Stephen King – The DOME


THE DOME
Stephen King
Sperling & Kupfer, 2009, collana: Narrativa
Pag: 1037 Prezzo: 23,90 €
Giudizio:

Quando un cilindro trasparente cala sulla cittadina di Chester’s Mill, la vita (quotidiana e biologica) viene interrotta, tagliata in due, separata. Chi è all’interno è isolato dal resto del mondo, chi non lo vede ci va a sbattere contro, chi si trova sul perimetro del cilindro viene tranciato in due. Gli abitanti della zona impiegano un po’ di tempo prima di rendersi conto che il cilindro è opera di un’intelligenza superiore, sebbene il sospetto che sia opera degli umani persista a lungo. Ma chi è rimasto intrappolato all’interno deve far fronte all’angosciosa situazione con le sue sole forze. Alla barriera invisibile se ne aggiunge presto un’altra, quella che divide gli onesti dai malvagi, chi vorrebbe la libertà da chi dedice di usare l’isolamento a proprio favore. I protagonisti di questa nuova tragedia di Stephen King sono un ex combattente in Iraq contrario alla violenza, un concessionario di auto usate in odore di criminalità, una giornalista dalla tenacia inamovibile, un ausiliario delle forze dell’ordine paranoico, uno skateboarder di quindici anni senza paura e un predicatore fondamentalista. Dopo 1000 pagine giunge l’ultimo, disperato tentativo di risolvere la situazione, con un finale a dir poco sorprendente.”

Non è facile riuscire a concretizzare un giudizio equilibrato sull’ultimo straordinario romanzo di Stephen King. Arrivato al termine di una lettura che si vuole centellinare giorno dopo giorno, lo dico con cognizione di causa, sono convinto che The Dome sia un capolavoro e che, a distanza di un anno, non sia stato ancora ben compreso. La vera pietra d’inciampo è costituita soprattutto dal finale, giudicato da molte recensioni troppo debole in confronto alla solida struttura delle mille pagine precedenti.

The Dome sembrerebbe, a prima vista, una storia sulla linea dell’Ombra dello Scorpione o di altri romanzi apocalittici come Cell. In realtà si differenzia notevolmente da essi, essendo uno specchio perfetto della condizione desolata nella quale vive la nostra società attualmente, laddove l’Ombra era un ritratto del male e Cell la reazione spaventata degli americani post-11 settembre.
La cupola cala e taglia fuori il mondo, creando un microcosmo di meschinerie e piccole virtù che riproducono, attraverso estremizzazioni, il reale che si trova all’esterno di essa. Come di fronte a una lente d’ingrandimento, vediamo la società americana di Chester’s Mill tentare di ricreare un mondo che abbia il giusto livello di attenzione al pericolo, che sappia rispondere all’emergenza, che sia sufficientemente reattivo a una minaccia che sembra crescere giorno dopo giorno, nell’impossibilità crescente di definirne le caratteristiche. Ci sono visioni che anticipano ciò che potrebbe accadere, ci sono teologie a confronto, ci sono letture politiche che si confrontano (ma nemmeno troppo), con ogni grado di spiritualità e materialità dell’uomo contemporaneo. Infine, c’è il pubblico del mondo che guarda impotente e curioso ciò che sta accadendo lì dentro, simbolo della nostra società che assiste alle tragedie mondiali attraverso la TV, e c’è un nemico che non si comprende da dove arrivi e come sia fatto, quali emozioni provi.

E’ evidente come anche in questo romanzo l’impostazione sia profondamente post-11 settembre (d’altronde non ci si stupisce, dal momento che un gran numero di romanzi, film e serie televisive riportano l’impronta di questa tragedia del mondo occidentale, da La Guerra dei Mondi di Spielberg ad Avatar di Cameron, per non parlare di Lost, FlashForward o Fringe).

La sensazione trasmessa dal racconto del romanzo è di uno smarrimento progressivo. Più le azioni si dipanano e meno si capisce il senso di ciò che accade; più si incrociano le decisioni delle fazioni interne alla cupola e meno si capisce dove l’autore voglia andare a parare. Ci sono centinaia di pagine, soprattutto centrali, delle quali a un certo punto non si può che dire: sono di troppo, per il semplice motivo che se ne perde il senso in un’ottica limitata. Soprattutto si perde di vista il senso della cupola. Inizialmente ho pensato che questo fosse un errore nel concepimento della struttura del romanzo, il primo vero punto debole della narrazione, con un certo grado conseguente di delusione nei confronti dell’ultima opera di King. La convinzione che il Re non fosse riuscito a portare a termine questo romanzo iniziato vent’anni prima si faceva strada. Poi, invece, la strada ha curvato improvvisamente, nelle ultime decine di pagine del libro e il significato profondo, non banale e spiazzante della storia, si è disvelato.

Le ultime pagine, la fine del romanzo. L’incontro (mediato dal tocco con la scatola) con gli alieni, anzi, con l’alieno/a, contiene in sè il senso di tutto.
        
Attenzione, spoiler!
Le ultime parole del romanzo sono queste, riferite ai due protagonisti finali:
tornarono insieme nel mondo, portando la cosa che avevano ricevuto in dono: la semplice vita.  La pietà non è amore, pensò Barbie… ma se da bambino hai donato un indumento a chi era nudo, non può non essere un passo nella direzione giusta.

Nel romanzo, l’indumento metaforico donato dall’alieno (bambino) è togliere la cupola dalla città devastata.
Il significato ultimo che mi è parso di scorgere in questo romanzo, denso e al limite del capolavoro, è che l’unica speranza per un mondo che va sempre più verso la capacità e la volontà di autodistruggersi, è costituita dalla pietà che si può imparare da bambini, se non già dall’amore. Per contrasto, questa “morale” diventa anche la chiave di lettura di tutti gli avvenimenti precedenti: le decisioni prese, positive o negative, gli sforzi fatti, le cose costruite e quelle distrutte, le motivazioni assunte, diventano tutte un nulla se si perde la capacità basilare di provare pietà.

Credo che questo finale sia stato giudicato debole e deludente perché la pietà è giudicata, dalla società contemporanea, come poca cosa di fronte alle aberrazioni di cui è capace la natura umana. Di fronte alla tragedia e alla sofferenza insensata, la speranza nella pietà dell’altro può apparire come il vero horror della quotidianità, da respingere in tutti i modi. Ciò che Stephen King ci mostra in The Dome è che gli esseri umani, se messi alle strette rischiano di perderla quasi totalmente.

Fabrizio Valenza


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