di questo genere nel nostro paese sono tutti giovanissimi mentre io non sono più nemmeno giovane. Di spirito sì, questo sicuramente. Per fortuna mi fa compagnia “il vecchio” George R. R. Martin, che di anni ne ha ben sette più di me.

Vista l’età, ho fatto molte cose, nella vita. Tutte più o meno creative. Ho fatto il cantautore (e allora sì che ero davvero molto giovane), il grafico, l’editore (avevo 21 anni quando insieme a tre soci cominciammo le attività de L’Isola Trovata, una piccola ma volonterosa casa editrice di fumetti d’autore). A 27 ero pubblicitario nel duplice ruolo di art e copy. Ho illustrato libri per bambini per Malipiero editore; scritto e illustrato romanzi per Panini Ragazzi; scritto e disegnato fumetti per il Corriere dei Piccoli in tutta la prima metà degli anni novanta. Ora insegno grafica pubblicitaria in un istituto professionale di Taranto, la città in cui risiedo. E, per finire, da qualche anno (dal 2008, per la precisione) scrivo questa storia, questa fiaba nera…

Sei da sempre un appassionato del genere fantasy? Come è nata questa passione?

 

La seconda anomalia credo proprio che sia questa. Non mi definirei un appassionato di fantasy. Non ho letto moltissimo, di questo genere. Il solito Signore degli Anelli e Conan di Howard quando ero ragazzo. Pochissimo fantasy italiano. Martin l’ha scoperto mia figlia nella forma di serial TV. Quando uscì Game of Thrones lei risiedeva all’estero per lavoro e io ero a metà della stesura del seguito de I Demoni del Ghiaccio (in attesa che uscisse il primo). Per seguire quel consiglio mi procurai una versione sottotitolata. Poi, l’estate successiva, con un po’ più di tempo a disposizione, mi sono dedicato alla lettura di Martin partendo più o meno dall’interruzione della serie tv. Ho proseguito per un paio di migliaia di pagine. Poi mi sono fermato per “variare la dieta”.

Sono un lettore onnivoro e ho letto di tutto, ma veramente di tutto, e di tutti i generi. Fra le mie preferenze, ciò che di più assomiglia al fantasy è la letteratura fantastica, quella classica, e quella accuratamente collezionata da Borges nella sua Biblioteca di Babele, per intenderci.

Cosa ti ha spinto a voler diventare uno scrittore?

 

Altra anomalia. Non ho cominciato a scrivere per “fare” un libro. Riavvolgo la pellicola di qualche metro: quando scrivevo e disegnavo storie a fumetti per il Corriere dei Piccoli (avevo un personaggio fisso di nome Peter Washer, un procione che faceva l’investigatore privato alla Philip Marlowe), mia figlia Marta aveva otto anni. Prima di spedire il fax delle matite in redazione per l’approvazione a procedere, lei leggeva le bozze a matita e capitava spesso che avesse qualcosa da suggerirmi. Era una cosa divertente e molto bella, un bel rapporto fra un padre e sua figlia. Dopo molti anni si è stabilita a Londra prima per studio e poi per lavoro. In qualche maniera, ho sentito la necessità di ripristinare l’antica modalità, anche se a distanza. Volevo tornare ad essere il narratore, in maniera che lei ridiventasse la mia Prima Lettrice, la mia voce critica. Così (era il 2008) ho cominciato a inviarle delle mail con questa “fiaba”. A puntate, come se fosse un feuilleton dell’era digitale. Ho cominciato a pensare che questa “cosa” potesse essere un libro soltanto molto tempo dopo, quando ho visto che la storia si allungava e aveva una sua autonomia e una sua coerenza.

La storia de “I Libri di Tlön” – che poi la casa editrice ha ribattezzato “I Demoni del Ghiaccio” – nasce così.

Hai già in mente come si svilupperà il seguito de “I Demoni del Ghiaccio”?

Come ti ho detto il secondo è già finito. Per quanto riguarda il resto seguo il sottile filo che avevo in mente sin dall’inizio. So dove voglio andare a parare, se è questo quello che mi volevi chiedere. Prima di cominciare il terzo capitolo però mi piacerebbe conoscere gli esiti del primo. La casa editrice è stata straordinaria, con me. Ha creduto nelle mie pagine e mi ha affiancato a dei bravissimi professionisti che mi hanno accompagnato nella fase che precede la stampa in un’atmosfera di serena condivisione delle scelte. Ma mi sembra più che giusto che io debba attendere il giudizio del pubblico, prima di decidere se continuare l’avventura. Io stesso ho bisogno di capire se quello che scrivo piace alla gente.

Quali sono i tuoi scrittori preferiti? Qualcuno di loro ha influenzato il tuo stile?

 

Potrei sparare a raffica una serie di nomi. Alcuni potrebbero sorprendere, perché fanno parte di una sezione un po’ più antica della mia biblioteca e non sono necessariamente dei fantasy. Parlo di Stevenson, Melville, Dickens, Poe, Borges, ma la lista è davvero lunga. Sicuramente avrò subito delle influenze. Non so in che modo queste possano aver influito inconsapevolmente sulla mia scrittura. So quanto hanno influito consapevolmente e, se qualcuno è abbastanza attento, potrebbe divertirsi a cercare gli omaggi che ho dedicato ai grandi maestri.

Hai incontrato difficoltà nella stesura del romanzo? Se sì, quali?

 

Le difficoltà di scrivere un romanzo di 550 pagine sono molte. E il tempo per scriverlo è davvero tanto. Per il primo ho impiegato due anni. Inoltre ho anche un altro lavoro e quindi non posso solo scrivere, nella vita. Per farlo ho sacrificato un po’ tutti quei momenti che avrei potuto dedicare allo svago, al tempo libero, al riposo.

Ritieni che il tuo romanzo possa essere letto e apprezzato soprattutto dai lettori più giovani o da quelli più maturi?

 

Sai, questa è una di quelle cose che mi lasciano più dubbioso. È evidente che ho scritto questa cosa in forma di fiaba (o di fantasy, se preferisci), ma è altrettanto evidente che l’ho scritta per una lettrice onnivora e colta, oltre che adulta. Mi sembra quindi che nel mio romanzo il contenuto fantastico affine ai lettori più giovani si confonda con una forma più matura, più “adulta”. Devo dire che ho ricevuto gli apprezzamenti di persone insospettabili che iniziavano tutti con una premessa: “non è il mio genere”, ma poi continuavano dicendo “però la lettura mi ha catturato in un crescendo dalla prima all’ultima pagina”. È chiaro che gli adulti sono più abituati a rintracciare tematiche, sottotesti e riferimenti nascosti. Ed è altrettanto chiaro che i più giovani leggono l’avventura in modo più semplice, preferendo seguire la trama e la serie di eventi che evolvono di pagina in pagina. Come dice Umberto Eco: “quando scrivi un libro non hai il controllo su quello che gli altri capiranno”. E mi sembra giusto che i miei lettori si prendano le libertà che desiderano.

A chi ti sei ispirato per i tuoi personaggi? A quale figura ti senti più legato?

 

Mah… sai, alcuni amici sostengono di avermi riconosciuto dietro il tabarro fuligginoso di Malamorte… In realtà credo che in tutti i personaggi ci sia qualcosa di te che scrivi, anche nei personaggi più orrendi. E, in ogni caso, anche in Tanith c’è qualcosa di me. Ma non preoccuparti. Non mordo.

Quanto, di te stesso, hai investito nella stesura di questo romanzo?

 

Sotto la maschera della fiaba c’è una buona dose di me in quelle pagine, anche se non in senso autobiografico. Credo che tutto ciò sia normale.

Quando hai deciso di rivolgerti a un editore? Cosa hai provato quando una grande casa editrice come la Rizzoli si è detta disposta a investire su di te?

 

Ancora una volta è stata mia figlia a spingermi. Ho spedito un solo manoscritto – e solo alla Rizzoli – nel settembre del 2010, e un mese dopo ho ricevuto la telefonata del capo editor che mi diceva che leggere il mio libro non era stato un lavoro ma un piacere, un divertimento. Che dire? Ero lusingato. Poi mi ha spiegato che per tutto il 2011 avevano già calendarizzato le uscite e che avrei dovuto aspettare il 2012. Così nei due anni d’attesa ho scritto il secondo…

Qual è secondo te la condizione della letteratura fantastica all’interno del mondo editoriale italiano?

 

Credo che la condizione della letteratura fantastica sia la stessa dei generi letterari un po’ più connotati come pulp: mi sembra che soffrano di un certo senso d’inferiorità rispetto alla Letteratura con la L maiuscola. È un genere d’intrattenimento, si dice di solito. Ma quale tipo di letteratura non lo è?

Cosa pensi dell’editoria italiana in generale?

 

Dai tempi in cui ero editore sono passati almeno tre decenni. Adesso non conosco così bene la situazione da poterne parlare con cognizione di causa. In fondo sono appena sbarcato sulla luna… Posso solo rilevare quello che sanno tutti, e cioè che ci sono sempre meno lettori. Poi c’è il grande tema della convivenza del cartaceo col digitale. E anche quella è una grande incognita, anche se non riguarda soltanto l’editoria italiana…

Secondo te è giusto pagare per farsi pubblicare?

 

No. Se me l’avessero chiesto non avrei accettato. Se mi fosse capitato qualcosa di simile avrei immediatamente capito il messaggio sottinteso (nemmeno poi tanto sottinteso!)…

Quali consigli ti senti di dire a un aspirante scrittore?

 

Troppo presto per fare il maestrino dalla penna rossa… Tutt’al più posso dirti quello che direi a me stesso, e cioè che, per cominciare a scrivere, ho dovuto sentire l’urgenza della scrittura. Per me era l’urgenza di ripristinare una modalità di comunicazione-narrazione.

Poi occorre tanta disciplina. Scrivere non è una passeggiata e, spesso, nemmeno un divertimento (come si tende a credere).

Quali sono i tuoi progetti letterari futuri?

 

Finire almeno questa saga, se i lettori saranno abbastanza numerosi da permetterlo.

Con quest’ultima risposta si conclude l’intervista con Stefano Federici. Non ci resta dunque che attendere il secondo capitolo delle avventure di Tanith&Company. Per quel che mi riguarda non mi resta che darvi appuntamento alla prossima amici. Ciao e mi raccomando,  leggete  “I demoni del ghiaccio”, ne vale la pena.

 

 

 

 

 

 


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