Il papa’ di Strike al Pandino: e’ invasione di Orchi


E poi succede. Succede che vai al Pandino Fantasy Books e scopri che è tutto vero, che gli organizzatori sono riusciti a portare come “guest star” (tra le tante), anche lui, anche Stan Nicholls, autore di ben trentuno libri pubblicati, centinaia di racconti e soprattutto della trilogia che l’ha reso famoso nel mondo: Orchi. E così succede anche che ci vai a scambiare quattro chiacchiere e scopri che Stan (concedetemi di chiamarlo così), non è il classico autore con la puzza sotto al naso, quello per dirti che guarda tutti dall’alto in basso e che stringe mani come se andasse al patibolo. Eh no. Stan è affabile, parla e si rende disponibile con tutti. Fa foto, stringe mani, concede interviste, rilascia autografi. Con un sorriso che quasi ti fa venire voglia di abbracciarlo. Chi è davvero Stan Nicholls, però, lo capisci alla fine della presentazione che ha tenuto in una delle tante suggestive sale del Castello di Pandino dove ha intrattenuto (affascinato sarebbe più giusto dire) il pubblico per oltre un’ora, costretto a chiudere dai tempi stretti e dall’accavallarsi dei tantissimi eventi, non certo dalla sua volontà di dileguarsi. Chi è Stan Nicholls lo capisci quando, a precisa domanda del sottoscritto (“Stan, perché scrivi?”), lui risponde con totale e disarmante semplicità: “Perché respiro”.

Ma partiamo dall’inizio, com’è giusto che sia. Da quell’infanzia difficile che Stan non ha remore a raccontare, in una famiglia povera, dove di libri ce ne erano pochi (se non nessuno). Una famiglia che però gli permette di studiare, anche se in una scuola di periferia, una di quelle che da come la descrive sembra tratta da “Oliver Twist”, con compagni che tutto sembrano fuorché piccoli lord. Con gente così, che prima mena e poi parla, Stan ha due sole possibilità: scappare o lottare. Tu pensi a Strike, il protagonista della saga degli Orchi, e pensi: “Ecco, ora Stan ci dirà come ha randellato il più grosso dei suoi compagni di classe tanto per far capire agli altri che era meglio lasciarlo stare”. Nemmeno per sogno. Anzi, tra le due alternative Stan sceglie la terza: raccontare storie. Storie fantasiose, che però, come Sherazade, protagonista de “Le mille e una notte”, Stan non conclude mai. E i “teppisti”, pur di sapere come procedono quelle storie, lo lasciano in pace. Purché lui racconti.

Una vita segnata dalla scrittura fin da giovanissimo, quella di Stan. Una vita anche contro i pregiudizi, come quelli dei suoi insegnanti, che quando gli confessò di voler fare lo scrittore gli risero in faccia, invitandolo a cercarsi un lavoro più adatto a lui e alla sua estrazione sociale. Una vita fatta di aneddoti, come quello che lo vede pubblicare la sua prima storia ad appena 14 anni, pagata la bellezza di 40 dollari (mica poca roba per l’epoca). Che poi a farla uscire sia stato “Playboy” è tutta un’altra storia (Stan ci tiene a precisare con un sorriso sornione che guardava Playboy solo per le pubblicità. Noi ci teniamo a precisare che fingiamo di credergli, ndr). Strada in discesa? A 14 anni è facile pensare di sì, pensare che pubblicare dopotutto sia uno scherzo. Invece per i successivi 5 anni non riesce a guadagnare altro dalla scrittura. Ma la passione non scema e le storie continuano ad accavallarsi nella testa. Scrive, fa il giornalista, fa anche altro, perché guadagnare come autore, si rende conto, è difficile. Ma è solo questione di tempo e di un pizzico di fortuna. E quando un’agenzia letteraria per cui Stan legge e valuta romanzi si accorge delle sue doti ecco il primo vero contratto. Ecco l’inizio dello show.

Ma da lì ad arrivare alla saga degli orchi il passo è meno breve di quel che si potrebbe pensare. Prima c’è tanto altro e tanti altri libri. Eppure gli orchi ci sono, sono là e a lui non resta che metterli su carta. Non gli resta, in definitiva, che cambiare il punto di vista. E pensare che non sempre le creature grandi, grosse e verdi devono per forza essere anche cattive. Questa è l’idea alla base della sua trilogia più famosa. Un’idea che, come ci tiene a precisare lui stesso, è semplice. Ma che nella sua semplicità lo ha già tenuto impegnato 15 anni. E dire che all’uscita del primo volume la casa editrice inglese che l’aveva pubblicato non aveva investito più di tanto, forse non del tutto convinta della bontà di quel lavoro. A farla ricredere ci ha pensato il successo straordinario ottenuto col più vecchio e rodato dei metodi: il passaparola tra gli appassionati, colpiti da quella storia così innovativa e originale. E colpiti anche da un parallelo che lo stesso Stan non teme di svelare: gli orchi simili agli indiani d’America, per le brutalità subite in maniera immotivata dagli uomini.

La presentazione di Stan va avanti, ma l’orologio è tiranno. E allora c’è tempo di chiedergli solo un altro paio di cose. Tanto per cominciare perché ha istituito il David Gemmel Legend Awards e venire così a scoprire un altro paio di aneddoti. Tanto per cominciare che Nicholls e Gemmel erano grandi amici. E poi che fu lo stesso Gemmel a presentare a Stan quella che è attualmente ancora sua moglie. Ma quel premio è un riconoscimento al Gemmel-autore, e non al Gemmel-amico, perché un premio, sottolinea Stan, è il modo migliore di ricordare uno dei maggiori autori di fantasy della storia.

Fuori dalla sala l’altoparlante annuncia il nuovo evento. La sala deve essere sgomberata. Non prima, però, di avergli strappato un’ultima battuta, che è poi quella con cui abbiamo aperto, quella che dà il senso a tutto l’opera di Nicholls. Perché quando ti trovi davanti un mostro sacro della letteratura fantasy non puoi fare a meno di chiedergli perché scrive. Anche se di sicuro non ti aspetti una risposta così semplice e diretta: “Perché respiro. Perché è la mia chiamata. Perché non si riesce a scappare da questa passione”. Stan si alza, saluta, stringe mani e ha una parola per tutti. Ma quella risposta è ancora là che aleggia nell’aria e che, per un istante appena, trasforma Stan Nicholls in Strike. Trasforma un uomo non in un orco, ma in un eroe.

Stefano Mancini