Il Canto delle Sirene: miti e leggende – parte 1


Il canto delle Sirene

Miti e leggende

A cura di Maila Daniela Tritto

«Venga tu dall’inferno o dal cielo, che importa, Bellezza, mostro immane, mostro candido e fosco, se il tuo piede, il tuo sguardo, il tuo riso la porta m’aprono a un Infinito che amo e non conosco? Arcangelo o Sirena, da Satana o da Dio, che importa, se tu, o fata dagli occhi di velluto luce, profumo, musica, unico bene mio, rendi più dolce il mondo, meno triste il minuto?» (Charles Baudelaire, Inno alla Bellezza in I fiori del male, 1857).

Nell’immaginario collettivo le Sirene sono esseri dotati di una bellezza ammaliatrice, ma allo stesso tempo sono «letali» proprio come quei fiori simbolici nell’opera – lirica e ampollosa – scritta da Charles Baudelaire[1]. Esse sono associate all’acqua, quale forza naturale che alimenta il loro potere. Solitamente vengono raffigurate con le sembianze di una donna-pesce, circondata da oggetti ed esseri marini. Tuttavia, il loro aspetto esteriore non è rimasto immutato nel tempo, anzi nel mondo antico la sirena assume le sembianze di una donna-uccello. È a questa figura mitologica dalla tradizione greca – basti pensare alla celebre opera Odissea di Omero[2] -, che dedico lo speciale dal titolo Il canto delle Sirene: miti e leggende.

Hans Christian Andersen

L’acquaticità non è solo la principale componente che definisce l’aspetto esteriore di queste creature mitologiche, ma anche il fulcro della loro genealogia. Le sirene sono, infatti, le figlie di Acheloo[3] – il dio-fiume ipostasi delle acque correnti -, e il legame con l’acqua rafforza la loro funzione simbolica. Sebbene, soprattutto in alcune raffigurazioni ellenistiche, questi esseri siano ritratte in assenza dell’elemento; circondate da un ambiente arido e desertico.

L’Odissea è una delle prime opere che rende omaggio alla tradizione mitologica. Infatti, nel canto XII, Omero riferisce che le sirene attiravano e perdevano i naviganti e Ulisse – per non udire il loro canto ammaliatore e non perire – turò, con la cera, le orecchie dei suoi compagni. In effetti, è dall’alba dei tempi che le sirene sono associate all’elemento acquatico che rappresenta non solo la fonte del loro sostentamento, ma adotta anche il valore simbolico dell’inafferrabilità della forma e della trascendenza, ovverosia la capacità di trascorrere da una dimensione corporea all’altra.

«Alle Sirene giungerai da prima,| Che affascìnan chïunque i lidi loro | Con la sua prora veleggiando tocca.| Chïunque i lidi incautamente afferra | Delle Sirene, e n’ode il canto, a lui | Né la sposa fedel, né i cari figli | Verranno incontro su le soglie in festa.| Le Sirene sedendo in un bel prato,| Mandano un canto dalle argute labbra,| Che alletta il passeggier: ma non lontano | D’ossa d’umani putrefatti corpi | E di pelli marcite, un monte s’alza»[4].

Nell’Odissea le sirene tentano Ulisse, usando lo stratagemma della «conoscenza di tutte le cose del mondo», in altre parole il ‘sapere’ infinito che è determinante per il progresso: «O molto illustre Ulisse, o degli Achei Somma gloria immortal, su via, qua vieni, Ferma la nave; e il nostro canto ascolta. Nessun passò di qua su negro legno, Che non udisse pria questa che noi Dalle labbra mandiam, voce soave; Voce che innonda di diletto il core, E di molto saver la mente abbella. Ché non pur ciò, che sopportano a Troia Per celeste voler Teucri ed Argivi, Noi conosciam, ma non avvien su tutta La delle vite serbatrice terra Nulla, che ignoto o oscuro a noi rimanga».

John William Waterhouse. La sirena (1901)

Di quale sapere sono dotate gli esseri dall’aspetto così avvenente? Indubbiamente esso si ricollega alla concezione platonica, secondo la quale «conoscere significa ricordare»[5]. La gnoseologia deriva, per lo più, dalla ‘reminiscenza’dei ricordi che risiedono nell’anima. Da qui l’ ‘innatismo’ platonico[6] che si distingue nettamente dall’empirismo, secondo cui invece la conoscenza si acquisisce mediante la pratica e l’esperienza. Tuttavia, il sapere delle sirene è interpretabile in senso psicoanalitico poiché deriva dai contenuti rimossi dalla coscienza.

La comprensione delle sirene – che simboleggia sia l’universale, sia l’individuale – si radica nella poesia che è memoria di sé e del mondo circostante, pertanto annette alla sfera dell’ arte che, per trasmettere il contenuto del messaggio, adopera il significato semantico delle parole insieme al suono e al ritmo. La poesia ha in sé alcune proprietà congiunte alla musica – riuscendo a trasmettere i concetti in modo aulico ed evocativo -, esattamente come la voce delle stesse creature.

Come le sirene, così anche la maga Circe[7], che compare nel X, XI e XII libro – divinità greca dotata di poteri straordinari, affascinante seduttrice che trasforma gli uomini di Ulisse in animali -, è dotata di un tipo di sapere: la ‘preveggenza’. La memoria del passato si unisce al futuro: le donne hanno il dono della conoscenza, e secondo le definizioni omeriche l’uomo non è altro che la vittima in balia della loro estrema vanità.

Italo Calvino afferma in Perché leggere i classici[8], opera uscita postuma nel 1991: «ciò che Ulisse salva dal loto, dalle droghe di Circe, dal canto delle Sirene, non è solo il passato o il futuro. La memoria conta veramente per gli individui, le collettività, le civiltà solo se tiene bene insieme l’impronta del passato e il progetto del futuro, se permette di fare senza dimenticare quel che si voleva fare, di diventare senza smettere di essere, di essere senza smettere di diventare».

Alla domanda “Quante Odissee contiene l’Odissea?” – contenuta nella seconda sezione dell’opera sopracitata, dal titolo Le Odissee nell’Odissea  lo scrittore ritiene che ce ne siano molte: dal racconto di Ulisse che fa al pastore Eumeo, poi al rivale Antinoo e alla stessa Penelope. L’analisi del poema omerico costituisce, quindi, il punto di partenza attraverso cui il letterato cerca di dare una spiegazione all’importanza di leggere i Classici. Si tratta di un lavoro di ricerca – biografica, e insieme bibliografica – che prevede la stesura di alcuni scritti in un arco temporale, segnato dai profondi mutamenti storico-culturali, compreso tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta.

L’analisi calviniana contribuisce a dare sostanza alla centralità del problema posto in discussione: si leggono i classici poiché sono un utile bagaglio culturale. Questi non solo permettono di arricchire la conoscenza dell’uomo, ma consentono di distinguere tra la pluralità dei vari generi letterari. Calvino, dunque, parte dall’archetipo del ‘viaggio’ – lo stesso che intraprende l’Ulisse omerico -, affinché possa dare un senso al quesito. Il viaggio rappresenta il percorso dell’umanità, ed è la metafora dell’evoluzione e dei cambiamenti epocali.

Partire dall’analisi omerica – e da Ulisse, che è il primo «eroe moderno» della letteratura -, significa dare un rigore logico alla disamina. Permette, inoltre, di considerare alcune tematiche che sono ricorrenti nel mondo delle lettere. Nella fattispecie, Ulisse incarna il ‘dolore’, la ‘solitudine’ e la ‘fatica’ dell’uomo. Egli è ammaliato dal canto delle sirene, e riflette la debolezza della carne che sopraggiunge allo spirito e alla coscienza.

Ulisse è accomunato all’eroe della mitologia greca Edipo, il quale incontra – nel suo percorso alla ricerca dell’oracolo di Delfi, e della ‘verità’ – la Sfinge che è anch’essa depositaria del sapere simile a quello delle sirene. Tuttavia, se queste ultime rappresentano una conoscenza radicata nell’umanità, la conoscenza della Sfinge è resa enigmatica e sapienziale. È il riflesso della ciclicità degli eventi e dei ritmi della natura. Inoltre, da un punto di vista strettamente artistico, la Sfinge è raffigurata con le sembianze femminili: un incrocio tra il corpo di un leone, e il volto e il tronco di una donna. Da qui la somiglianza tra le due figure mitologiche: la Sfinge e le sirene sono simili non solo nella genealogia, ma anche nell’aspetto esteriore.

Invero, il proverbiale “Conosci te stesso” annette Edipo al sapere socratico, che pure è importante per gli sviluppi platonici. La Sfinge tebana simboleggia la presa di coscienza dei limiti umani, oltre i quali non è possibile inoltrarsi. Si tratta della ‘metafisica socratica’, secondo cui vi è una consapevolezza del “sapere di non sapere abbastanza”. È un’ammissione conscia dei propri limiti e rivela la natura stessa dell’uomo, che non corrisponde in nessun caso alle divinità.

In età ellenistica il termine ‘seirén’ indica una creatura demoniaca, dalla voce affascinante e funesta. Queste sono inscrivibili – non tanto per il loro aspetto, quanto per il ruolo a loro attribuito – all’archetipo del ‘male’. Sebbene nelle versioni moderne – come la nota fiaba scritta da Hans Christian Andersen (1805-1875) La Sirenetta[9] (Den lille Havfrue, 1836) -, la ‘sirenetta’ assuma le sembianze di una donna debole, e contemporaneamente è affascinata dall’uomo per il quale darebbe la vita. È, inoltre, la formula che viene adottata nella celebre trasposizione cinematografica prodotta dalla Walt DisneyLa Sirenetta[10], (The Little Mermaid, 1989) – e appartenente a quel particolare contesto storico-cinematografico – della durata decennale, compreso tra il 1989 e il 1999 – definito come ‘rinascimento Disney’[11].

Ritornando alla versione ellenistica del mito, facendo dunque un notevole salto temporale a ritroso, dal punto di vista semantico il vocabolo ‘seirén’ delinea – nell’Egitto del II secolo a.C. – l’elemento funerario, ricorrente nella poesia che abbia i consueti strumenti retorici del lutto, talvolta indica l’epiteto del defunto stesso. Da qui, si può facilmente comprendere quanto il loro canto ‘evochi’ – nel vero senso della parola – il male, e produca la morte in chi se ne imbatte.

Se poi si volesse approdare, in questo viaggio alla scoperta del ‘Classico’ – nella nota definizione di Franco Fortini, che è stata ripresa da Italo Calvino il quale sostiene che “d’ogni classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura”– alla psicoanalisi freudiana,  si rivelerebbero le due pulsioni primordiali: Eros e Thanatos, che esprimono rispettivamente la pulsione di vita e la pulsione di morte. Così le sirene rappresentano, al contempo, la ‘vita’ mutevole del mare che si rigenera continuamente, mentre la ‘morte’ è provocata ai danni degli impavidi navigatori. L’eros, inoltre, annette alla sfera della sessualità, che è parte interante del classico di Omero.

Sempre nella psicoanalisi, Sigmund Freud formula il conflitto psicologico in termini dualistici, desumendo dai concetti elaborati dal pensiero di Empedocle – al quale viene attribuito il merito di aver scisso, in quattro parti, gli elementi naturali: fuoco (Zeus), aria (Era), terra (Edoneo) e acqua (Nesti) -, che prevede la ‘vita’ nell’unione degli elementi, e la ‘morte’ nella loro scissione. Le sirene vivono poiché sono a contatto con il loro elemento naturale – l’acqua, appunto -, ma perirebbero se fossero private dello stesso, anzi diventerebbero mera «schiuma di mare» (come capita alla giovane sirenetta descritta da Andersen).

‘Eros’, poi, non è altri che il dio dell’amore che «aiuta» gli uomini a organizzarsi in realtà sempre più complesse e armoniose, mentre ‘Thanatos’ – avvalendosi della sua potenza distruttiva – tende a far ritornare il vivente a una forma d’esistenza inorganica. La musica delle sirene riconduce, pertanto, alla paura dell’uomo e ai rischi insidiosi che la vita gli offre. Tutto ciò provoca ansia e turbamento non meno di quanto avviene nel mito platonico della Repubblica, dove le sirene sono associate alle ‘Parche’ le divinità che presiedono al destino dell’uomo e hanno cura dell’armonia cosmica.

Tuttavia, nell’opera di CiceroneIl sommo bene e il sommo male (De finibus bonorum et malorum),  in cui si pone il problema di cosa sia il sommo bene – viene eseguita un’ulteriore analisi della figura leggendaria di Ulisse. Egli rappresenta «l’eroe assetato di conoscenza»: «Si accorse Omero che la leggenda non sarebbe stata degna di approvazione, se si fosse ritenuto che un tale uomo venisse irretito da banali canzoni. No, la promessa era quella della conoscenza. Né deve destare meraviglia che ciò riuscisse più caro della stessa patria a uno desideroso di sapere». Quest’ulteriore interpretazione ciceroniana ispirerà, successivamente, Dante per la costruzione del personaggio omerico presente nell’Inferno.

La tradizione, iconografica e mitologica, procede nella stessa direzione degli sviluppi e dei cambiamenti socio-culturali del contesto di riferimento. Pertanto, le sirene assumeranno molteplici sembianze a seconda del pensiero filosofico e letterario, raggiungendo anche i mass media – dal cinema, alla televisione fino ai moderni e-book, nel caso di romanzi dedicati alla tematica e alle loro rivisitazioni -, nonché  alle moderne valutazioni e interpretazioni del mito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


[1] Charles Baudelaire, I fiori del male, 1857. Comprendeva centoventisei poesie divise in sezioni: Spleen et ideal, Quadri Parigini, Les fleurs du mal, La revolt, Le vin e La mort. L’opera fu censurata per i termini e la forma poetica, in netto contrasto con i cliché e le abitudini del tempo. Da molti critici è considerata come un’opera dalle tinte vagamente erotiche.

[2] Omero, Odissea, canto XII, 69-72

[3] È la più importante delle divinità fluviali greche e corrisponde all’odierno fiume Aspropotamo; il secondo, per lunghezza, della Grecia. Anna Ferrari, Dizionario dei luoghi letterari immaginari, UTET 2007. Fernando Palazzi, I miti degli dei e degli eroi, a cura di Giannotti G.F., Loescher 1988.

[4] Omero, Odissea, Canto XII, versi 52-54.

[5] L’anima, dunque, poiché immortale e più volte rinata, avendo veduto il mondo di qua e quello dell’Ade, in una parola tutte quante le cose, non c’è nulla che non abbia appreso. Non v’è, dunque, da stupirsi se può fare riemergere alla mente ciò che prima conosceva della virtù e di tutto il resto. Poiché, d’altra parte, la natura tutta è imparentata con se stessa e l’anima ha tutto appreso, nulla impedisce che l’anima, ricordando (ricordo che gli uomini chiamano apprendimento) una sola cosa, trovi da sé tutte le altre, quando uno sia coraggioso e infaticabile nella ricerca. Sì, cercare ed apprendere sono, nel loro complesso, reminiscenza [anamnesi]! Non dobbiamo dunque affidarci al ragionamento eristico: ci renderebbe pigri ed esso suona dolce solo alle orecchie della gente senza vigore; il nostro, invece, rende operosi e tutti dediti alla ricerca; convinto d’essere nel vero, desidero cercare con te cosa sia virtù. (Platone, Menone, 79e-82b, in Opere complete, vol. V, pp. 275-79).

 

[6] In filosofia, l’innatismo si riferisce alle teorie elaborate affinché emergano le caratteristiche individuali. Secondo tali teorie, infatti, la persona ha delle conoscenze già al momento della nascita, ovvero ha acquisito nozioni e concetti che non vengono appresi mediante l’esperienza.

[7] Circe, dea di origine greca, compare nei canti X, XI, XII dell’Odissea. Anna Maria Carassiti, Dizionario di mitologia greca e romana, Newton Compton, Roma, 1996 pp. 365.

[8] Italo Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Milano 1995.

[9] Hans Christian Andersen, La Sirenetta (Den lille Havfue), 1836. È una fiaba molto conosciuta, in particolare in Danimarca, a cui è dedicata la celebre statua nel porto di Copenaghen. La fiaba è disseminata da riferimenti autobiografici  e il tema predominante è il ‘diverso’.

[10] La Sirenetta, diretto da John Musker e Ron Clements è il 28º Classico d’animazione Disney.

[11] L’etimologia del termine è da ricercare nelle parole di Jeffrey Katzenberg, capo sezione cinematografica della Walt Disney Pictures, che definì quel preciso arco storico un “rinascimento” per la casa dovuto al lavoro dei nuovi animatori, tecniche di narrazione e la scoperta del musical come forma di intrattenimento interno alla trama.


Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *