L’EROE ALBINO DEL MULTIVERSO


di Claudio Cordella

“Ed Elric era vissuto -e ancora viveva- grazie soltanto alla stregoneria, poiché è per natura debole e malato e senza le sue droghe riuscirebbe a malapena a sollevare la mano dal fianco, in quasi tutti i giorni normali”. MICHAEL MOORCOCK, Elric of Melniboné, 1972; tr. it. Elric di Melniboné, in La saga di Elric di Melniboné – vol.1, Fanucci Editore, Roma 2006, p. 18.

Quando Robert E. Howard (1906 – 1936) creò il personaggio di Conan the Barbarian (Conan il Barbaro), conosciuto anche come Conan the Cimmerian (Conan il Cimmero), un guerriero di un’ancestrale quanto favolistico evo primordiale, diede vita a un intero sottogenere: l’heroic fantasy. A buon diritto, si può dire che il successo di questo character sia stato fenomenale; addirittura diversi scrittori ne continuarono le gesta nel corso dei decenni (tra i tanti citiamo Lin Carter, L. Sprague de Camp, Paul Anderson, Robert Jordan e Harry Turtledove) mentre ha potuto godere di diverse trasposizioni cinematografiche e di una serie a fumetti che viene tutt’ora pubblicata.

Negli anni ’60 – ’70 un talentuoso romanziere inglese, Michael John Moorcock, la cui carriera era iniziata nel 1957 quando divenne redattore della rivista Tarzan Adventures a soli diciassette anni, decide di dare una significativa svolta a quella tipologia di storie fantastiche ideate da Howard. Quest’ultimo aveva regalato ai suoi lettori un mondo fatto di terribili mostri e di potenti maghi, di valorosi combattenti senza paura e di donne bellissime; una realtà dove la barbarie del suo eroe, Conan, era contrapposta alla natura decadente e crudele degli esseri civilizzati. Per il texano Howard il suo avventuriero preferito, di volta in volta mercenario, ladro e persino sovrano, era un uomo allo “stato di natura”, incontaminato e incorrotto, senz’altro rozzo e brutale, capace di sfoderare la spada per un nonnulla, ma privo di tutti quei pregiudizi e di quelle falsità che egli attribuiva agli esseri civili. Conan è una sorta di “buon selvaggio”, innocente nella sua crudeltà visto che è privo di qualsiasi malizia, dotato di una forza erculea che fa di lui una belva indomabile.

Intendiamoci, da questo punto di vista niente di nuovo sotto il sole. Il benevolo sguardo di Howard verso i suoi muscolosi barbari, le cui virtù servivano a sottolineare i difetti della civiltà, ha il suo diretto antecedente in quegli scrittori romani che parlando delle popolazioni “barbariche” oltre confine, come fece Publio Cornelio Tacito con i Germani alla fine del I secolo d. C., ne sottolineavano i costumi primitivi e la violenza ma al tempo stesso i pregi in modo da poter criticare lo stile di vita dei propri contemporanei. A parere di chi scrive, il ritratto che diede Howard al suo immaginario cimmero non è poi tanto diverso da quello che Tacito fece dei suoi guerrieri germanici.

Moorcock, che conosceva bene le caratteristiche del personaggio “howardiano”, decise di creare un anti-Conan, un character che fosse l’antitesi del muscoloso combattente dell’Era Hyboriana: Elric of Melniboné (Elric di Melniboné). Si consideri inoltre che Moorcock, nel dar vita alla saga di Elric, aveva ben in mente anche i romanzi di un suo grande compatriota: J. R. R. Tolkien, il creatore dell’odierno fantasy medievaleggiante. Il nostro però, curatore a più riprese di quella rivista New Worlds (01) che fu la punta di diamante dell’innovativo movimento letterario sci-fi new wave, collaboratore di rock band come gli Hawkwind e i Blue Öyster Cult, non poteva certo avere la stessa visione del mondo di un tranquillo accademico di Oxford.

La prima apparizione letteraria di Elric avviene sulle pagine del 47° numero della rivista Science Fantasy, qui nel giugno del 1961 viene pubblicata la novella The Dreaming City, in seguito ampliata e rinominata come Stormbringer nel 1965. Solo nel decennio successivo, per l’esattezza nel 1972, fece però la sua comparsa un romanzo dedicato a questo singolare personaggio: Elric of Melniboné (Elric di Melniboné), a cui seguì quattro anni dopo nel ’76 The Sailor on the Seas of Fate (Sui mari del fato). Entrambe queste opere sono state resi disponibili ai lettori italiani, dopo anni di latitanza dalle librerie nostrane, grazie alla casa editrice Fanucci, che recentemente ha nuovamente ristampato l’intera saga di Elric; in particolare i primi due romanzi sopracitati sono stati raccolti all’interno del volume La saga di Elric di Melniboné – vol.1.

Moorcock, imbevutosi della controcultura degli anni ’60 – ’70, intrise sempre i suoi lavori di visioni radicali, forti, provocatorie e non prive talvolta di risvolti satirici. Basti pensare al suo romanzo Behold the Man (I.N.R.I) del ’66, incentrato su di un viaggiatore temporale che finisce con il sostituirsi a Gesù Cristo, dato che quest’ultimo è impossibilitato a ricoprire il suo ruolo di messia. Qui è evidente una peculiare idea di destino, giudicato come ineluttabile, paradossale e incomprensibile, assieme alla voglia di scioccare e stupire i propri lettori; temi che saranno ricorrenti anche nella saga di Elric. Quest’ultimo è il sovrano di un potente reame in piena decadenza, l’Impero di Melnibonè, noto pure come Impero Fulgido, il quale ha sede nell’Isola del Drago. In passato Melnibonè, grazie alla stregoneria, ai draghi e a una potente flotta, è riuscita a instaurare un dominio mondiale ma adesso, trascorsi diecimila anni dalla sua fondazione, questa nazione ha i giorni contati. Questo ciclo narrativo è dunque ambientato, analogamente alle avventure del Conan “howardiano” dell’Era Hyperborea, in un immaginario passato ancestrale in cui i prodigi della magia sono ancora possibili. Gli stessi Melniboneani, caratterizzati da un cinismo e da una crudeltà fuori misura, non sono realmente umani, essi lo sono solo in parte e anche per questo vengono odiati e disprezzati dagli abitanti dei nuovi Young Kingdoms (Regni Giovani), delle potenze emergenti che vorrebbero spazzar via quel che rimane del vecchio impero che un tempo gli soggiogava. I “barbari” di questi reami, in piena espansione e insofferenti di quel che rimane del potere dell’Isola del Drago, appartengono a delle culture assai meno sofisticate di quelle di Melnibonè ma che sembrano in compenso essere più vitali e assai meno disumanizzate. Si tratta insomma, seppur sotto altra veste, dell’antica contrapposizione tra il barbaro vigoroso e il civilizzato corrotto che già era stata ripresa da Howard.

Per i melniboneani si prospettano in effetti tempi cupi. La nascita di Elric, destinato a salire al trono come Elric VIII, 428° imperatore di Melniboné, già di suo non sembra promettere nulla di buono per il loro futuro. Il nostro soffre di albinismo e di una debolezza cronica, il suo venire al mondo ha provocato la morte della madre e la disperazione del padre Sadric LXXXVI; quest’ultimo, già di suo un melniboneano singolare essendo capace di amare, prova in tutti i modi a salvare il figlio malato. Elric sopravvive, pur essendo costretto per tutta la vita a dover dipendere da alcune droghe che gli donano una forza paragonabile a quella degli altri uomini; senza di esse non avrebbe la forza nemmeno di alzare un braccio e morirebbe in poco tempo. In seguito, una volta conquistata una celebre (quanto terrificante) spada magica nota con il nome di Stormbringer (Tempestosa), egli sostituisce un tipo di dipendenza con un altro. La sua arma incantata ha una volontà propria e si nutre delle anime delle persone che uccide, in cambio però dona per un certo periodo di tempo al suo padrone quel vigore che egli manca. Naturalmente la dipendenza dalle droghe, o ancor peggio dalla letale Tempestosa, non rappresenta certo una soluzione definitiva per i problemi di salute di Elric che è costretto, unicamente per poter sopravvivere, a dover dipendere da forze a lui estranee. Inoltre il nostro, dotato di un animo sensibile e gentile, viene costretto a uccidere contro la sua stessa volontà dalla sua spada; perennemente assetata di sangue e di anime da divorare.

Questo nobile albino, il quale ha letto tutti i libri della biblioteca paterna, si è impadronito di grandi conoscenze magiche, è salito al trono dopo la morte del genitore ma non sembra essere molto amato dal suo popolo. Il suo albinismo e la sua debolezza lo rendono “diverso”, quindi oggetto di disprezzo, mentre la sua capacità di provare emozioni e sentimenti (come l’amore, la pietà, la gentilezza o il rimorso) lo rende un autentico alieno alla sua stessa gente. In precedenza già il suo defunto padre Sadric aveva mostrato questa strana “anormalità” ma era riuscito, nel ricoprire il suo ruolo pubblico di sovrano, a mascherare questo suo lato umano, incomprensibile per i suoi stessi sudditi. A Elric invece sembra che sia più difficile ottemperare ai propri doveri, nascondendo al tempo stesso la sua vera natura e seguendo scrupolosamente tutta quella moltitudine di riti e tradizioni, spesso sanguinose, che dovrebbe seguire.

I melniboneani sono in genere cinici, crudeli e amorali, incapaci di provare qualsiasi forma di empatia nei confronti del prossimo o di comprendere la variegata gamma di emozioni e sentimenti che caratterizzano gli appartenenti alla specie umana. Non a caso i popoli dei Regni Giovani considerano gli abitanti dell’Isola del Drago come dei demoni ed essi stessi si considerano come delle creature semi-umane, non facenti del tutto parte dell’umanità. A causa di questo, persino i più cari amici di Elric, come l’amata cugina Cymoril e il signore delle Grotte dei Draghi Dyvim Tvar, si trovano spesso nell’impossibilità di comprenderlo; ciò che egli sente nell’animo è incomprensibile agli occhi dei suoi simili, anche per quelli che sembrano mostrare dell’affetto nei suoi confronti. Come se non bastasse il nostro non è solo un fulcro di incomprensioni, quasi come se fosse un “alieno sulla Terra” (02), ma anche di forze cosmiche: i Lords of the Higher Worlds (Signori dei Mondi Superiori), sia gli appartenenti alla Legge (White Lords of Law, i Signori della Legge) quanto quelli del Caos (Chaos Lords, i Signori del Caos). Costoro sono destinati a combattere in eterno per mantenere l’equilibro all’interno di una molteplicità di universi diversi, seguendo questi dei un Editto dell’Equilibro Cosmico da loro stessi stabilito.

Qui Moorcock, oltrepassando le convenzioni che vorrebbero tener separate e distinte sci-fi e fantasy, introduce un concetto tipicamente fantascientifico, quello della pluralità degli universi, situati in dimensioni differenti. Ebbene, all’interno di quest’intricato Multiverse (Multiverso) le entità divine che rappresentano Law and Chaos (Legge e Caos) si affrontano in una battaglia senza esclusione di colpi; una lotta che possiamo anche considerare come una sorta di gioco, una partita a scacchi cosmica che ha quale unico scopo The Cosmic Balance, l’equilibrio cosmico. All’interno di tale conflitto una pedina essenziale è rappresentata da un essere assai peculiare, l’Eternal Champion, il Campione Eterno (02). Non si tratta di un semplice guerriero ma di una molteplicità di avatar, cioè di incarnazioni, della stessa entità che vivono in corpi diversi e in differenti universi paralleli ma le cui esistenze sono in qualche maniera simili. In conclusione, ciascuno di questi singoli eroi eroi non è nient’altro che un singolo frammento di un più grande meta – eroe. Elric, l’imperatore albino dell’Isola del Drago, è uno dei tanti volti del Campione Eterno e quindi non ci si deve sorprendere se la sua esistenza è destinata ad essere influenzata da onnipotenti, quanto imperscrutabili, forze divine. Entità soprannaturali che agiscono per la conservazione del Multiverso, senza alcun riguardo per la vita dei singoli individui o per i loro sentimenti. Del resto lo stesso popolo su cui il nostro regna ha sempre goduto di un rapporto privilegiato con i Signori del Caos, in particolare con uno di loro: Arioch, il demone protettore degli antenati di Elric e quindi del casato imperiale. Il nostro, assiso da poco sul Trono di Rubino nella città di Imrryr la Bella, la Città Sognante, deve affrontare contemporaneamente sfide diverse: l’ambizioso cugino Yyrkoon, fratello della bella Cymoril, è ben deciso a spodestarlo mentre al tempo stesso presso i Regni Giovani si sta organizzando una spedizione contro l’Isola del Drago. Questo sovrano, pur se dotato di grandi conoscenze magiche, non vorrebbe né uccidere il proprio parente, che da bravo melniboneano è del tutto privo dei suoi scrupoli, né ricorrere alla magia. Invece, costretto dalle circostanze e andando contro la sua volontà, egli prima ricorrerà all’aiuto degli spiriti elementari dell’acqua e del loro sovrano, il re del mare Straasha, un potente essere che non è legato né alla Legge, né al Caos. Infatti, quasi a costituire una terzo schieramento neutrale, esiste una gran varietà di entità soprannaturali che sono legate alla Natura, ovverosia alle forze che la compongono e agli esseri viventi, piuttosto che alla dualità rappresentata dai Signori dei Mondi Superiori. Straasha, che in passato era alleato di Melnibonè, aiuta di buon grado di Elric quando quest’ultimo rischia di perdere la vita in battaglia. Un pericolo generato non tanto dagli invasori stranieri, contro i quali l’imperatore combatte con coraggio, quanto piuttosto dal cinico cugino. Il piano di Yyrkoon viene alla fine vanificato ma questo non gli impedisce, una volta fallito il suo colpo stato, di fuggire dopo aver rapito la propria sorella; l’unica donna che Elric abbia mai amato e che egli sarebbe intenzionato a sposare.

Disperato, il nostro è costretto a stringere un patto con il duca infernale Arioch, noto anche come Cavaliere delle Spade, Signore delle Sette Tenebre e Signore dell’Inferno Superiore, diventando controvoglia, per amore e per disperazione, un novello Faust. Aiutato dal suo nuovo padrone demoniaco, di cui ha accettato di essere servo, Elric compie un viaggio tra le dimensioni giungendo in un universo oscuro e maledetto. Qui, in un luogo talmente tetro da sembrare un girone dantesco, avviene lo scontro decisivo con Yyrkoon: Elric stringe nel suo pugno Tempestosa, mentre il cugino la spada gemella Mournblade (Luttuosa). Le lame sono incantate ed entrambe hanno una volontà propria, essendo degli esseri viventi veri e propri. L’albino a un certo punto si rende conto di esser stato manipolato, guidato passo dopo passo nelle sue dolorose scelte. Sconfitto il suo avversario, proprio per affermare la propria indipendenza da Arioch e dalle spade soprannaturali, l’imperatore decide di risparmiargli la vita. Dichiara che entrambi sono stati manipolati da forze esterne, gli chiede di svegliare la sorella dal sonno incantato in cui l’ha fatta cadere e lo perdona. Anzi, al termine del romanzo Elric di Melniboné, Elric decide che sposerà la sua amata Cymoril non prima che sia trascorso un anno; durante questo lasso di tempo, alla stregua di un cavaliere errante da poema cavalleresco medievale, il nostro intende viaggiare attraverso i Regni Giovani. Si tratta di una vera odissea; un po’ viaggio di esplorazione e un po’ pellegrinaggio, portata avanti tra mille difficoltà tra quei popoli barbari che a giudizio dell’imperatore – stregone sembrano possedere delle qualità che meritano di essere studiate. Dunque Yyrkoon, nonostante i suoi crimini, non solo viene graziato ma ottiene persino l’incarico di reggente che ricoprirà durante l’assenza del monarca legittimo. Moorcock però, sin dall’inizio, non illude i suoi lettori: non ci sarà mai un happy end per il guerriero albino che è destinato a recare sventura alla sua gente e a tutti coloro che ama.

Il diretto seguito del primo romanzo dedicato a Elric, Sui mari del fato, non solo ha una struttura narrativa più frammentata rispetto a Elric di Melniboné ma è focalizzato sulla nozione di Campione Eterno e sulla genesi del popolo dei melniboneani. Ambientato durante i vagabondaggi del nostro, è caratterizzato da una ancor più marcata natura onirica. Certo, sin dall’inizio le imprese di Elric, che partono dalla fiabesca quanto crudele Città dei Sogni per arrivare sino ad altri piani della realtà, hanno avuto una marcata componente onirica ma in questo caso essa risulta essere ancor più determinante. Il paragone che viene spontaneo fare è quello con i comics di culto di un altro grande scrittore britannico, Neil Gaiman, autore della sceneggiatura del surreale Sandman. La confusione tra sonno e veglia, l’intervento di potenze sovrannaturali nelle vicende terrene e la creazione di una nuova mitologia, post-moderna e perturbante, si ritrova in Moorcock tanto quanto in Gaiman.

Qui Elric, in fuga da alcuni inseguitori, viene salvato da un vascello misterioso, capace non solo di viaggiare sugli oceani ma anche tra le dimensioni; si tratta dell’inquietante Nave Scura, perennemente avvolta da una nebbia ultraterrena. Una volta a bordo, viene subito arruolato per una missione cruciale per l’esistenza dell’intero universo; due stregoni alieni, Agak e la sorella Gagak, contro quale né i Signori della Legge né quelli del Caos possono nulla, intendono distruggerlo per i propri scopi risucchiandone l’energia. Per fermare questa minaccia vengono mobilitati alcuni avatar del meta-eroe, come afferma il misterioso capitano della Nave Scura è stato chiamato: “Il Campione Eterno in quattro sue incarnazioni (equattro è il numero massimo che possiamo rischiare senza causare altre tremende lacerazioni tra i livelli della Terra): Erekosë, Elric, Corum (04) e Falcolunare. Ognuno di voi comanderà altri quattro guerrieri, i cui destini sono legati ai vostri; anche loro sono grandi combattenti, sebbene non condividano i vostri destini in ogni senso. Ognuno di voi può scegliere i quattro con cui vuole combattere”. (MICHAEL MOORCOCK, The Sailor on the Seas of Fate; tr. it. Sui mari del fato, in La saga di Elric di Melniboné – vol.1, Fanucci Editore, Roma 2006, p. 182).

L’intera prima parte di Sui mari del fato sembra un novello poema cavalleresco, con una Tavola Rotonda in salsa post-moderna, più dark e melanconica, se non una vicenda epico-supereroistica degna del miglior fumetto DC oppure Marvel. Insomma, qui siamo difronte a una narrazione al cardiopalma, interamente focalizzata su un action-team in salsa fantasy. La seconda invece, successiva al compimento della missione dei Quattro aspetti del Campione Eterno e dei loro alleati, accentua ancor di più se è possibile la natura di odissea onirica del romanzo. Elric, che inizia a non saper più se è sveglio o se sogna, riesce a procurarsi un nuovo alleato, il conte Smiorgan il Calvo delle Città Purpuree, assieme al quale fa ritorno nel suo mondo. Non prima di essere sfuggito da una specie di limbo dimensionale e a innumerevoli pericoli, compreso l’incontro con un proprio antenato divorato da un’insana passione amorosa. In un continuo succedersi di eventi, uno più incredibile dell’altro, appena Elric e il suo nuovo amico raggiungono gli oceani della loro realtà finiscono con l’aggregarsi a una pericolosa spedizione.

L’ardimentoso Avan Astran della Vecchia Hrolmar, in possesso di una vecchia mappa come nelle più classiche storie d’avventura, vuole arrivare sino a una città perduta che si trova in mezzo a una giungla, R’lin K’ren A’a; il luogo originario del popolo dell’Isola del Drago. La parte conclusiva di Sui mari del fato ci svela nel dettaglio la genesi dei melniboneani, spiegandoci la natura della loro follia e del loro legame con Arioch, non lasciandoci molte illusioni sul destino di Elric. Quest’ultimo rimane un eroe romantico, dalla personalità tragica e tormentata, la cui figura ha ispirato più di una band hard rock o haevy metal e su di lui sono stati realizzati diversi albi a fumetti. Purtroppo un progetto cinematografico incentrato su questo character, indubbiamente carismatico e affascinante, non è tutt’oggi mai andato in porto anche se in passato se n’è parlato. Un’idea che in effetti avrebbe molte chance di aver successo e che, a giudizio di scrive, meriterebbe senz’altro di essere concretizzata in futuro. Anzi, data la diffusione planetaria di anime e manga, non sarebbe neppure una cattiva idea se un giorno una casa di produzione nipponica potesse lavorare a una trasposizione animata di questa saga; ad esempio, a un kolossal d’animazione per il cinema, oppure a una miniserie di OAV, onde garantire un taglio narrativo adulto e un’alta qualità tecnica. Elric, simile in questo agli eroi dello scrittore di fantascienza e fantasy Poul Anderson, spesso dubbiosi riguardo alla bontà e alla correttezza delle proprie azioni (05), è un individuo riflessivo ricolmo di interrogativi, con moltissime domande e con poche risposte: in questo sta forse la sua modernità, la sua natura di personaggio intramontabile in cui tutti noi, in un modo o nell’altro, possiamo ritrovarci.

Note

(01) Moorcock fu curatore della rivista inglese di sci-fi New Worlds per la prima volta dal maggio del 1964 al marzo del ’71, in seguito ne riprese in mano le redini per un ventennio dal ’76 al ’96. Il suo lavoro contribuì alla diffusione della new wave sia nel Regno Unito sia negli USA. In particolare, a causa del suo linguaggio crudo ed esplicito, si ricordano le polemiche scatenate dalla pubblicazione a puntate nel ’69 del romanzo pre-cyberpunk Bug Jack Barron (Jack Barron e l’Eternità), opera dello statunitense Norman Spinrad.

(02) Curiosamente, lo spaesato extraterrestre in missione sul nostro mondo del romanzo del 1963 di Walter Tevis (1928 – 1984) The Man Who Fell to Earth (L’uomo che cadde sulla Terra) è un albino. Da quest’opera venne in seguito anche tratto un film, con la rock-star David Bowie nel ruolo dello sventurato visitatore, mentre il suo protagonista è diventato un esempio allo “stato dell’arte” dell’individuo smarrito, emarginato, solitario e d’animo gentile. Sia questa infelice creatura quanto Elric sono il prodotto della rivoluzione culturale degli anni ’60 – ’70 che finirono con l’influenzare la sci-fi e il fantasy attraverso la new wave, dando preferenza a characters molto più sfaccettati, contraddittori e complessi che ai solari eroi vincenti del passato.

(03) Moorcock ha dato alle stampe ben cinque romanzi, interamente dedicati alla figura di quel meta-eroe noto come il Campione Eterno: nel 1962 The Eternal Champion (Il campione eterno); nel ’70 The Phoenix in Obsidian (noto anche come The Silver Warriors) tradotto in Italia come I guerrieri d’argento; The Swords of Heaven, the Flowers of Hell del ’78, inedito in lingua italiana e scritto in collaborazione con Howard Chaykindel; nel 1986 The Dragon in the Sword (Il drago nella spada) e infine nel 2003 The Skrayling Tree: The Albino in America, tutt’ora inedito.

(04) Negli anni ’70 uscì un’esalogia, divisa in due trilogie, incentrata sulla figura del principe Corum, il primo libro della serie a esser pubblicato fu The Knight of the Swords (Il Signore del Caos) nel 1971.

(05) Nei ringraziamenti, posti in epigrafe a Elric di Melniboné,Moorcock cita alcune sue fonti di ispirazione. Qui Anderson vi compare al primo posto, con alcune sue opere fantasy direttamente citate, precedendo in tal modo sia lo scrittore statunitense Fletcher Pratt (1897 – 1956) sia il celebre poeta e drammaturgo tedesco Bertold Brecth (1898 – 1956): “A Poul Anderson per La spada infranta e Tre cuori e tre leoni. Al compianto Fletcher Pratt per La fonte dell’unicorno. Al compianto Bertold Brechtper il Romanzo da tre soldi, che, per oscuri motivi, considero al pari degli altri libri, quale principale ispirazione per le prime storie di Elric”.

 


 


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