CRONENBERG: IL CANTORE DELLA CARNE MUTANTE


A cura di Claudio Cordella

“Il corpo accanto all’acquaio indossava un vestito di sua madre. La faccia, le braccia, le gambe e le mani erano marcate da rigonfie strisce bianche. Suzy fece un altro breve passo avanti, col fiato mozzo e accelerato. La porta le scivolò via dalle dita e si richiuse. Indietreggiò e fece un passo di lato, come se il suo corpo scattasse in una danza di terrore e indecisione”. GREG BEAR, Blood Music, 1985, tr. it. L’ultima fase – la musica del sangue, ed. Nord, Milano 1987, p. 117.

David Paul Cronenberg

David Paul Cronenberg (Toronto, 15 marzo 1943) in qualità di regista, sceneggiatore, attore, produttore cinematografico, direttore della fotografia e montatore, è diventato uno dei nomi più noti del cinema mondiale, con una produzione cinematografica che ha spesso frequentato i territori della sci-fi e dell’horror. Uno dei temi-cardine dell’arte cronenbergiana è la metamorfosi del corpo (sottoposto a mutazioni e irrimediabilmente cambiato) e della mente (a sua volta influenzata dalle trasformazioni della carne): non  a caso viene spesso considerato uno dei più autorevoli esponenti del body horror (o horror biologico), un sottogenere specializzato nell’analisi del terrore che scaturisce dinnanzi alla mutazione del corpo, all’infezione e alla contaminazione.

The Brood (Brood – La covata malefica).

In buona sostanza nel body horror sono le scienze biologiche, assieme a medicina e chirurgia, a far da padrone fornendo gli spunti essenziali per opere letterarie e cinematografiche che sostanzialmente portano al loro centro la paura di cambiare, del rischio di poter diventare dall’oggi al domani qualcosa di non-umano, di mostruoso. Qui è la scienza, che ha nelle sue mani il potere di riplasmare a suo piacimento i nostri corpi e di modificare gli stessi geni, il primo motore di simili angosce. All’interno della filmografia di Cronenberg ricorrono non solo personaggi sottoposti a ripugnanti  mutazioni ma anche medici, o comunque scienziati, vittime di una scienza distruttiva e fuori controllo che loro stessi per primi hanno contribuito a scatenare.

Possiamo facilmente ritrovare analoghe preoccupazioni, con a volte esiti narrativi decisamente simili, anche in autori emersi sull’onda del cyberpunk e del post-cyberpunk degli anni ’80 – ’90 come Richard Calder e Paul Di Filippo. Decisamente legato al body horror è pure il romanzo del 1985 Blood Music (L’ultima fase – la musica del sangue) di Greg Bear, tratto da un racconto omonimo dello stesso autore e vincitore dei prestigiosi premi Hugo e Nebula. La diffusione nel mondo di microbi intelligenti, i noociti, provoca una terribile epidemia senziente che prima modifica i corpi di quasi tutti gli uomini per poi iniziare a riplasmare lo stesso concetto di realtà. Temi tratti dal body horror li ritroviamo in ambito cinematografico anche in Alien di Ridley Scott, con i suoi astronauti infettati da un pericoloso  parassita alieno, oppure nel grottesco Tetsuo di Shinya Tsukamoto, delirante storia di misteriose trasformazioni biomeccaniche. Lo stesso fanta-horror The Thing (La cosa) di John Carpenter, con la sua creatura aliena capace di fagocitare e replicare gli esseri umani, imitandoli alla perfezione, ne è un valido esempio. Rimanendo sempre nell’ambito della cinematografia del Sol Levante ci imbattiamo in Akira di Katsushiro Otomo, kolossal d’animazione tratto dal manga omonimo, dove è un esperimento governativo a trasformare alcuni giovani in esseri telepatici dal grande potere. Queste cavie subiscono però delle irreversibili mutazioni e uno di loro, un ex-teppista di nome Testsuo, finirà con il perdere interamente la sua forma umana, diventando un aberrante conglomerato di carne che ingloba tutto ciò che incontra. È proprio trattando simili angosce, scaturite dal lato più profondo del nostro essere, dalla nostra carne e dalla nostra psiche potremmo dire, che Cronenberg costruisce la sua personale arte cinematografica dell’orrore, una sorta di poetica esistenziale che è al tempo stesso una riflessione sulla nostra natura di esseri umani.

Shivers (Il demone sotto la pelle).

Cronenberg nasce all’interno di una famiglia ebraica politicamente progressista, la madre Esther Sumberg è musicista mentre il padre Milton è invece uno scrittore ed editor. Il nostro, dopo essersi laureato all’Università di Toronto, inizia anch’egli a lavorare nel mondo editoriale, pubblicando diversi racconti, dedicandosi solo in seguito al cinema. L’approccio alla settima arte di questo autore avviene a cavallo degli anni ’60 – ’70, prima con quattro cortometraggi, poi con due lungometraggi realizzati con un basso budget e privi di una larga distribuzione: Stereo (1969) e Crimes of the future (1970). L’autentico debutto di Croneberg, con una pellicola regolarmente distribuita ed esportata anche all’estero, risale al ’75 con Shivers (Il demone sotto la pelle). Il regista e produttore Ivan Reitman, in seguito diventato assai noto per alcune commedie di successo e per il fanta-comico Ghostbusters, affianca Cronenberg occupandosi della produzione. In Shivers il dottor Emil Hobbes, il quale conduce degli esperimenti non ortodossi su un particolare tipo di parassita, con l’idea di poterlo usare nei trapianti d’organi, scatena invece una terribile epidemia: chi ne viene colpito diventa una sorta di zombie, continuamente preda di impulsi violenti e da un desiderio sessuale irrefrenabile. Questo film permette a Cronenberg di vincere il Sitges Film Festival (noto anche come Festival Internacional de Cinema Fantàstic de Catalunya), festival internazionale del cinema che si tiene nella città catalana di Sitges, ma al tempo stesso diviene un’autentica fonte di guai per il suo autore. Il giornalista canadese Robert Fulfrod, autore dell’articolo You Should Know How Bad This Movie Is, You Paid For It (letteralmente Dovreste proprio sapere quanto è brutto questo film, l’avete pagato voi!), attacca violentemente il giovane regista, accusandolo di aver sperperato i fondi governativi con i quali era stato in parte finanziato. In buona sostanza non si tratta di un buon periodo per Cronenberg, il quale incontra notevoli difficoltà nel reperire i soldi necessari alla realizzazione dei suoi film. Ugualmente però il nostro riesce a ritornare nei cinema due anni dopo con Rabid (Rabid sete di sangue), pellicola che ripropone il tema del contaggio virale, già visto nel precedente Shivers, mixato con il tema del vampirismo e se possibile dotato di un tono catastrofista ancor più accentuato rispetto al suo predecessore.

La giovane Rose, orribilmente sfigurata dopo un incidente d’auto, viene operata dal dottor Keloid, uno specialista in trapianto cutaneo che riesce a ridarle l’aspetto di prima, impiegando delle innovative tecniche chirurgiche. Il risultato dell’operazione è però inaspettato: se la donna da un lato ha recuperato la sua bellezza dall’altro è diventata una sorta di vampiro, bisognosa di succhiare sangue umano per vivere. Tutti coloro che Rose morde, attraverso una ripugnante escrescenza di carne che le spunta dall’ascella, vengono infettati da un terribile morbo e dopo un periodo di incubazione di alcune ore mutano, trasformandosi in zombie rabbiosi. Rose, portatrice sana di un virus che sta iniziando a diffondersi per l’intera città come un autentico flagello, vuole rendersi conto se è realmente il suo morso a diffondere la malattia. Abbordato uno sconosciuto, dopo averlo “vampirizzato” la ragazza rimane assieme all’uomo sino a che quest’ultimo non si trasforma e non la uccide. Rabid si chiude su uno scenario apocalittico di portata planetaria, un mondo fatto di città deserte con le strade ingombre di cadaveri. A questo punto il corpo di Rose non è altro che uno dei tanti, confuso tra le innumerevoli vittime del morbo. La sfortunata protagonista Rabid, per volontà del produttore Reitman, venne interpretata dalla pornodiva Marilyn Chambers, all’epoca alla ricerca di un ruolo al di fuori dell’ambiente del cinema a “luci rosse”. Effettivamente la Chambers riuscì a dar vita a un personaggio che è al tempo stesso carnefice e vittima, capace di sedurre e di trasmettere un orribile contagio proprio in virtù della sua avvenenza. Il vampirismo in Cronenberg è un’esplicita metafora sessuale, il fatto che Rose sia interpretata da una star dei film hard probabilmente non fa altro che accentuare ancor di più il tutto. L’idea di un’umanità infettata da una sorta di rabbia, ridotta a causa di questa malattia a una massa di zombie aggressivi, e del seguente crollo della civiltà, venne in seguito ripresa dal regista inglese Danny Boyle nel suo 28 Days Later (28 giorni dopo) nel 2002. Già le prime opere di Cronenberg son dunque portatrici di una visione shoccante e traumatizzante della realtà, per “stomaci forti” potremmo dire, capaci però di creare validi modelli poi ripresi nel tempo da altri registi.

Il ’79 è la volta sia di Fast Company, filmetto avventuroso ambientato nel mondo delle corse, un B-Movie ancor oggi inedito nel nostro paese, sia dell’horror Brood (Brood – La covata malefica). Il dottor Raglan, uno psicoterapeuta non-ortodosso sperimenta la sua nuova terapia, la psychoplasmics (psicoplasmosi), su una donna, Nola Carveth. Il risultato, come ormai è di rito nei film di Cronenberg, sarà però un disastro: lo stesso corpo di Nola muterà, trasformandola nella madre di una cucciolata di pericolosi mutanti deformi. Simili esseri non rappresentano altro che la concretizzazione delle pulsioni inconfessabili della stessa Nola, questi mostri danno il via a una serie di orribili delitti, una danza macabra che finirà con il coinvolgere la stessa protagonista e la sua famiglia. Al successo del film contribuirono sia la fotografia di Mark Irwin, che contribuisce alla creazione di un freddo paesaggio invernale, sia le musiche di Howard Shore,  celebre compositore di colonne sonore, il quale recentemente ha lavorato per le saghe di The Lords of the Rings (Il Signore degli Anelli) e di Twilight. Nel 1981 Cronenberg porta nelle sale un suo grande successo: Scanners, anche questa volta la pellicola beneficia della fotografia di Irwin e delle musiche di Shore. La trama, pur se punteggiata da numerose scene splatter di estrema violenza, ricorda molto da vicino diversi romanzi dello scomparso scrittore americano Philip K. Dick (1928 – 1982). Nei romanzi di Dick sia gli scontri tra fazioni avverse, sia i mutanti, e in particolare quelli dotati di potenti poteri mentali, abbondano; Ubik (1969) a questo proposito ne è un valido esempio.

Scanners.

Analogamente Cronenberg ci presenta degli individui dotati di poteri paranormali, chiamati scanners, le cui capacità telepatiche e telecinetiche sono tali da poter arrivare ad uccidere un uomo facendogli esplodere il cranio. In Scanners la CoSec, multinazionale intenzionata allo sfruttamento delle eccezionali facoltà di questi mutanti, rappresenta un ulteriore elemento narrativo dickiano, mentre il dottor Paul Ruth, inventore di un farmaco, l’Ephemerol, rappresenta lo “scienziato pazzo” cronenbergiano tipo. Ruth infatti è l’inventore di un preparato che potrebbe capace di generare una nuova generazione di scanners se iniettato nel corpo delle gestanti. L’interpretazione di Patrick McGoohan (1928 – 2009) del dottor Ruth, già protagonista assoluto della serie fantascientifica cult The Prisoner (Il prigioniero) come l’indomito recluso Number 6 (Numero 6), non fa altro che avvicinare ancor di più Scanners a un certo filone paranoico della sci-fi. Il filo conduttore del film è però la lotta all’ultimo sangue tra lo scanner Darryl Revok, interpretato dal caratterista Michael Ironside, desideroso di conquistare il mondo grazie ai suoi poteri, e il suo antagonista  Cameron Vale. Nel finale del film scopriamo che i due rivali non sono altro che fratelli che combattono su opposti fronti, entrambi figli del folle dottor Ruth. Il rifiuto di Cameron di allearsi con il fratello darà via all’epico duello finale, un combattimento dall’esito strano e imprevisto. Colui che sopravvive allo scontro tra i due è un nuovo essere, con il corpo di Darryl ma con gli occhi e la coscienza di Cameron. Il film fu un successo e generò diversi sequel, tutti però opera di registi diversi da Cronenberg.

Il capolavoro di Otomo, Akira, presenta diverse somiglianze con Scanners; la versione cinematografica di quest’opera esce, dopo un lunghissimo e travagliato periodo di lavorazione, solo nel 1988 mentre la pubblicazione del manga, iniziata nel 1982, si conclude nel 1990 con l’uscita del sesto e  ultimo volumetto. Chi scrive però non si sente di poter escludere che Otomo, mentre il suo capolavoro era ancora in corso d’opera, non si sia deliberatamente ispirato al film di Cronenberg. Effettivamente diverse scene splatter di Akira, con i corpi che si gonfiano ed esplodono sotto l’effetto di potenti flussi mentali, rimandano dal punto di vista visivo proprio a Scanners; senza contare che sia Cronenberg che Otomo ci raccontano una serrata lotta incentrata sul controllo di questo potere telepatico. Una sorta di guerriglia urbana che ha in entrambe le opere i suoi campioni: i fratelli Darryl e Cameron in Scanners, gli amici di infanzia Testsuo e Kaneda in Akira. Con il proseguire degli anni ’80 si accentuano sempre più gli elementi dickiani, cioè di critica della realtà e della condizione dell’uomo post-moderno, presenti nelle pellicole di questo regista canadese. Il che non è poi così strano: dal punto di vista culturale il movimento cyberpunk, che trova in Dick una potente fonte di ispirazione, è all’epoca sulla cresta dell’onda e il nostro si inserisce consapevolmente nei filoni della sci-fi dell’epoca.

Videodrome.

Anzi, per il movimento cyberpunk Videodrome (1983) di Cronenberg rappresenta un film cult, i critici Richard Kadrey e Larry McCaffery ne parlano addirittura in termini entusiastici: “Cronenberg esplora uno dei temi favoriti del cyberpunk: lo snaturamento del corpo, la sostituzione del reale ad opera dell’iperreale televisivo. Una visione dickiana, sconvolgente nella sua cruenta ma perspicace interpretazione del modo in cui la società è paralizzata nella consumazione delle proprie paure e dei propri desideri sotto forma di immagini prodotte dai media”. RICHARD KANDREY e LARRY MCCAFFERY, Cyberpunk. Una guida schematica, in Cyberpunk, a cura di PIERGIORGIO NICOLAZZINI, ed. Nord, Milano 1994,  p. XXVIII.

In Videodrome è la stessa televisione, non più un semplice virus mutageno, a diventare un fattore di trasformazione. Max Renn, interpretato dalla star hollywoodiana James Woods, è il proprietario di CIVIC-TV, una rete via cavo che basa la sua programmazione su spettacoli di sesso e violenza; quest’ultimo viene a conoscenza dell’esistenza di un programma-pirata per sadici, chiamato Videodrome, di cui riesce a ottenere delle registrazioni. Apparentemente le immagini di brutali torture e omicidi di Videodrome provengono dall’Estremo Oriente, dalla Malaysia per l’esattezza, ma la realtà è ben diversa. Renn, attirato dall’alone di mistero che circonda questa trasmissione pirata, finirà con l’essere coinvolto in una sorta di enorme partita scacchi che coinvolge uno strano culto, The Cathode Ray Mission (Chiesa Catodica), gestito da Bianca O’Blivion, figlia di un opinionista scomparso che appare nei talk-show solo grazie a discorsi già registrati, e la misteriosa Spectacular Optical di Barry Convex. Purtroppo per Renn non solo Videodrome causa dei tumori al cervello, causa di violente allucinazioni, ma è anche qualcosa di ben diverso da un semplice show per pervertiti; quest’ultimo è infatti una letale creazione di Convenx, ben deciso a riprogrammare a proprio piacimento le menti di milioni di persone. Lo stesso Harlan, colui che ha fatto conoscere Videodrome a Max, non è altri che un fido alleato di Barry, ben deciso a prendere il controllo di CIVIC-TV per i suoi scopi. Alla termine del film Max, contaminato da Videodrome, è diventato un essere nuovo; una sorta di interfaccia posta tra la realtà del mondo reale e quella dell’immaginario televisivo. Il nostro eroe, programmato da Bianca come se fosse un automa, fa strage dei criminali responsabili della creazione di Videodrome, Barry e Harlan, grazie alle capacità della sua “nuova carne” donatagli dalla TV, in grado di generare incredibili come una “mano-pistola”.

Dead Zone (La zona morta).

Il 1983 è anche l’anno di Dead Zone (La zona morta), film tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King incentrato sul risveglio dal coma di un uomo comune, il professor  Johnny Smith, interpretato da Christopher Walken, il quale scopre di poter prevedere il futuro di tutte le persone con cui entra in contatto fisico. I temi che supportano il film, lo straordinario che si intrufola nella vita quotidiana, il senso del sacrificio, sono però tipici dell’immaginario di King e non di Cronenberg. Al contrario nel 1986 The Fly (La mosca), ci riporta appieno all’interno dei confini del body horror cronenbergiano. Lo scienziato Seth Brundle, ottimamente interpretato da Jeff Goldblum, compie degli audaci esperimenti sul teletrasporto, purtroppo per lui il sofisticato macchinario che ha creato sembra funzionare con gli oggetti inanimati ma non sugli esseri viventi. L’intera vicenda è sostanzialmente incentrata sulla psicologia di Seth, geniale inventore ma al tempo stesso uomo preda della sue fragilità e in particolare della sua forte gelosia per la fidanzata  Veronica Quaife (Geena Davis). Durante una di queste crisi di gelosia Seth, rabbioso, solo e confuso, sperimenta la macchina del teletrasporto su sé stesso commettendo un grave errore: nella capsula in cui entra lo scienziato non è solo ma è in compagnia di una piccola mosca. La macchina per il teletrasporto finisce dunque con il fondere i geni dell’uomo con quelli dell’animale; dopo un iniziale stato euforico, in cui Seth si sente superiore a chiunque altro sia dal punto di vista mentale che fisico, la progressiva mutazione in uomo-mosca porta lo scienziato a diventare qualcosa di completamente non-umano. Un essere mostruoso destinato ad andare incontro a una macabra fine.

The Fly (La mosca).

Questo film di Cronenberg, remake di una pellicola fanta-horror del ’58 di Kurt Neumann, The Fly (L’esperimento del dottor K.), presenta un protagonista arrogante, così fiducioso del potere della sua scienza da pensare di potervi affidare la propria vita, ben deciso a fare in prima persona da cavia. Secondo il critico Piergiorgio Nicolazzini il personaggio di Seth è decisamente assimilabile a quello di Vergil Ulam, il protagonista del romanzo La musica nel sangue di Bear. In entrambi i casi abbiamo effettivamente due inventori che sperimentano su sé stessi le proprie invenzioni, pagando direttamente il prezzo della propria sconsideratezza: Seth finirà addirittura con il fondersi con la sua stessa capsula per il teletrasporto, generando così un autentico abominio di metallo e carne, mentre Vergil, iniettandosi dei microbi intelligenti, i nanoociti, darà via a una pestilenza che finirà con lo scuotere le stesse fondamenta della realtà. Se le somiglianze tra Virgil e Seth nascono da una visione similare di che cosa sia uno scienziato, un essere “prometeico” ma al tempo stesso un po’ patetico, la pestilenza narratici da Bear, effetti sui corpi dei contagiati inclusi, è cronenbergiana al 100%. The Fly, a cui collaborarono ancora una volta Irwin e Shore, rispettivamente per fotografia e musica, vinse nel 1987 l’Oscar per il miglior trucco ed ebbe talmente successo da generare persino un sequel, pur se non a opera di Cronenberg. Dead Ringers (Inseparabili) del 1988 è invece la storia del morboso rapporto di mutua dipendenza, sia fisica che psichica, tra due gemelli, entrambi magistralmente interpretati da un solo attore: Jeremy Irons. Si tratta, nonostante la presenza di un’atmosfera cupa e surreale che avvolge ogni cosa, di un momentaneo abbandono da parte del regista canadese del “fantastico nero” che sinora l’hanno caratterizzato. Cronenberg, appassionato lettore ai tempi dell’università di Vladimir Nabokov (1899 – 1977) e di William Burroughs (1914 – 1997), porta sullo schermo nel 1991 Naked Lunch (Il pasto nudo), un celebre romanzo del secondo. Borroughs, alla pari di  Dick, è uno degli autori che influenzarono il successivo cyberpunk e questo regista gli rende fedelmente omaggio portando sugli schermi un’opera folle, visionaria, psichedelica e delirante incentrata su uno scrittore, tossicomane e uxoricida, che viene incaricato di compiere una misteriosa missione da parte di alcuni extraterrestri. Il successivo M. Butterfly (1993), rappresenta  l’ennesima opera di Cronenberg al di fuori dai confini del fanta-horror; anche se a dire il vero non manca di un certo tocco surreale questa vicenda, ambientata in Cina negli anni ’60, essenzialmente focalizzata sull’analisi delle ambiguità tra i sessi. Il risultato è una narrazione complessa dove la realtà non è mai ciò che appare. I temi che vengono affrontati (il rapporto tra la cultura orientale e quella occidentale, la definizione della natura femminile come prodotto dell’immaginario maschile) sono analoghi a quelli dello scrittore Richard Calder; l’ideatore di una Thailandia immaginaria popolata da travestiti e ginoidi. Nel ruolo dello sfortunato protagonista, il diplomatico francese René Gallimard, ritroviamo ancora una volta Jeremy Irons, decisamente efficace nel fornirci il ritratto di un uomo innamorato di una cantante d’opera cinese, Liling Song, che gli mente sin dall’inizio riguardo alle sue reali motivazioni (è una spia) sia sulla reale natura (è un maschio).

eXistenZ.

Anche Crash, pur essendo tratto da un romanzo omonimo dello scrittore sci-fi James G. Ballard (1930 – 2009), non è in alcun modo ascrivibile a qualsivoglia genere o sottogenere fantastico pur essendo focalizzato su uno dei degli elementi cardine della cinematografia cronenbergiana: il corpo umano. In Crash l’attenzione del nostro si incentra su un gruppo di individui, decisamente maniacali, che hanno sviluppato un’autentica passione morbosa per gli incidenti stradali. Il 1999 segna invece il ritorno del nostro alla sci-fi con eXistenZ; film complesso in cui vengono raccolte in una sola opera sia le preoccupazioni dickiane relative all’intima natura della realtà sia le tematiche del cyberpunk riguardanti la realtà virtuale. La creazione di un videogame organico, a cui ciascun giocatore può accedervi tramite una sorta di cordone ombelicale collegabile a bio-ports (bio-porte), artificialmente inserite alla base della spina dorsale, è effettivamente alla base di un universo che ricorda moltissimo i romanzi di Dick e dei suoi eredi cyberpunk (William Gibson su tutti) ma che è al tempo stesso lugubre, malsano e orribile. Cronenberg in buona sostanza pare privare la tecnologia della realtà virtuale di qualsivoglia scintillio di luce iper-tecnologia per calarla nella carne vivente impiegando le suggestioni della biologia.

Da questo momento in poi quest’autore sembra però abbandonare il body horror e la sci-fi: i successivi Spider (2002),  A History of Violence (2005) e Eastern Promises (La promessa dell’assassino) del 2007 segnano il suo avvicinarsi a un cinema mainstream totalmente slegato dal fantastico, pur trattandosi di pellicole pregne di elementi perturbanti e surreali. Persino l’annunciato A Dangerous Method, incentrato sulle vite di Sigmund Freud e del suo allievo Carl Jung, è un film storico anche se dimostra il persistere dell’interesse di quest’artista per gli abissi della psiche umana. A quanto sembra i fans del peculiare horror di Cronenberg dovranno farsene una ragione, pur continuando ad esplorare le pieghe nascoste della nostra mente e i segreti del nostro fragile corpo, questo maestro del cinema ha dato il suo addio alla sci-fi. Se questo abbandono sia solo momentaneo o definitivo solo il tempo saprà dirlo. Intanto per il 2012 è attesa Cosmopolis, pellicola tratta dall’omonimo romanzo di Don DeLillo, completamente calata nel nostro presente. In conclusione questo regista, che ha saputo meritarsi l’Order of Canada (Ufficiale dell’Ordine del Canada) per la qualità della sua arte cinematografica, rimane un filosofo esistenzialista capace di scavare, anche crudelmente, nelle più profonde pieghe del nostro essere psico-fisico.


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