L’EVOLUZIONE DELLA PSICOLOGIA DEI PROTAGONISTI DEGLI ANIME ROBOTICI – Cap 2: Gli anni ’80 e la rivoluzione di Tomino


A cura di Claudio Cordella

Quando Tomino crea il suo Gundam non è l’ultimo arrivato nel campo dell’animazione e ha già avuto a che fare con gli anime robot; nel ’75 dirige i 26 episodi di Yuusha Raideen (Il valoroso Raideen), due anni dopo lo ritroviamo in veste di produttore di Voltus V, sempre nel ’77 come regista e sceneggiatore di Muteki Choujin Zanbotto 3 (Zambot 3), duplice ruolo che ricopre pure nel ’78 per Muteki Kojin Daitarn 3 (Daitarn 3). Se con Zanbot 3 Tomino crea una serie in cui il dramma viene spinto all’ennesima potenza, si parla di civili trasformati in bombe umane, invece con Daitarn 3 introduce nella narrazione elementi glamour di chiara derivazione “bondiana”. Il protagonista Haran Banjo è un abile combattente, esperto in ogni genere di arti marziali, il quale ha dalla sua non solo il robot trasformabile Daitarn 3 ma anche un’auto dotata di qualsivoglia tipo di gadget immaginabile, la Mach Patrol infatti può volare ed è armata come un veicolo militare. I suoi compagni di lotta sono il baffuto maggiordomo Garrison Tokida e le sue due assistenti: la bionda Beauty Tachibana e la castana Reika Sanjo; a costoro in seguito si aggiungerà il piccolo orfano Toppi, vera mascotte del gruppo. Diversi elementi, sia iconografici che biografici, relativi a Banjo ricordano alcuni personaggi dell’immaginario avventuroso del cinema e del fumetto occidentali; in particolar modo Batman/Bruce Wayne (la villa con le stanze segrete, il maggiordomo fidato, l’oscuro passato e il bisogno di diventare un giustiziere) e lo “007” James  Bond (l’automobile super-tecnologica e le altre trovate da spy-story, le donne bellissime quali comprimarie). Eppure Banjo è un character solo apparentemente solare, il padre è il creatore dei cyborg noti come Meganoidi ed è il responsabile della distruzione della propria famiglia, nonché delle colonie di Marte. Solo il nostro eroe, fuggito sulla Terra a bordo del Daitarn III, riesce a evitare di essere ucciso o trasformato a sua volta in un cyborg. Da qui il suo odio nei confronti dello sconsiderato genitore e il suo continuo ricordare gli orrori di cui è stato testimone. Banjo, divorato dal suo bisogno di vendetta nei confronti dei Meganoidi, non è un semplice bel ragazzo dalla mira infallibile e dallo smoking impeccabile quanto piuttosto un cupo “cacciatore di androidi”. Le sue vittorie spesso hanno un sapore amaro, chi sceglie volontariamente di trasformarsi in cyborg lo fa per disperazione, solitudine o comunque per un proprio disagio interiore e non per mera crudeltà. Banjo è fondamentalmente una persona sola, ostaggio di demoni dai quali non riesce in alcun modo a liberarsi. La stessa sconfitta finale dei suoi nemici genera in lui un acuto senso di colpa. Non a caso l’episodio conclusivo della serie è sia epico che melanconico, evitando quasivoglia tono trionfalista. Ad uno a uno, compiuta la loro missione, gli amici lo abbandonano lasciando la sua villa e l’eroe rimane da solo, con la sua tristezza e i suoi ricordi.

Il primo Gundam, il modello RX-78-2, in una illustrazione di Kazuhisa Kondo. Copyright degli aventi diritto.

Tomino, al di sotto di una patina giocosa e avventurosa, non manca di inserire in Daitarn 3 una sotto-trama drammatica. Lo stesso protagonista nasconde il suo vero “io”, avvelenato dal passato e dai dubbi, al di sotto di una superficiale maschera da “eroe vittorioso” che indossa per mostrarsi al mondo. Sia Zanbot 3 che Daitarn 3 non riescono però ugualmente a infrangere le convenzioni riguardanti i serial a base di mecha giganti e, come Vultus 5 e Daltanious, non sono concretamente innovativi. La vera rivoluzione del mondo dell’animazione made in Japan Tomino riesce a farla solo con Gundam, trasmesso per la prima volta in Giappone tra il 1979 e  il 1980, subito dopo giunto in Italia grazie a un passaggio sul canale televisivo Telemontecarlo. In seguito, a causa di problemi relativi a diritti non pagati, Gundam (e i vari sequel prodotti nel corso degli anni), vengono banditi dal territorio italiano. La serie classica viene ritrasmessa solo nel 2004, con un nuovo doppiaggio che è da preferirsi per accuratezza a quello degli anni ’80, e solo ora film, serie televisive  OAV (Original Anime Video) e degli anni ’80 – ’90 relativi a Gundam iniziano a essere doppiati.

Amuro e l'equipaggio della White Base. Illustrazione di Yoshikazu Yasuhiko, il character design di Gundam.

Amuro e l'equipaggio della White Base. Illustrazione di Yoshikazu Yasuhiko, il character design di Gundam. Copyright degli aventi diritto.

Questo anime è considerato da decenni come uno spartiacque, niente fu come prima dopo la sua trasmissione: 1) offre allo spettatore uno scenario fantascientifico plausibile, con una tecnologia hi-tech ma al tempo stesso credibile; 2) una puntigliosa cronologia degli avvenimenti futuri che delineano uno spazio-tempo immaginario ben preciso; 3) la trama (come già si era visto in Vultus 5 e in Daltanious) si dipana attraverso una complessa continuity narrativa simile a quella di un sceneggiato; 4) tutti i personaggi presenti, sia della Federazione Terrestre sia del ribelle Principato di Zeon, sono parimenti ben descritti. Guardando Gundam si ha la sensazione di assistere a una fiction televisiva corale, in cui uomini e donne fatti di carne e sangue combattono, muoiono, vivono e amano all’interno di un palcoscenico che seppur fittizio non ci appare affatto implausibile. Le vicende legate all’Universal Century di Gundam, la linea temporale all’interno della quale trovano posto sia gli avvenimenti narrati nella serie classica sia che le altre produzioni ad essa collegate, ci conducono per mano tra i meandri di un altro universo. Qui abbiamo a che fare con una realtà che ci fa pensare al tempo stesso sia al passato (l’ascesa dei regimi totalitari nazifascisti e la Seconda guerra mondiale), sia alle incognite legate al nostro prossimo futuro (sovrappopolazione, esaurimento delle risorse naturali, inquinamento) come pure al presente delle democrazie dei “paesi avanzati” (corruzione politica, dominio delle grandi industrie, crisi della famiglia). Gli stessi mecha che appaiono in Gundam, i Mobile Suit antropomorfi o i giganteschi Mobile Armor, sono dei prodotti di fabbrica destinati a essere realizzati in serie. Lo Gundam RX-78-2 della seria classica è solo un prototipo, apparso durante la One Year War (Guerra di un Anno) combattuta tra la Federazione e Zeon, nato quale mero banco di prova per i RGM-79 GM, in seguito impiegati in modo massiccio dalla fanteria federale.

GM della Federazione in missione, illustrazione. Copyright degli aventi diritto.

Produzioni successive, nate per il mercato dell’home-video, arriveranno a mostrarci altri prototipi di Gundam costruiti durante tale conflitto, oltre che modelli successivi. L’era dell’artigianato, che faceva sì che ciascun mecha fosse il parto irripetibile del genio di un singolo scienziato, ha ora termine. Adesso entrambi gli schieramenti in campo possiedono macchine analoghe, i piloti sono dei soldati inquadrati in rigide gerarchie militari e non più dei “cani sciolti”, dei cavalieri solitari che combattono in nome della loro idea del bene. Lo stesso duello mortale, inteso come singolar tenzone tra due guerrieri appartenenti a fronti opposti, viene sostituito dalla battaglia campale tra eserciti di massa, ciascuno equipaggiato con i propri mecha. Lo stesso quadro “storico” immaginario, all’interno del quale si ritrovano le ragioni delle lotte tra fazioni, viene dipinto con chiarezza e incisività. Nell’Universal Century per ovviare alla sovrappopolazione e all’inquinamento viene costruito un arcipelago costituito da isole orbitali dove vengono trasferite, anche tramite l’emigrazione forzata, milioni di persone. Amuro Ray nasce sulla Terra, il padre Tem è un ingegnere progettista che lavora per la potente multinazionale Anaheim Electronics, un’industria che nella serie classica è legata a doppio filo con la Federazione, il legittimo governo mondiale, ma che in realtà, come si intuisce nei sequel, non guarda in faccia a nessuno e bada solo ai propri profitti. Dato che abitare sul nostro mondo è un privilegio concesso a pochi, Amuro fa parte di una ristretta élite costituita da ricchi industriali, burocrati e militari ma il nostro non è affatto una persona felice. Mentre la madre Kamaria ha scelto di rimanere sulla Terra il padre Tem si è trasferito nello spazio portandolo con lui, andando a vivere in un raggruppamento di colonie di recente costruzione noto come Side 7.

MS-06 Zaku II, uno dei mobile suit prodotti in massa da Zeon, illustrazione. Copyright degli aventi diritto.

 Separato in giovane età dalla madre il nostro cresce anche senza una figura paterna, infatti a Tem importano più le sue ricerche che qualsiasi altra cosa e sin dall’inizio di Gundam si intuisce che Amuro non ha mai avuto una vera famiglia. Il ragazzo è un appassionato di elettronica, capace di passare ore e ore ad assemblare componenti per computer, un vero nerd prigioniero delle sue passioni. Solo la vicina Fraw Bow, un po’ amica del cuore, un po’ surrogato materno, si preoccupa che il giovane si cambi i vestiti e faccia pasti regolari. Allo scoppio della One Year War ritroviamo Tem arruolato nell’esercito, impegnato nella realizzazione dell’RX-78-2 Gundam nell’ambito del segretissimo Progetto V, e Amuro, ora un adolescente di 15 anni, praticamente abbandonato a sé stesso su Side 7. Il semplice caso farà di lui un membro dell’equipaggio dell’astronave federale White Base e il pilota del Gundam, mentre Tem, dato per disperso nello spazio dopo un attacco, perderà la ragione diventando l’ombra di stesso. L’ultima volta che Amuro lo vede l’uomo vive nei pressi di una discarica, qui in totale solitudine egli costruisce degli inutili componenti elettronici con dei rottami. Incapace di rendersi conto della realtà, il poveretto mostra di aver subito dei danni neurologici irreversibili a causa della carenza d’ossigeno. Ugualmente frustante per questo nerd divenuto un soldato è l’incontro con la madre, ritrovata in un campo profughi terrestre. Kamaria, scioccata dai cambiamenti avvenuti nel figlio, ormai capace di sparare e di uccidere senza alcuna esitazione, mostra una genuina ripugnanza nei riguardi della sua stessa prole. Il conflitto in corso dunque non fa altro che sottolineare una semplice verità, Amuro non ha dei veri affetti famigliari su cui possa far conto. D’altro canto la guerra in Gundam, come già Tomino aveva voluto mostrare in Zambot 3, non è una passeggiata o un torneo cavalleresco in versione hi-tech. Amuro, da adolescente introverso e chiuso in sé stesso, impara non solo a combattere ma anche a collaborare e a fidarsi degli altri, a conoscere i propri limiti e dunque a sopravvivere. Il nostro affronta la perdita degli amici, conosce l’amore e guarda in faccia la morte, nel suo corpo si risvegliano addirittura dei poteri paranormali, facendo di lui un Newtype, cioè un individuo dotato di poteri telepatici. Alla conclusione della One Yar War, dopo essere uscito indenne da alcuni dei più grandi bagni di sangue di questo conflitto, Amuro è sulla strada per diventare un adulto responsabile, capace di andare avanti nella vita con le proprie forze anche se al tempo stesso cinico e disilluso.

Zaku di colore rosso in dotazione a Char, illustrazione di Kazuhisa Kondo. Copyright degli aventi diritto.

A forgiarne il carattere hanno anche contribuito le continue lotte con Char Aznable, la Cometa Rossa, asso del Principato di Zeon; soldato abilissimo, personaggio dall’indubbio fascino e carisma, ma al tempo stesso doppiogiochista senza scrupoli, un individuo contraddittorio dall’oscuro passato. Gundam in buona sostanza fece scuola, diventando il primo esempio di “real robot”, contrapposto ai vecchi “super robot” del decennio passato. Ora seppur è vero che non sempre è difficile distinguere un sottogenere dall’altro, e che sia la serie classica che altri anime del franchising Gundam non sono immuni da contaminazioni “super”, la rivoluzione operata da Tomino a suo tempo fece scuola, diventando un punto di riferimento per tutti gli anni ’80. Tra i primi a cogliere la palla al balzo troviamo Shoji Kawamori con il suo Chōjikū yōsai Makurosu (Fortezza superdimensionale Macross); un’inedita combinazione di space-opera, dramma sentimentale, show-business e robot trasformabili. Kawamori tiene ben a mente la lezione di Gundam ma solo per presentare sotto una luce di verosimiglianza anche le situazioni più assurde e fantastiche. Non per niente Macross parla di un’invasione di alieni giganti che si riproducono per clonazione! Questo anime, con le sue battaglie titaniche, con tanto di astronavi lunghe chilometri e interi mondi devastati, è un’autentica delizia per gli occhi, una sorta di versione animata condensata di tutte le visioni dei maestri dell’avventura spaziale del passato come Edmond Hamilton, Jack Williamson, Alfred Elton van Vogt e di tanti altri. Trasmesso per la prima volta in Giappone nel 1982 – ’83 arrivò in Italia all’interno della serie-collage Robotech, per essere doppiata in maniera fedele all’edizione nipponica solo nel 2003. Macross, una volta raggiunto il successo, che come nel caso di Gundam non fu immediato ma si manifestò solo dopo più di un passaggio televisivo, generò negli anni sequel e prequel, guadagnandosi un posto nell’Olimpo dell’animazione del Sol Levante. Dal punto di vista della narrazione segnaliamo come Macross sia una serie corale, all’interno della quale c’è un gruppo di personaggi, umani e non, di cui il regista segue le vicissitudini. In Macross però non manca un personaggio dotato di indiscusso carisma, la cui interpretazione fece la fortuna della sua doppiatrice giapponese Mari Iijima, ovverosia la giovanissima idol cinese Lynn Minmay, azzeccato character ideato da Haruiko Mikimoto. L’importanza di Minmay in Macross è tale che è la sua voce, usata alla stessa stregua di un’arma psicologica, a consentire la vittoria finale della Terra. Certo, altri personaggi, come l’abile soldatessa Misa Hayase, sono ben tratteggiati ma nessuno giganteggia come la fortunata Minmay, star della canzone e salvatrice del nostro mondo.

Illustrazione di Haruhiko Mikimoto dedicata a Lynn Minmay. Copyright degli aventi diritto.

Lo stesso Hikaru Hichijō, che teoricamente dovrebbe essere l’eroe di questo anime, fa una ben misera figura dinnanzi a tutte e due le ragazze dei suoi sogni. Anzi, ci pare di poter affermare che per la prima volta i maschietti devono chinare il capo dinnanzi alle femminucce, ora promosse da comparse ad attrici di ruolo con delle vere battute-chiave da pronunciare. Lo stesso show-business, incarnato da Minmay, ha la meglio sulla forza delle armi. Durante la battaglia finale di Macross Hikaru si fa abbattere subito, senza che questo alteri il destino di entrambi gli schieramenti, mentre è la voce della giovane cinese a fare la differenza. L’unica cosa buona che il nostro eroe riesce a portare a termine è il salvataggio della povera Misa, rimasta prigioniera a Terra in una struttura militare sul punto di esplodere. Siamo dunque ben lontani dalle imprese sia dei supereroi “nagaiani”. Senza contare che Hikaru, da eterno indeciso quale è, non solo sembra incapace di scegliere quale delle due ragazze amare, ma anche di ragionare autonomamente con la propria testa. La storia di Macross inizia con la caduta sulla Terra di un immenso vascello extraterrestre, una vera miniera di tecnologie avanzatissime. L’astronave viene ricostruita e ribattezzata SDF-1 Macross, grazie ai segreti carpiti da questo relitto vengono costruiti dei caccia trasformabili chiamati Valkyrie. Hikaru solo per caso, era stato invitato da un amico, si ritrova nelle vicinanze dell’astronave quando quest’ultima subisce un primo attacco da parte dei giganti Zentradi. La sua prima esperienza di pilotaggio con un Valkyrie, capace di trasformarsi in un robot antropomorfo, è anch’essa il prodotto di una mera coincidenza e viene in seguito rapidamente accantonata dal nostro. Costui vorrebbe ritornare a fare il mestiere che faceva prima della guerra, cioè il pilota da circo, ma non può dato che si ritrova, assieme a migliaia di altri sventurati profughi, imprigionato all’interno della fortezza Macross. Quest’ultima, a causa di una manovra errata, è giunta agli estremi confini del Sistema Solare e ora è costretta a un lungo viaggio per tornare a casa, sempre tallonata da un nemico implacabile. Durante questa difficile odissea Hikaru non saprebbe che pesci pigliare, lui rimarrebbe tranquillamente a piangersi addosso per tutto il tempo se non fosse per Minmay che lo spinge ad arruolarsi. In seguito il nostro pare abbracciare senza se e senza ma la causa dell’esercito, diventando un soldato perfetto; una situazione ideale per chi non sa che uso fare del proprio cervello e ha bisogno che qualcun altro lo faccia per lui. Macross riflette anche un cambiamento nei rapporti tra i sessi nella società nipponica; si noti come Misa abbia un grado superiore a Hikaru, che prende direttamente gli ordini da lei. Il rapporto di lavoro tra i due genera non di rado battibecchi e buffe gang, ma forse tutto questo non serve altro che a sottolineare l’inettitudine del povero pilota di caccia.

La fortezza spaziale SDF-1 Macross, illustrazione. Copyright degli aventi diritto.


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