TOLKIEN, IL CREATORE DEI NOSTRI SOGNI


A cura di Claudio Cordella.

«In un buco nel terreno viveva uno Hobbit. Non era una cavità brutta, sporca, umida, piena di resti di vermi e di trasudo fetido, e neanche una caverna arida, spoglia, sabbiosa, con dentro niente da sedersi o da mangiare: era una casa hobbit, cioè comodissima». J. R. R. TOLKIEN, Lo Hobbit o Andata e ritorno, edizione rivista, ampliata e annotata da DOUGLAS A. ANDERSON, a cura di ORONZO CILLI, traduzione italiana di ELENA JERONIMIDIS CONTE, ed. Bompiani, Milano 2000, p. 39.

Illustrazione di Alan Lee, copyright degli aventi diritto.

Sir John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973) scrittore, filologo e linguista britannico è stato senz’altro una delle figure più rappresentative della letteratura fantastica del Novecento. Tolkien nasce a Bloemfontein, in Sudafrica, il 3 gennaio 1892, entrambi i suoi genitori sono inglesi, originari di Birmingham. All’età di tre anni il giovane Ronald, assieme alla madre e al fratello, fa ritorno in Inghilterra per motivi di salute. Purtroppo però il padre, gravemente ammalato di febbri reumatiche, muore prima di poter riabbracciare i propri cari. Nel 1904 il nostro rimane orfano anche della madre, figura chiave nella formazione di questo grande scrittore essendo stata lei a trasmettere al figlio il suo amore per le lingue, le antiche leggende e le fiabe. Intanto la genialità del giovane Ronald negli studi non tarda ad emergere; in particolar modo egli eccelle in ambito linguistico arrivando a padroneggiare non solo il latino e il greco, ma così pure il gotico e l’antico finnico. Nel 1915 gli viene conferito il titolo di Bachelor of Arts all’Exeter College di Oxford, ma l’anno dopo non può evitare di essere coinvolto nella Prima Guerra Mondiale. Poco prima di partire riesce a sposarsi con Edith Bratt ma durante i combattimenti, proprio nel bel mezzo della carneficina della Battaglia della Somme, tre suoi amici finiscono con il perdere la vita. Questa breve esperienza bellica nelle trincee del Fronte occidentale segnò profondamente Tolkien, che ritornò in patria prima del termine del conflitto a causa di una grave malattia. Con il ritorno della pace la carriera accademica di Tolkien può proseguire; collabora alla stesura dell‘Oxford English Dictionary e consegue nel 1919 il titolo di Master of Arts per poi diventare nel 1921 docente di Lettere all’università di Leeds. Risale sempre a questo periodo la profonda amicizia di J. R. R. Tolkien con un un altro grande intellettuale e romanziere inglese, Clive Staples Lewis (1898 – 1963), il creatore di un altro capolavoro fantasy novecentesco, il ciclo The Chronicles of Narnia (Le cronache di Narnia). Tolkien e Lewis, assieme allo scrittore e poeta Charles Williams (1886-1945), sono noti esser stati i fondatori del circolo letterario degli Inklings. Nel 1925 Tolkien diviene professore di filologia anglosassone al Pembroke College di Oxford mentre vent’anni dopo gli venne affidata la cattedra di lingua inglese e letteratura medioevale del Merton College; qui egli insegnerà fino al giorno del suo ritiro nel ’59. L’attività come romanziere di Tolkien inizia ufficialmente solamente nel 1937, dunque quand’è già un accademico affermato, con la pubblicazione de Lo Hobbit; libro per l’infanzia che verrà apprezzato anche dagli adulti.

La dama elfica Lúthien Tinúviel. Illustrazione di Alan Lee, Copyright degli aventi diritto.

Già ne Lo Hobbit Tolkien infonde, seppur con una certa discrezione, le sue conoscenze di filologo. Egli infatti non inventa lo scenario medievaleggiante della Terra di mezzo (Middle-earth) per poi immaginare le lingue fittizie parlate dai suoi protagonisti, al contrario ha prima plasmato, attraverso un lavoro di anni e anni che risalenti all’epoca in cui era studente, questi linguaggi artificiali per poi dar vita al contesto ideale in cui essi potessero essere parlati. Lo stesso critico francese Jacques Sadoul, a dire il vero non sempre generoso con Tolkien, in questo caso usa toni entusiastici nel riferirsi a Lo Hobbit e al suo autore: “Inventò il loro calendario, il loro alfabeto, studiò la filologia della loro lingua, redasse le mappe del loro paese: per farla breve, fece una creazione immaginaria completa che non mi pare abbia equivalenti nella storia della letteratura” (JACQUES SADOUL, Histoire de la science-fictione moderne, 1973; tr. it. La storia della fantascienza. Dal fantastico al capovolto, il genere letterario del futuro, ed. Garzanti, Milano 1975, p.215). Per l’esattezza Tolkien aveva iniziato sin dal 1917 a delineare i tratti essenziali della Terra di mezzo, Lo Hobbit rappresenta una tappa importante nell’evoluzione di quest’universo narrativo proprio perché è basandosi su di esso che egli giunse ad elaborare la successiva trilogia de Il Signore degli Anelli. I lettori tolkeniani dovettero però aspettare molti anni prima che questa nuova fatica letteraria, infinitamente più complessa, scritta con uno stile decisamente più adulto e poetico, venisse finalmente alla luce. Il Signore degli Anelli uscì inizialmente in tre diversi volumi: The Fellowship of the Ring (La Compagnia dell’Anello) nel ’54, nel ’55 The Two Towers (Le Due Torri) e The Return of the King (Il Ritorno del Re), mentre nel ’56 la trilogia fu riunita in un solo, mastodontico tomo. In realtà, in base ai desideri dello stesso autore, dovremmo considerare Il Signore degli Anelli come un’opera unica pur se articolabile in sei libri diversi collegati gli uni con gli altri come perle di una sola collana.

L’ultimo capolavoro di Tolkien, purtroppo incompiuto, fu The Silmarillion (Il Silmarillion), le cui radici sostanzialmente affondano nel momento stesso in cui venne concepita la Terra di mezzo. Tale opera, a differenza delle precedenti, non ha per nulla la struttura del romanzo, quanto piuttosto di un eterogeneo corpus mitologico costituito da narrazioni epiche, storie d’amore, genealogie, ecc. Non manca neppure una genesi in apertura di chiara ispirazione giudaico-cristiana: “Esisteva Eru, l’Unico, che in Arda è chiamato Ilúvatar; ed egli creò per primi gli Ainur, Coloro che sono santi, progenie del proprio pensiero, ed essi erano con lui prima che ogni altra cosa fosse creata. Ed egli parlò loro, proponendo loro temi musicali; ed essi cantarono al suo cospetto, ed egli ne fu lieto” (J. R. R. TOLKIEN, Il Silmarillion, edizione italiana a cura di MARIO RESPINTI, tr. it. di FRANCESCO SABA SARDI, ed. Bompiani, Milano 2008, p. 35). Una creazione dell’universo in cui, come si può ben vedere, la Musica ha sostituito la Parola dell’Antico Testamento, ma in cui non mancano riferimenti a tradizioni religiose assai diverse dal monoteismo. Il Silmarillion, testo a dire il vero non sempre di agevole lettura proprio in ragione della sua complessità, ci presenta un autentico pantheon immaginario, in cui gli Ainur assumono il ruolo di divinità. È proprio a costoro che viene affidato il compito di governare il mondo di Arda dal loro stesso creatore, Ilúvatar, cioè “Padre di Tutto”. Essi allora divengono noti con il nome di Valar, cioè “le Potenze”, ed è proprio uno di loro, Morgoth (o Melkor), a ribellarsi al suo stesso padre ricalcando la figura di Lucifero. In buona sostanza Tolkien, desideroso di donare all’Inghilterra un ciclo mitico di tutto rispetto, decide di crearne egli stesso uno ex-novo; in esso vi confluiscono le sue conoscenze bibliche e dei poemi nordici come l’Edda scandinava o il Kalevala finnico. Persino il mito di Atlantide, trasfigurato nella storia dell’ascesa e della caduta dell’isola di Númenor, trova il suo posto d’onore ne Il Silmarillion dando vita ad un coltissimo e originalissimo impasto. Un amalgama unico capace di far convivere al suo interno cultura giudaico-cristiana e classicità, monoteismo e politeismo, miti del Nord e del Sud d’Europa.

La caduta di Gondolin. Illustrazione di John Howe. Copyright degli aventi diritto.

Nonostante l’oscurità di certi suoi passaggi Il Silmarillion, assieme agli altrettanto ostici inediti riuniti da Christopher Tolkien negli 11 volumi della History of Middle Earth (02), delinea l’ossatura fondamentale della Terra di mezzo, autentica Stella Polare nell’ambito del fantasy. Dopo la morte del padre è stato proprio Christopher, terzogenito dello scrittore, a rendere accessibile al pubblico una grande mole di materiale inedito. Non si scordi poi che l’attuale tsunami a base di elfi, nani e draghi che da alcuni anni ha letteralmente invaso il mondo del fantastico, mettendo quasi a vivere in una riserva alieni, robot e cyborg, trova le sue lontane origini proprio nello straordinario successo dei romanzi tolkeniani ambientati nella Middle-earth. Senz’altro negli anni ’70 poteva ancora accadere che critici come il Sadoul potessero liquidare le opere di Tolkien con una certa sufficienza, quali stramberie romantiche, eppure già allora sia Lo Hobbit che Il Signore degli Anelli avevano raggiunto un livello di notorietà autenticamente mondiale. Il giudizio del Sodoul in particolare pare oscillare tra l’ammirazione e la derisione: “Se si fa il piccolo sforzo di penetrare nell’universo fantastico creato da Tolkien (un universo che ci ricorda i racconti delle fate e il meraviglioso, un universo che, con le sue ripetizioni incessanti e l’accumulo di particolari insignificanti, è talvolta irritante, talvolta noioso) lo si scoprirà pieno di fascino (SADOUL, La storia della fantascienza, p.216).

Lo stesso Isaac Asimov (1920-1992), uno degli scrittori di sci-fi più famosi di tutti i tempi, non solo giunse a rendere omaggio all’opera di Tolkien all’interno di una storia gialla della serie del club dei Vedovi Neri (Black Widowers) con il racconto Nothing Like Murder (Mancato Assassinio), ma affermò, con una dose non indifferente di spacconeria e di humor, di aver avuto in gioventù delle intuizioni per la creazione di un tipo di fantasy simile a quello tolkeniano ben prima del romanziere inglese: “C’erano anche riviste pulp dedite alle «storie di terrore», e piene di tutto il sesso e di tutto il sadismo consentiti a quei tempi […] ma le trovavo tremende. Di conseguenza, i racconti di fantasy che scrivevo io non erano di questo genere, ma piuttosto di una varietà che avevo escogitato personalmente. A quanto ricordo, parlavo di un gruppo di uomini che vagavano cercando qualcosa in un universo dove c’erano elfi, gnomi e stregoni, e in cui la magia operava davvero. Non immaginavo, allora, che stavo cercando di anticipare Il Signore degli Anelli di Tolkien! (ISAAC ASIMOV, Before The Golden Age, 1974; tr. it. L’alba del domani. La fantascienza prima degli ‘Anni d’Oro’, ed. Nord, Milano 1987, p. 629). L’ammirazione di Asimov nei confronti di Tolkien è però senz’altro fuori discussione ed è storicamente accertata. Infatti lo stesso Mancato Assassinio, bizzarro giallo in cui uno scienziato sovietico scambia un dialogo tra due studenti appassionati de Il Signore degli Anelli per un complotto criminale (01), non è nient’altro che un omaggio alla memoria dell’autore inglese, all’epoca della sua pubblicazione appena deceduto: “J. R. R. Tolkien morì il 2 settembre 1973. A quell’epoca ero a Toronto per partecipare alla 31a Convention Mondiale di Fantascienza e fui profondamente colpito dalla notizia… Tuttavia lo stesso giorno della sua morte vinsi il premio Hugo per il mio romanzo Neanche gli Dei e non potei fare a meno di sentirmi felice. Avevo già letto tre volte Il Signore degli Anelli di Tolkien prima della sua scomparsa (e da allora l’ho riletto una quarta volta) e poiché ogni volta l’avevo apprezzato sempre maggiormente, capii che il solo modo per scusarmi della mia felicità in quel triste giorno era quello di scrivere un racconto in memoria di Tolkien. Così scrissi Nothing Like Murder” (ISAAC ASIMOV, More Tales Of The Black Windowers, 1979; tr. it. Largo ai Vedovi Neri. Dodici inviti a cena con il mistero, ed. Rizzoli, Milano 1982, pp. 137 – 138).

Si noti come Mancato Assassinio sia interessante non solo in quanto attestato di stima di un grande della letteratura nei confronti di un altro, di Asimov per Tolkien, ma ci testimonia anche la diffusione nel mondo studentesco dell’opera di quest’ultimo e delle associazioni a lui dedicate. In effetti il corpus letterario di Tolkien non solo ha creato una sorta di canone per un intero genere, quello che noi oggi definiamo fantasy classico, ma ha saputo pure dar vita ad un’autentica moda, per quest’autore e le sue opere, che non sembra aver alcuna intenzione di finire. Non si può infatti negare che la schiera di imitatori e seguaci di questo scrittore sia innumerevole, tra i più celebri non possiamo non citare Terry Brooks, il padre del ciclo di Shannara, volgarizzatore della prosa tolkeniana, qui semplificata a fini prettamente commerciali. L’intero immaginario di Brooks, con Elfi, Uomini, Druidi, Nani, oggetti magici e potenze demoniache, rinchiuse da un Divieto, ma sempre pronte a ritornare nel nostro mondo per portar ovunque morte e distruzione, non sembra nient’altro che una versione liofilizzata della Terra di mezzo. Laddove Tolkien offre ai suoi lettori dei raffinati banchetti letterari da gourmet invece Brooks preferisce per un grasso hamburger ripieno di ketchup; preferire l’uno all’altro è senz’altro una questione di gusti anche se forse non sarebbe proprio il caso di farlo esattamente come non ci sogneremmo mai di paragonare un piatto di alta cucina con qualche snack da bar.

Bisogna però esser consapevoli che senza Tolkien l’attuale successo del fantasy a livello planetario non sarebbe stato possibile e che tanti suoi imitatori, evidentemente a corto di un’immaginazione realmente originale, non avrebbero saputo a chi rivolgersi per trarre l’ispirazione per creare le loro saghe di successo. Persino il nostro stesso modo di divertirci è cambiato dopo Tolkien; nel ’74 apparve Dungeons & Dragons, il gioco di ruolo fantasy creato da Ernest Gary Gygax (1938 – 2008) e da Dave Arneson (1947 – 2009), un successo planetario nato anch’esso da un operazione di saccheggio delle creazioni fantastiche della Terra di mezzo. Lo stesso Sol Levante non è stato immune da questa marea tolkeniana e negli anni ’80 lo scrittore Ryo Mizuno, appassionato giocatore di Dungeons & Dragons, crea l’universo multimediale di Lodoss, esempio di fantasy tolkeniano in salsa orientale che comprende romanzi, fumetti e anime . Non mancano però gli esempi di estremo virtuosismo o di sviluppo parallelo. Negli anni ’60 con The Wizard of Earthsea (Il mago di Earthsea) la statunitense Ursula K. Le Guin, scrittrice dotata di una solida formazione culturale, capace di prova evocativa e matura, inizia la sua pentalogia di Earthsea (Terramare), conclusa nel 2001 con The Other Wind (I venti di Earthsea).

A differenza di Brooks la Le Guin regala ai suoi lettori un mondo originalissimo che non ha per nulla l’aspetto di un’operazione “copia e incolla” della Middle-earth tolkeniana; qui infatti abbiamo a che fare con un’accurata descrizione di un’altra realtà, fatta di migliaia di isolette, di oceani, maghi e draghi. Su Terramare la magia è possibile ed è strettamente legata al linguaggio originario che ha creato il mondo, operare un incantesimo però è sempre un pericolo perché non esiste magia che non provochi la rottura dell’equilibrio esistente tra tutte le cose. Seppur tale complesso scenario non è una filiazione diretta del corpus tolkeniano ci pare il caso di affermare che forse la Le Guin non avrebbe né scritto la sua personalissima saga di Earthsea, né avuto così tanto successo, senza i fortunati precedenti de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli che avevano dimostrato come il pubblico potesse essere interessato a simili ricostruzioni globali di altri mondi. Di recente l’attenzione mondiale è ritornata a posarsi sulla Terra di mezzo anche in seguito alla trilogia filmica di Peter Jackson, un autentico kolossal che dovrebbe arricchirsi ulteriormente con un prequel dedicato a Lo Hobbit, ed è indiscutibile come il modello tolkeniano risulti essere dominante sin quasi all’eccesso all’interno del fantasy.

Note

(01) «Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo che risplende, /Sette ai Principi dei Nani nelle lor rocche di pietra, / Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende, / Uno per l’Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra. / Nella Terra di Mordor, dove l’Ombra nera scende. / Un Anello per domarli, Un Anello per trovarli, / Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli, / Nella Terra di Mordor, dove l’Ombra cupa scende». J. R. R. TOLKIEN, Il Signore degli Anelli, edizione italiana a cura di QUIRINO PRINCIPE, tr. it. di VICKY ALLIATA DI VILLAFRANCA, ed. Bompiani, Milano 2007, p. 27.

(02) L’edizione in lingua inglese degli 11 volumi della History of Middle-earth curata da Christopher Tolkien necessitò di svariati anni di lavoro prima di essere completata. Il primo volume ad essere edito fu The Book of Lost Tales; diviso in due parti che apparvero rispettivamente nel ’83 e nel ’84, in seguito tradotte in italiano come I racconti perduti e I racconti ritrovati. A tutt’oggi però solo una minima parte di questo poderoso lavoro intellettuale risulta essere disponibile nella nostra lingua. La stessa ultima parte di questa serie The People of Middle-earth (letteralmente I popoli della Terra di mezzo) apparsa nel ’96 è a tutt’oggi ancora inedita in Italia esattamente come l’indice, un dodicesimo tomo extra intitolato The History of Middle-earth: Index che risale invece al 2002.

La città di Minas Tirith (Gondor), illustrazione di John Howne. Copyright degli aventi diritto.



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