FANTASY AL FEMMINILE A MANTOVA


FANTASY AL FEMMINILE A MANTOVA

di Claudio Cordella

“É sicuramente una figura affascinante perché viaggia lungo il limite dell’abisso”.

Cecilia Randall.

“Ho sempre avuto un rapporto quasi carnale con la parola”.

Barbara Baraldi.

“Ho sempre immaginato un eroe che in qualche maniera dovesse trasformarsi in pantera nera”.

Anna Giraldo.

Nella foto, da sinistra a destra: Cecilia Randall, Anna Giraldo, Barbara Baraldi.

Recentemente, all’interno di Mantova comics & games 2012, si è tenuto un evento che gli amanti del fantasy presenti non si sono certo lasciati sfuggire. L’illustratore Paolo Barbieri,  artista noto per i suoi lavori legati al Mondo Emerso di Licia Troisi, ha intervistato un eccezionale trio di scrittrici: Cecilia Randall, Barbara Baraldi e Anna Giraldo. Tre romanziere che hanno saputo ben rappresentare il fantastico “made in Italy”, ognuna a modo suo, ciascuna con un proprio stile e un suo personale approccio alla scrittura. Quest’evento, intitolato Le donne, i cavalieri, l’arme, gli amori, ha visto questo terzetto, affiancato da un inedito Barbieri nel ruolo di presentatore/intervistatore, parlare non solo di specifiche opere letterarie ma anche dell’arte dello scrivere in genere. Tra l’altro risulta essere molto interessante l’analisi svolta da queste autrici sulla natura dell’eroe; una figura imprescindibile per qualsivoglia racconto fantasy, o di fantascienza, di cui però si possono offrire diverse interpretazioni.  Ad esempio, la Baraldi, autrice di romanzi noir (come La bambola dagli occhi di cristallo, Il giardino dei bambini perduti, Lullaby – La ninna nanna della morte) e urban fantasy (Scarlett, Scarlett – Il bacio del demone), oltre a una recente guida dei misteri bolognesi, 101 misteri di Bologna (che non saranno mai risolti), ha ricordato come: “Per me l’eroe è sempre stato quello nascosto, colui che non svelava il suo vero volto immediatamente. Ad esempio, tra i supereroi il mio preferito era Hulk, e mi piaceva perché era brutto, sgraziato, ma aveva un cuore molto tenero. L’eroe è colui con cui ci si può immedesimare, devi sapere che anche tu puoi farcela come lui. Ecco perché i tipi troppo vincenti, tipo Superman, non mi sono mai piaciuti”. In questo caso nello sviluppo del processo creativo gli eroi della giovinezza, provenienti dai comics americani, degli anime giapponesi o del cinema, non vengono affatto dimenticati: “Quando ho creato le mie eroine ho pensato agli eroi della mia infanzia, come l’Incredibile Hulk o Lady Oscar. Tra l’altro io avevo un immaginario abbastanza oscuro, mi è sempre piaciuto Dracula e quando ho visto la versione cinematografica di Francis Ford Coppola sono rimasta affascinata da questo personaggio che viene reso così romantico, tormentato nella sua ricerca dell’amore mentre al tempo stesso egli incarnava un male oscuro. Rappresenta il lato oscuro che si può innamorare, Dracula per me è in qualche modo un eroe e non un anti-eroe”. Dunque qui abbiamo un approccio “dark” che in seguito ritroviamo parimenti nelle parole della Giraldo, creatrice dei fantasy 436 e Thunder + Ligthning: “Ho sempre immaginato un eroe che in qualche maniera dovesse trasformarsi in pantera nera, quindi sicuramente un personaggio segreto, oscuro, assolutamente nero. Il mio primo eroe comunque è stato un tipo di pantera più maculata, un giaguaro! Inoltre ho sempre amato eroi come Batman, più come appare nel film Il cavaliere oscuro che di Batman Begins, cioè un eroe problematico, non facile. Quindi preferisco delle figure forse un po’ antipatiche, che secondo me vanno accostate a eroine veramente forti. Per me è importante che la figura femminile sia preponderante, nonostante il mio genere sia mixato con il romance nel quale è di solito l’uomo la figura forte, importante. Io invece ho sempre preferito inserire delle eroine che normalmente vanno a condurre l’eroe sulla via della vittoria”.

Tavola rotonda con l’illustratore Paolo Barbieri.

 

Cecilia Randall (pseudonimo di Cecilia Randazzo), autrice del fantasy Hyperversum e dei suoi due seguiti (Hyperversum – Il falco e il leone e Hyperversum – Il Cavaliere del Tempo), oltre che del recente Gens Arcana, pur rimanendo come le sue due colleghe all’interno di una prospettiva che potremmo definire come romantica e goticheggiante, cita un eroe classico della letteratura d’avventura quale suo modello di riferimento: il Corsaro Nero, il celebre personaggio nato dalla penna del veronese Emilio Salgari (1862 – 1911). Quest’ultimo è un uomo capace di stringere un patto con il diavolo per vendicare i suoi fratelli, quindi non è certo santo, un anima candida ma è al contrario un individuo che non è affatto privo di difetti: “Quindi il mio tipo di eroe, come diceva anche Barbara, è lontanissimo da Superman, un personaggio senza macchia e senza paura. Io preferisco colui che sbaglia, che ha un oscuro segreto, come Batman ad esempio. Credo che l’eroe che corteggia la parte oscura della Forza è sicuramente una figura affascinante perché viaggia lungo il limite dell’abisso, giocare con un personaggio di questo tipo è interessante, infatti non si sa mai nel corso della trama da che parte può andare. Viaggiando sul limite egli può tornare dalla parte dei buoni oppure perdersi definitivamente e magari fare anche una fine tragica. In definitiva è molto più affascinante dell’eroe lineare alla Superman”. Assai interessanti, in particolare per chi voglia intraprendere la carriera di scrittore, gli aneddoti relativi agli esordi nel mondo della narrativa raccontati da queste romanziere.

“Io non ho mai pensato di diventare una scrittrice, è stata una cosa che mi ha preso e mi ha portato via” afferma Barbara Baraldi. “Ho sempre avuto un rapporto quasi carnale con la parola, al punto che mi scrivevo frasi e parole con lo smalto per unghie sul muro della mia stanza. Ho sempre raccontato storie perché sono la sorella più grande, siamo in quattro fratelli, e quindi i due più piccoli li tenevo buoni io con le mie storie. Ed erano sempre storie spaventose e mia madre si meravigliava sempre di quanto stessero buoni con me! Erano storie di fantasia, creavo dei mondi per loro, e poi erano a puntate quindi andavo avanti tutti i giorni con la storia e loro stavano buoni. Da lì è nata la mia passione, poi un giorno una persona mi ha detto che ero così brava a raccontar storie che avrei dovuto iniziar a scrivere, e da lì mi si è aperto un universo”. Barbara ci narra di un esordio assai umile e in sordina, in cui scriveva per sé stessa senza che nessun altro lo sapesse, sino a un incontro casuale in un caffè -libreria di Cesena con quella che sarebbe diventata la sua prima lettrice. Quest’ultima rimane entusiasta del manoscritto che le viene passato e incoraggia la nostra a tentare di pubblicare il suo lavoro. Da qui in poi è iniziato per lei un lungo cammino, dalla pubblicazione del suo primo romanzo sotto pseudonimo sino alla vittoria di rinomati premi letterari e all’uscita dei suoi lavori presso case editrici di importanza nazionale. Quel che si evince dal discorso di quest’autrice è un percorso nel quale una viscerale passione per la parola, nel quale lo scrivere è una necessità ineluttabile, si sposa inscindibilmente con il talento, l’impegno costante nel tempo e la fatica. Oggi Barbara dichiara di riuscire a vivere facendo solo la romanziera, ma ci ricorda pure di come in passato abbia fatto sino a quattro lavori per mantenersi mentre intanto continuava a scrivere. Inoltre nel suo discorso si evince una netta presa di distanze dallo scrittore per vanità, cioè da chi vuole solo poter vedere il proprio nome sulla copertina di un libro, finendo magari per pubblicare a pagamento.

Discorso un po’ diverso invece è quello che ci propone la Giraldo, il cui accento del suo discorso risiede sulla tardiva scoperta dell’arte del narrare: “Il mio pudore stava nel non raccontare, nel non divulgare il mio mondo interiore che non aveva niente a che vedere con il fatto che sono una professionista, una persona seria, io mi occupo di bilanci, poi non so cosa sia successo, so solo che ho iniziato a scrivere e che a un certo punto non erano tre pagine nascoste in un cassetto ma son diventate cinquecento! Anch’io non ho mai detto niente a nessuno, a casa pensavo che probabilmente mi fossi innamorata di qualcuno in chat dato che stavo sempre collegata al computer! E così è nato il mio primo romanzo, io non sono partita come fanno quasi tutti da dei racconti ma da un romanzo all’età di 35 anni, quindi quando c’era qualche cos’altro nella mia vita, c’erano il mio lavoro, passioni diverse, come il viaggiare e la gastronomia. Lo scrivere si è dunque aggiunto in seguito ma come qualcosa di totalizzante, io a differenza di Barbara ho chiesto di esser pubblicata con il mio nome, perché avevo paura che l’editore mi desse uno pseudonimo inglese! Quando sono riuscita a liberarmi di questo mantello nero di cui mi ammantavo, a dire quello che ero, cioè qualcosa di diverso dal mio lavoro e dal mio aspetto sociale, ho voluto farlo ad alta voce!”. Dunque anche per quest’autrice la necessità di avere qualcosa da dire, prima di qualsiasi ogni altra considerazione, sta all’origine dell’atto dello scrivere. Si tratta quasi di un bisogno primario, una passione travolgente che dev’essere soddisfatta. E anche in questo caso la Giraldo non ci nasconde le difficoltà e le incertezze degli esordi: “Ne è passato del tempo dal termine di 436, il mio primo romanzo, al momento della sua pubblicazione. Non è stata una cosa semplice! Veramente difficile è anche iniziare a farsi leggere, io continuavo a chiamare la prima lettrice ogni due ore per sapere come stava procedendo la lettura. Difficile è comunque anche entrare nel mondo dell’editoria, capire quali sono i tranelli, perché sono tanti e mi sembra che siano sempre di più. Bisogna stare attenti non solo agli editori a pagamento ma anche a sedicenti agenti, che promettono il mondo e vogliono i soldi immediatamente, quindi comunque personaggi dai quali bisogna guardarsi. Ci vuole fortuna ma si può arrivare a esser pubblicati!”.

Considerazioni simili a quelle che abbiamo già sentito esprimere, pur se con parole e accenti diversi, da Barbara e Anna, le ritroviamo pure nelle parole della Randall: “Io non ho mai pensato di pubblicare libri, anche se fin da piccola la comunicazione era qualcosa che mi affascinava, infatti quando mi chiedevano che cosa volessi fare da grande rispondevo di voler diventare grafico pubblicitario. Infatti è più o meno quello che faccio adesso lavorando per il web, sempre grafica faccio! Quindi la comunicazione per me è sempre stato un mondo interessante. Devo dire che, pur avendo fatto degli studi per diventare un grafico, scrivevo da sempre, mi piace raccontare storie e ho iniziato prestissimo ma non avevo mai pensato di scrivere dei libri perché la mia aspirazione era quella di diventare un fumettista”. Le ambizioni della nostra cambiano però direzione: “A un certo punto mi son resa conto che le mie povere forze non mi portavano a diventare una professionista in questo campo. Per cui dopo anni e anni di storie un po’ scritte, ma per la maggior parte disegnate, alla fine mi sono limitata esclusivamente a scriverle. Anch’io però le facevo leggere solo agli amici fidati, perché avevo già una professione che mi piaceva, alla fine però pian, pianino il giro degli amici si è allargato sino a che due di loro non hanno iniziato a insistere, dopo aver letto l’ultima storia che avevo scritto, che era Hyperversum in questo caso, affinché io non provassi a pubblicarlo presso un editore. Hanno tanto insistito che io gli ho accontentati”. Come si può vedere anche in questo caso, come abbiamo già visto per la Baraldi e per la Giraldo, la lettura dei propri manoscritti da parte di amici può risultare decisiva, spingendo l’esordiente a decidersi a compiere il grande balzo verso la pubblicazione. Una sorta di inizio d’una grande avventura che sempre la Randall racconta così: “Nella mia grande ignoranza speravo di avere un parere autorevole da parte di un editore, di qualcuno che insomma mi dicesse che quello che scrivevo faceva schifo o che andava abbastanza bene. Invece mi sono arrivati alcuni pareri, tra cui uno favorevole alla pubblicazione da parte della Giunti Editore. Il mio ingresso nel mondo dell’editoria è stato veramente molto lineare e direi standard. Una volta deciso di far vedere questo libro agli editori io mi sono fatta una lista di tutti i possibili editori, mandando il libro con una lettera di presentazione, la più professionale che dal punto di vista grafico potessi fare, il curriculum e il riassunto. Io pensavo che fosse finita lì, che non mi avrebbe più risposto nessuno o che tutta al più avrei ricevuto dei ‘no, grazie’, come in effetti è anche accaduto. Solo che dopo sei mesi mi hanno telefonato quelli della Giunti, dicevano che se il libro non era stato ancora venduto loro erano disponibili a pubblicarlo. È così che è iniziata la faccenda, quindi anch’io dal mio punto di vista posso dire che si riesce a pubblicare, tant’è vero che ogni anno ci sono nuovi esordienti. È effettivamente un mondo difficile, bisogna effettivamente guardarsi da un sacco di tranelli, però ci si riesce!”.

In conclusione direi che queste scrittrici, raccontandoci con dovizia di particolari il loro mestiere di romanziere, hanno saputo offrirci un fedele spaccato di che cosa significhi oggi coltivare l’arte dello scrivere in Italia, ben lontane da qualsivoglia forma di divismo o di attaccamento a qualche moda effimera. Dimostrando inoltre un’ottima conoscenza dei  topoi della narrativa fantastica assieme a un travolgente amore per la scrittura, un bisogno di raccontare storie che le accomuna e che ha consentito a tutte e tre di diventare delle autentiche professioniste.

Foto per gentile concessione di Valentina Vecchiato.


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