Il Canto delle Sirene: miti e leggende – parte 2


A cura di Maila Daniela Tritto

Nel precedente appuntamento, dedicato alle Sirene, ho accennato alla fiaba, scritta da Hans Christian Andersen nel 1837, La sirenetta, da cui è stato tratto – non con poche modifiche e interpretazioni – l’omonimo lungometraggio Disney. Questa seconda parte de Il Canto delle Sirene. Miti e leggende, intende partire proprio dalle considerazioni sulla natura della fiaba, per poi addentrarsi in altri contesti, che vanno dalle analisi sulla comunicazione letteraria ai mass media e al modo in cui hanno contribuito alla crescita e, in particolare alla fascinazione, del mito.

Molti sono stati, e sono, gli studi svolti sulla narrazione popolare. Tuttavia, il maggior contributo, a cui si deve anche la distinzione delle componenti della fiaba, è dato da Vladimir Propp nel celebre saggio Morfologia della fiaba, pubblicato in Italia nel 1966 per i tipi di Einaudi. Le ‘funzioni’, individuate dal linguista e antropologo russo, sono 31 e hanno la particolarità di essere ricorrenti nelle varie narrazioni. Pertanto, a proposito de La sirenetta, la funzione che caratterizza la fiaba è ‘l’apoteosi finale’, ovvero il lieto fine che è il più ricorrente. Tuttavia, nelle fiabe – con elementi magici – il finale potrebbe essere tragico. È il caso della fiaba descritta da Andersen, e da qui anche la netta differenza con l’interpretazione disneyana.

Se è vero che il primo assioma della comunicazione individuato da Paul Watzlawick, a proposito della psicologia della comunicazione contemporanea, è: “Non si può non comunicare”, è pur vero che nel contesto rientrano i vari metodi di comunicazione che consentono agli adulti di instaurare dei legami con i bambini. La letteratura per l’infanzia nasce dal complesso di opere scritte per essi. È frutto della modernità, ed è la consapevolezza – di matrice seicentesca – che ormai molti testi sono improponibili, o non più idonei per gli adulti.

Vladimir Propp nel 1928

Infatti, alla fine del Seicento le fiabe diventano un vero e proprio cult tra le dame alla corte di Parigi. Solo autori come Charles Perrault e Jean de La Fontaine intendono «sfruttare» le caratteristiche dell’oralità fiabesca – che, si è visto, deriva da un innesto o da un trapianto di temi narrativi folkloristici e popolari nati nell’oralità e successivamente tramandati con le possibilità scrittorie – al fine di rivolgersi ai fanciulli. È con l’avvento dell’Illuminismo – e il conseguente trionfo della ‘Ragione’ – che le fiabe saranno oggetto non più degli adulti, ma di un pubblico giovane. D’altronde, a livello attuale le cosiddette ‘rivisitazioni’ – in chiave fiabesca – fanno parte di quel tipo di letteratura definito come ‘Young Adult’, e sebbene ci siano delle distinzioni – poiché, si sa, la letteratura è un fenomeno in continua evoluzione – lo schema originario, che è stato rilevato, lascia ampio margine di libertà ai ragazzi, ai ‘giovani adulti’.

 Gli opportuni “adattamenti”, che nella maggior parte dei casi si tratta di “stravolgimenti” narrativi, diventano di fatto letteratura per l’infanzia. Tuttavia, è necessario ricordare che nel proporre le fiabe ai bambini c’è tutto quel complesso di norme e di tematiche – anche scabrose e orrorifiche – che derivano dagli usi e costumi del passato. “Se un uomo ti amasse più di ogni altra cosa e tu fossi il suo unico pensiero, solo allora varrebbe la pena di vivere nel mondo di sopra”. La voce della sirenetta di Andersen è matura, elabora pensieri di cui i bambini – soprattutto i più piccoli, ai quali viene raccontata la storia – non potrebbero comprendere del tutto. Inoltre la versione dello scrittore contiene in sé degli elementi appartenenti alla sua biografia, che vanno al di là della mera narrazione fanciullesca.

John William Waterhouse (1849-1917). La sirena

Nell’individuare la natura della fiaba de La sirenetta, si comprende come questa abbia un’origine moderna. Infatti, il racconto subisce un’invenzione nuova e originale dell’autore, sia nella struttura del linguaggio sia nei contenuti. La nascita della fiaba di origine moderna coincide con la comparsa della versione de La sirenetta scritta da Andersen. Egli, infatti, è l’inventore di questa tipologia fiabesca, che si distingue per la componente artistica, nonché per la raffinatezza dello stile. E anche autori come il nostrano Gianni Rodari, prendono le mosse da questo nuovo schema, affinché possano elaborare i loro scritti. Quest’ultimo, inoltre, ne La freccia azzurra – libro per bambini e pubblicato da Editori Riuniti, nel 1964 – afferma: «Io credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire a educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, per aiutare il bambino a conoscere il mondo».

La fiaba non è altro che la rappresentazione della vita, che si connota per l’elemento fantastico che tende al ‘meraviglioso’. Queste caratteristiche sono di derivazione magica, ma come sostiene J.R.R Tolkien, in Albero e foglia del 1976, per lui la fiaba è:

«un reame che contiene molte altre cose accanto a elfi e fate, oltre a gnomi, streghe, trolls, giganti e draghi: racchiude i mari, il sole, la luna, il cielo, e la terra e tutte le cose che sono in essa, alberi e uccelli, acque e sassi, pane e vino, e noi stessi, uomini mortali, quando siamo vittime di un incantesimo».

Pertanto, è lo stesso umano ad essere coinvolto negli avvenimenti che vanno ben oltre l’immaginazione. Ed è sempre lui che, per evadere dalla realtà quotidiana, si fa coinvolgere dall’effetto – talvolta anche consolatorio – della fiaba. Da qui l’importanza di non scindere del tutto questo genere narrativo tra i bambini e gli adulti. Invero, se si considera la fiaba che ha per protagonista la sirena, la stessa ha il desiderio e la voglia di evadere dal suo mondo – popolato da creature marine e fantastiche – per «approdare» nel mondo degli uomini, che nulla ha di meraviglioso se non quelle storie che lei stessa sogna e desidera.

In sostanza, la componente fiabesca della letteratura – come sostengono diversi autori che si sono dedicati alla sua analisi – è strettamente correlata alla ‘rappresentazione della vita’. La fiaba, a differenza della poesia, non tende a descrivere il mondo con un’unica possibilità di sorta, bensì offre una pluralità di mondi possibili ovverosia tutti gli aspetti della vita vera, da ogni angolazione possibile: dalla gioia alle brutture della realtà.

Lo psicanalista austriaco Bruno Bettelheim ritiene che la fiaba pone problemi di natura esistenziale come: l’amore, la gelosia, la separazione, il bisogno di essere amato, la comprensione dei rapporti interpersonali, la vecchiaia e la morte. E nel contesto specifico della sirenetta, com’è stato già detto in precedenza, l’amore non è meno complesso di quanto sia nella realtà; così come la comprensione del mondo e dei rapporti interpersonali, che sono visti dallo sguardo curioso della fanciulla. La morte, inoltre, è la rappresentanza di Thanatos, di cui lo stesso Sigmund Freud cerca di dare spiegazione.

Per Italo Calvino, del quale avevo precedentemente accennato allo studio sulla narrazione mitologica – e, in particolare, all’Odissea omerica – c’è una parte sostanzialmente reale delle fiabe (Fiabe Italiane, 2002). Infatti,

«Le fiabe sono una spiegazione della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che è appunto il farsi di un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano. E in questo sommario disegno, tutto; la drastica divisione dei viventi in ricchi e poveri ma la loro parità  sostanziale, la persecuzione dell’innocente, l’amore perduto; la comune sorte di soggiacere ad incantesimi, cioè a forze complesse e oscure e lo sforzo per liberarsi e autodeterminarsi inteso come un dovere elementare, l’apparenza delle cose che nasconde altro; e soprattutto la sostanza unitaria del tutto, uomini, bestie, piante, cose, l’infinita possibilità  di metamorfosi di ciò che esiste» (Calvino 2002, p. XV).

Se, come sostiene già Calvino, le fiabe “sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna”, ne deriva che queste non sono solo la ‘rappresentazione della realtà’, ma anche il contesto socio-culturale di riferimento. La fiaba, dunque, ha l’incredibile capacità di fornire un “documento” della storia; un’attestazione degli uomini che hanno vissuto in un particolare ambiente socio-politico ed economico, che riflette gli usi e i costumi non solo popolari – e di una particolare comunità di riferimento -, ma anche le tendenze generali del periodo. La fiaba, sempre per Calvino, «è soggetta ad assorbire qualcosa del luogo in cui è narrata, un paesaggio, una moralità, o solo un vaghissimo accenno o sapore di quel paese».

Se si volesse valutare il complesso bagaglio storico e culturale di uno scrittore come Hans Christian Andersen, ne emergerebbero i tratti principali che gli sono serviti per la produzione di celebre opere come: L’acciarino (1835), Pollicina (1836), I vestiti nuovi dell’imperatore (1838), I cigni selvatici (1838), La pietra filosofale (1858 – 1859) – dalla quale J.K.Rowling ha tratto ispirazione per la nota saga di Harry Potter -, ma è soprattutto con La sirenetta che l’autore tenta di riversare le sue idee e le molte vicissitudini che hanno rappresentato gran parte della giovinezza.

Hans Christian Andersen nasce nel 1805, nei quartieri poveri della città di Odense, e a soli undici anni – rimasto non solo povero, ma orfano – si reca a Copenaghen per guadagnarsi da vivere dapprima come garzone di bottega, successivamente come operaio di fabbrica di sigarette. Tuttavia, fin da giovane età è costretto a subire le angherie e i soprusi da parte dei suoi compagni, per i suoi evidenti aspetti effeminati. Da qui, nasce la volontà dell’autore di rendere a parole scritte il tema della diversità. Trova, infatti, nella scrittura un modo per sfogarsi dalla sua condizione di «vittima» dai cliché della società del tempo, e dalla sua anticonvenzionalità.

«[…] si notano continuamente i riflessi di questa esistenza travagliata, l’esistenza del giovane, che coll’aiuto di Dio e delle persone di cuore trova la sua strada, fino a diventare il genio che il mondo intero riconosce e ammira»[1].

La fiaba de La sirenetta, tra le più amate e popolari dello scrittore, oltre ad essere nota al pubblico per la versione cinematografica, ha affascinato – e ancora oggi affascina – per i temi presenti, e raccontati con perizia dall’autore. L’amore non corrisposto è il fulcro principale attorno a cui ruotano tutti gli elementi evidenziati da Propp. Ma non solo, infatti, è presente il tema della diversità, che si esprime nell’aspetto – diverso, appunto – della fanciulla.

Fredric Leighton, The Fisherman and the Siren (1858)

Andersen segue l’andamento e gli schemi delle fiabe, in cui le sequenze spazio-temporali restano generiche affinché prevalgano le ‘funzioni’ svolte dai personaggi. Il campo d’azione – e il contesto che appare solo uno sfondo – è funzionale alle azioni dei caratteri che vengono delineati in modo schematico – non sono descritti nei loro aspetti fisici e psicologici -, e sono significativi unicamente al ruolo che essi svolgono.

Al di là della trama che tutti noi conosciamo, la fiaba esprime i desideri dell’autore che l’ha composta: Andersen, infatti, nella vita non fu per nulla combattivo poiché non era animato da nessun ideale per cui valesse la pena di combattere, e al tempo stesso è triste – e spesso frastornato – da una realtà che non comprende le sue caratteristiche, che diventano in tal senso diversità. I suoi personaggi – specialmente la sirenetta – è in grado di dimostrare un’umiltà che la avvicina alla comprensione umana e alla solidarietà. Non vi è alcuna morale implicita nel testo, a differenza di quanto accade per le favole di Fedro o Esopo, e il finale resta un amaro epilogo della vita vissuta dall’autore. Tant’è che il paragone, tra lo scrittore e il personaggio creato, è inevitabile: come la sirenetta è una donna-pesce, così l’omosessuale ottocentesco è un uomo-donna.

Quanto sono importanti le idee e le opinioni nel complesso immaginario collettivo? Cosa determina la validità di alcuni comportamenti sociali, piuttosto che altri? Partendo dal presupposto che l’immaginario è il prodotto diretto delle tensioni e delle relazioni che l’uomo ha con l’insieme delle componenti – oggettive e soggettive – che formano l’ambiente circostante, l’immaginario non è altro che una rappresentazione dello stesso. I suoi contenuti sono astratti, ma determinanti allo svolgimento – e per quello che è possibile alla comprensione – delle azioni definite dall’apparato simbolico, visivo e insieme ideologico che si pongono nella centralità della vita di ogni persona.

La mitologia è un’importante rappresentazione dell’immaginario poiché non solo è costituita dall’insieme dei racconti – basilari alla trasmissione delle informazioni tra le persone -, ma delineano il patrimonio delle “finzioni” nelle culture tradizionali. In questo modo, i personaggi descritti nel genere – compreso le sirene, dunque – traducono in senso simbolico e antropologico l’origine e la natura del genere umano; nonché i fenomeni socio-culturali che sono stati, più o meno implicitamente, delineati nella prima parte del saggio. All’origine della natura umana, infatti, vi sono gli archetipi del ‘bene’ e del ‘male’, di Eros e di Thanatos, di cui le sirene stesse sono effigiate.

La fiaba, che deve molto alla narrazione mitologica, è quel complesso apparato che consente di conservare le tradizioni e modi di vivere conformistici. Pertanto, la descrizione dei comportamenti umani esaltata gli atteggiamenti remissivi del popolo, in particolare davanti alle ingiustizie sociali. È lo stesso atteggiamento di cui si fa portatrice la protagonista della fiaba di Andersen: “Se un uomo ti amasse più di ogni altra cosa e tu fossi il suo unico pensiero, solo allora varrebbe la pena di vivere nel mondo di sopra”. Già in questa frase si può comprendere qual è l’atteggiamento della protagonista, arrendevole e docile.

Le rappresentazioni culturali e le continue modifiche e rivisitazioni – grazie alle possibilità offerte dai mezzi di comunicazione di massa, come il cinema e la televisione -, hanno portato a diverse variazioni dei personaggi femminili. La fiaba della sirenetta, perciò, assume un carattere sovversivo proprio nell’omonima rivisitazione Disney. Sebbene il racconto fiabesco sia un luogo di “trasgressione”, in particolare nelle narrazioni orali, la versione data da Andersen non declina affatto alle funzioni consolatorie.

La nuova sfida, che si sono posti i creatori de La Sirenetta (The Little Mermaid, 1989), John Musker e Ron Clements, è di contribuire a una nuova immagine della femminilità: nella sua intraprendenza e lungimiranza. Lo stesso Italo Calvino aveva individuato queste caratteristiche, apertamente contrastanti con l’immagine della donna – passiva e circondata esclusivamente dalle mura domestiche – dedita agli aspetti domestici e all’educazione dei figli. È ciò che avviene anche con le altre protagoniste che spiccano – non solo per grazia e beltà, ma anche per intraprendenza e costanza – nel ‘rinascimento Disney’, che ha contribuito all’esclusione di molti stereotipi di genere e alla valorizzazione di attività appartenenti alla cultura.

[1] H.C.Andersen, Racconti e fiabe, Torino, Tea Editori, 1988, p.8


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