ROBOT GIGANTI E INVASIONI ALIENE


di Claudio Cordella.

«Oh, no, sono stanco di questa violenza! Piomberanno sulla Terra con le loro armi mostruose e la metteranno a ferro e fuoco. Dovrò ancora battermi per impedire che la Terra cada sotto il loro infernale dominio!». UFO Robot Grendizer (UFO Robot Goldrake), 74 episodi, 1975 – ’77.

La fantascienza è sempre stata popolata, sin dalle sue origini, da esotiche specie aliene.  Di recente è stato persino coniato un neologismo, xeno-fiction, per indicare tutta quella branca dell’immaginario in cui il centro dell’attenzione è costituito dagli alieni, la loro biologia, la loro civiltà. Herbert George Wells (1866 – 1946), uno dei padri della moderna fantascienza, non aveva dubbi; l’incontro con una civiltà aliena avrebbe sicuramente dato luogo ad lotta mortale sino all’ultimo sangue tra invasori e invasi. Scritto in piena età tardo-vittoriana, nel 1897, Wells immagina nel suo The War of the Worlds (La guerra dei mondi) l’arrivo nell’Inghilterra del sud, all’inizio del ventesimo secolo, di truppe d’invasione marziane. Gli invasori sbarcano da giganteschi cilindri, delle capsule spaziali che sono state sparate verso la Terra da un immenso cannone di qualche tipo. E’ assai interessante notare l’accuratezza con cui Wells descrive i suoi alieni; in alcuni passaggi, quando parla di simbiosi tra esseri viventi e macchine, anticipa addirittura di un secolo buono le tematiche del cyberpunk legate alla figura del cyborg.

Lo scrittore Herbert George Wells, 1890 circa.

I marziani tentacolati di Wells, forse evolutosi da creature umanoidi, sono dei freddi cervelli calcolatori che interagiscono con il mondo esterno grazie alle loro sofisticate macchine: giganteschi tripodi per muoversi e per combattere, robot granchiformi per i lavori di costruzione e demolizione. I tripodi in particolare sono armati con una specie di potente raggio termico e possono spandere attorno a loro, grazie a dei razzi, delle nuvole di nero gas asfissiante. I marziani non hanno un apparato digerente ma assumono direttamente il nutrimento, come dei vampiri, direttamente dal sangue.  In buona sostanza per questi invasori gli umani sono solo del bestiame di cui nutrirsi. Inoltre queste tremende creature sembrano possedere dei poteri telepatici anche se i tripodi paiono comunicare tra loro con fischi e ululati. Wells, evidentemente influenzato dagli studi di Percival Lowell (1855-1916), immagina Marte come un mondo capace di ospitare la vita ma al tempo stesso gelido e morente (01).

Astronauta aliena. Illustrazione del francese Pascal Blanché.

La Prima Guerra Mondiale scoppiò ben 17 anni dopo la pubblicazione di questo romanzo ma Wells ne anticipò diversi tratti; l’uso di un gas tossico, ad esempio, oppure lo sfollamento e il massacro indiscriminato di civili: si pensi alle colonne di profughi impazziti in fuga dinnanzi all’avanzata dei marziani o alla descrizione di Londra, deserta ed evacuata. Le vicende dei protagonisti, un uomo che vuole ricongiungersi alla moglie, il fratello di costui che cerca scampo all’estero, hanno ben poca importanza perché qui Wells ha allestito una sorta di dramma darwiniano. I marziani sono più tecnologicamente progrediti, più potenti dell’umanità ma quest’ultima si è evoluta sulla Terra, è stata in grado di superare le sfide poste dal suo ambiente, gli alieni no. Questi feroci aggressori sono estranei non solo all’Uomo ma anche al suo mondo; privi di qualsiasi difesa immunitaria, incapaci di opporre resistenza alla più comune malattia le truppe d’invasione sono falciate sino all’ultimo soldato da virus e batteri. Detto questo ricordiamo l’esistenza di una chiave di lettura morale di quest’opera fondamentale per la moderna sci-fi. In un’epoca in cui le grandi potenze occidentali si lanciavano in grandi avventure coloniali, in totale spregio del diritto alla vita e all’indipendenza di altri popoli giudicati inferiori, Wells chiede ai fedeli sudditi di Sua Maestà di provare ad immaginare cosa accadrebbe se fossero loro gli invasi tecnologicamente arretrati, sconfitti e resi schiavi da esseri che si sentono posti al vertice del Creato. Senza contare che lo scrittore inglese, come una sorta di vendetta, descrive compiaciuto la distruzione delle località londinesi in cui trascorse la sua infanzia infelice.

Il successo di quest’opera di Wells, tutt’ora grandissimo, ispirò, pochi decenni dopo, uno dei nuovi mezzi di comunicazione di massa: la radio. Il giovane Orson Welles (1915 – 1985), più tardi diventato uno dei più grandi registi di tutti i tempi, basò la sceneggiatura di un radiodramma del 30 ottobre del ’38 sulla Guerra dei Mondi. Il successo, ma anche le scene di panico collettivo, all’epoca furono entrambe assicurate. Nel Dopoguerra, circa vent’anni dopo, fu la volta del cinema; il produttore George Pal (1908 – 1980) volle dar vita a una storia spettacolare, che impiegasse i più avanzati effetti speciali dell’epoca. I tripodi sono sostituiti da alcune indistruttibili navette, simili a delle mante, che fluttuano su tre raggi magnetici. I marziani, pur se refrattari alla bomba atomica, non possono però ugualmente nulla contro i bacilli terrestri. Se Wells non si preoccupò affatto di mettere in buona luce clero e religione, anzi tutt’altro, il film di Pal ebbe un orientamento ideologico di segno opposto. Abbiamo, ad esempio, un coraggioso prete pacifista che avanza, Vangelo alla mano, contro le truppe marziane, trovando così la morte; i superstiti si riuniscono in chiesa a pregare mentre l’inaspettata sconfitta dei loro nemici viene presentata come un miracolo voluto da Dio.

Il regista, attore, produttore e sceneggiatore Orson Wells.

Negli anni ’90 Ronald Emmerich, con il suo spettacolare Independence Day, si ispira direttamente alla pellicola del ’53 piuttosto che al romanzo di Wells; gigantesche astronavi aliene discoidali dominano dall’alto le più grandi città del mondo, spargono distruzione con un mortale raggio verde e vomitano sciami di navette più piccole. Il film, pieno di scene di combattimenti aerei e di apocalittiche distruzioni, trabocca letteralmente ricolmo di un vigoroso patriottismo “stelle e strisce”.

L’ennesima ripresa dell’opera di Wells la si deve nel 2005 a quel geniaccio di Steven Spielberg. Qui l’attenzione dell’autore, esattamente come nel romanzo, si sposta dalla narrazione degli eventi bellici, che rimangono sullo sfondo, per seguire le peripezie di un uomo che cerca di salvare i propri affetti più cari dal caos imperante. In questo caso Ray Ferrier, un portuale divorziato, impersonato dal divo Tom Cruise, cerca di riportare dalla ex-moglie, sani e salvi, la figlioletta e il figlio adolescente attraversando un’America presa dal panico e in pieno sfacelo. Ritornano i tripodi, i marziani-vampiri e tante altre trovate “wellesiane” originarie. La paura del diverso, il terrore di una minaccia nascosta attorno a noi, i tripodi sono celati da millenni nel sottosuolo, hanno la meglio sul noto regista statunitense. Spielberg, entrato nella storia del cinema grazie a pellicole dotate di un taglio più lirico e aperto verso “l’altro”, come  Close Encounters of the Third Kind (Incontri ravvicinati del terzo tipo) del ’77 e E.T. the Extra-Terrestrial (E.T. L’extra-terrestre) del ’82, china il capo dinnanzi alle paure dell’Occidente post-11 settembre 2001.

Se gli USA post-bellici amavano terrorizzarsi con una sci-fiction paranoica, recentemente rinvigorita e rinnovata proprio dopo l’attentato alle Twin Towers, il Giappone negli stessi anni ideò il genere kaiju, “mostro misterioso”, in cui gigantesche creature distruggevano le città giapponesi, Tokyo in particolare. Tra queste mostruosità la più celebre è senz’altro Gojira, noto in Occidente come Godzilla; il primo omonimo film di quella che sarebbe diventata una serie pluridecennale, per la regia di Ishirô Honda (1911-1993), risale al 1954. Il successo di questo lucertolone è mondiale; tanti sequel, a volte dozzinali, un remake del ’98 made in Usa (Godzilla) ad opera di Emmerich. Qualche anno fa un film catastrofico di chiara impronta “godzilliana”, Cloverfield (2008), a modo suo ne ha omaggiato le gesta. Se Godzilla però è di origini terrestre, essendo un dinosauro mutato dalle esplosioni nucleari, già alcuni suoi nemici, come King Ghidorah, un drago spaziale a tre teste, non lo sono. D’altra parte un kaiju come Godzilla ha molto in comune con i successivi mostri invasori dei successivi anime. I luoghi comuni relativi a Godzilla e alle sue avventure: il suo giungere dal mare come un mostro mitologico, il suo essere una orrenda bestia di enormi dimensioni, il fatto che durante il suo passaggio le città nipponiche siano rase al suolo come fossero di cartapesta, la presenza di un esercito sostanzialmente impotente, ricorreranno in maniera ossessiva nei successivi anime fanta-robotici. Negli anni ’70 il mangaka Kiyoshi Nagai, meglio noto con il nome d’arte di Gō Nagai, ha un’incredibile pensata; immagina dei robot giganti, alti alcune decine di metri, direttamente pilotati da coraggiosi guerrieri. È la nascita del sotto-genere dei super-robot onnipotenti, degli invincibili difensori della Terra, a tutt’oggi ancora molto popolare. La tradizione vuole che il fumettista, imbottigliato in un gigantesco ingorgo, abbia immaginato che alla sua auto crescessero gambe e braccia robotizzate per potersene scappar via.

Forme di vita aliene immaginate nei minimi dettagli. Illustrazione del 2006 di Alex Ries. L'autore ha cercato di rendere l'idea di una forma biologica extraterrestre, plasmata da un processo evolutivo diverso da quello che conosciamo. Copyright degli aventi diritto.

Effettivamente i robot di Gō Nagai non sono macchine autonome ma sono pilotate, guarda caso in una cabina posta nella testa: bisognose di qualcuno che gli presti la sua intelligenza, la sua volontà e la sua forza d’animo. Se nei film di mostri dei decenni precedenti era Godzilla che, occasionalmente, difendeva il Giappone combattendo contro dei nemici extraterrestri nei manga di Gō Nagai e nei relativi anime sono i robot giganti, novelli samurai robotici, che lottano per la difesa delle isole nipponiche contro le minacce stellari. A dire il vero i primi “robottoni” di Nagai, apparsi nelle serie tv Majingā Z (Mazinga Z)Great Mazinger (Il Grande Mazinga), si scontrano dei nemici provenienti dal più lontano passato della Terra pur se questi ultimi hanno ben poco di umano.

Questi kaiju insomma fanno letteralmente da apripista a Ufo Robot Grendizer (Ufo Robot Goldrake) dove gli alieni sono tali di nome e di fatto. Goldrake, a più di trent’anni dalla sua prima trasmissione in Italia, è oggi diventato un personaggio fondamentale dell’immaginario e della cultura popolare nostrana. Questa serie, pur essendo la parte conclusiva di un’ideale trilogia robotica i cui primi episodi erano costituiti da Mazinga Z e Il Grande Mazinga, arrivò nel nostro paese per prima e purtroppo con i nomi dei protagonisti cambiati. Alcor, amico fedele e “spalla” dell’eroe della serie, non è altri che quel Koji Kabuto che appare nella versione italiana di Mazinga Z come Rio e che riprende il suo nome nipponico di Koji nel Il Grande Mazinga. D’altronde qui, a differenza delle due serie precedenti, non sono le antiche civiltà le fonti d’ispirazione primarie di Goldrake ma il mito contemporaneo degli UFO. Il protagonista è un alieno umanoide, Duke Fleed, il principe del Regno della Stella Fleed, che ha assunto la fittizia identità terrestre di Daisuke Umon, figlio del grande scienziato Genzo (Procton). Nell’adattamento Rai il nome terrestre divenne Actarus mentre quello extraterrestre rimase immutato pur se il nome del robot Goldrake, Grendizer in giapponese, viene usato a volte come una sorta di nome proprio del pilota. Actarus appartiene ad una lunga genia di alieni “caduti sulla Terra”; creature di altri mondi che trovano tra di noi il compimento del proprio destino.

Il pensiero a questo punto corre ovviamente al supereroe dei comics per eccellenza; Superman/ Clark Kent / Kal-El, nato nel 1938 dalla fantasia di Jerry Siegel (1914 – 1996) e Joe Shuster (1914 – 1992), arrivato negli Usa dal defunto pianeta Krypton.. Un suo emulo orientale è il Son Goku del manga Doragon Bōr (Dragon Ball) di Akira Toriyama, arrivato pure lui da un mondo distrutto, Vegeta. Invece non sono dei combattenti ultra-potenti ma piuttosto dei portatori di un prezioso messaggio di pace sia il Klatuu del film del ’51 di Robert Wise The Day the Earth Stood Stil (Ultimatum alla Terra), sia lo sfortunato protagonista del romanzo del ’63  Walter Tevis The Man Who Fell to Earth (L’uomo che cadde sulla Terra), che non riuscirà a salvare né il suo mondo, né il nostro.

Guerriera aliena. Illustrazione di Pascal Blanché.

Guerriera aliena. Illustrazione di Pascal Blanché.

Actarus insomma ricorda un po’ tutti costoro; il suo mondo, Fleed, è stato devastato dalle truppe del re Vega ma il nostro è riuscito, dopo una fuga disperata, ad arrivare sino alla Terra. Ritrovato, dopo un atterraggio di fortuna, dal dottor Procton che lo aiuta e gli offre un rifugio sicuro nel suo Istituto di ricerche astronomiche, il nostro eroe è un esule che ha perso tutto, famiglia e patria. Insomma è un guerriero che ha combattuto con coraggio ma che ora preferirebbe trascorrere il resto della sua vita in tranquillità. Il lavoro in fattoria, accudire i cavalli, suonare la chitarra al chiaro di luna, etc., sono senz’altro delle attività che Actarus, fondamentalmente un pacifista convinto, preferirebbe di gran lunga alla lotta contro i mostruosi umanoidi Vegani. Eppure, proprio per amore della pace e per proteggere quella che considera come la sua seconda patria, egli si sentirà moralmente obbligato a difenderla. Dal canto suo il re Vega vive secondo le regole di un’etica guerriera, egli crede solo nella lotta ad oltranza e nella sopraffazione dei più deboli. Purtroppo per lui però quella che era iniziata semplicemente come una guerra di conquista, per annettere la Terra all’impero e per distruggere Goldrake, diventa in seguito una lotta di sopravvivenza. L’esplosione delle miniera di una vicina luna provoca la contaminazione radioattiva del pianeta madre dei Vegani; non ci sono alternative, o l’emigrazione in massa sulla Terra o l’estinzione. Le motivazioni di questi alieni, da semplicemente imperialiste che erano, diventano simili a quelle dei Marziani di Wells. Purtroppo per i Vegani il loro sovrano, un monarca assoluto che non vuole sentire alcuna ragione, fallirà nei suoi intenti. I Terrestri sarebbero anche pronti a trattare, dando così una chance di sopravvivenza al proprio nemico, ma il Re Vega rifiuta: per lui sarebbe sin troppo disonorevole scendere a compromessi. Certo alcuni particolari presenti in questo anime, ormai un classico, sono decisamente discutibili, ad esempio i Vegani si ostinino ad usare sostanzialmente una sola tattica d’attacco che, pur con le varianti del caso, prevede sempre l’impiego di qualche mostruosità bio-meccanica. Inoltre ci si potrebbe persino chiedere perché gli spaziali non attacchino in massa la Terra usando più mostri, non uno solo uno alla volta, o perché non sottomettano prima l’intero pianeta lasciando il Giappone, direttamente difeso da Actarus, per ultimo. L’Istituto di Procton è una sorta di super-fortezza tecnologica e Goldrake è un difensore formidabile ma contro un attacco su scala globale sarebbero davvero ben poca cosa! La lezione di Gō Nagai però, difetti a parte, fece epoca dando il via ad un vero e proprio genere con decine di imitatori; intere schiere di robot giganti intenti a lottare per la giustizia contro crudeli invasori cosmici. Tra i numerosi serial robotici degli anni ’70 – ’80, tutti a base di “guerre dei mondi” e diventati dei classici di riferimento per le produzioni più recenti, vogliamo ricordarne tre: Daltanious, Vultus V e Baldios (02).

In particolare i primi due nascono come una sorta di mix con il feuilleton; un’idea del regista Tadao Nagahama, convinto della necessità di introdurre nella sci-fi dei “robottoni” personaggi ben delineati, una trama complessa e decisamente drammatica. La tragedia all’ennesima potenza poi è anche ben presente in Baldios; serie sfortunata, chiusa dopo il 31° episodio, che solo grazie ad un film ebbe un finale. La guerra tra la Terra e la gente di S-1, venuta nel Sistema Solare in cerca di una nuova patria, sembrerebbe un plot più che abusato ma qui le apparenze ingannano. La lotta tra i difensori del mondo qui è davvero disperata ma purtroppo non avrà un happy end. La Terra ed S-1 sono lo stesso mondo, i profughi di quest’ultimo non hanno fatto altro che viaggiare indietro nel tempo divenendo essi stessi la causa del proprio triste destino. Il mondo da cui essi fuggivano, morente, inquinato e radioattivo, altro non era se non il futuro del nostro pianeta. In conclusione in Giappone le storie a base di mecha giganteschi e alieni sono ancor oggi di gran moda mentre l’Occidente ha portato al cinema, più e più volte, il classico di Wells.

Un kolossal made in USA di recente distribuzione, Skyline di Colin e Greg Strause, non fa altro che riportare in scena il vecchio cliché delle macchine aliene, praticamente inarrestabili e o onnipotenti, che portano la devastazione nelle metropoli dell’intero pianeta. Anche questa volta, come nel romanzo di Wells, gli esseri umani, da signori della Terra quali si considerano, si ritrovano ridotti al rango di prede, di prede da macellare per scopi a loro difficilmente incomprensibili: in questo caso donare i loro cervelli per la creazione di cyborg asserviti ai comandi dei misteriosi invasori di turno. Dunque possiamo esser abbastanza sicuri che lo spauracchio dell’alieno invasore, rappresentazione delle nostre paure e della nostra cattiva coscienza, continuerà  a spaventarci ancora a lungo.

Illustrazione del 2006 di Alex Ries. Incontro tra astronauti umani e forme di vita aliene. Copyright degli aventi diritto.

Note

(01) A sua volta Lowell venne influenzato da una cattiva traduzione, dall’italiano all’inglese, delle ricerche dell’astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli (1835 – 1910) che credette di vedere, nel 1877, dei canali sul pianeta Marte. Schiaparelli divulgò le sue teorie sul “pianeta rosso” in un saggio, La vita sul pianeta Marte, uscito nei fascicoli 5 e 6 della rivista Natura e Arte, rispettivamente il 1 e il 15 febbraio del 1893. Purtroppo in inglese si tradusse la parola canali con il termine canals invece del più corretto channels: se la prima parola indica una costruzione artificiale, la seconda indica correttamente una conformazione del terreno che può anche essere naturale. Fu da questa errata traduzione che derivarono le varie supposizioni sulla vita su Marte, poi riprese da Wells nel suo romanzo. Per molto tempo “marziano” ed extraterrestre divennero sinonimi.

(02) Mirai Robot Daltanias, letteralmente Daltanias, il robot del futuro” regia di TADAO NAGAHAMAKATSUTOSHI SASAKI, 47 episodi, 1979 – ’80. In Italia, intitolato Daltanius, fece la sua prima apparizione su Italia 1 nel marzo del 1981. Choudenji Machine Borutesu Voltes V, letteralmente Macchina super elettromagnetica Voltes V, regia di TADAO NAGAHAMA, 40 episodi, 1977 – ’78. Con il titolo di Vultus V apparve su Rete A nel 1983. Uchū Senshi Barudiosu, Space Warrior Baldios, regia di KAZUYOSHI KATAYAMA, 31 episodi trasmessi, 1980 – ’81. Nel 1981 un omonimo film, della durata di 117 minuti, riassumeva la serie e gli dava al tempo stesso una degna conclusione. Come Baldios fece la prima apparizione italiana nel 1982 su diverse reti locali.

Articolo originariamente edito su Living Force Magazine



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