I BRIGANTI


I BRIGANTI

Antico romanzo cinese di cappa e spada

A cura di Stefano Sacchini

Andarono a prendere un coltellaccio e un bacile pieno di carbone acceso. Bufalo di Ferro impugnò il coltellaccio e, con un riso feroce, s’accostò al prigioniero.

– Su giovanotto! Eri così bravo a dar suggerimenti e a macchinare intrighi nelle stanze interne del prefetto! Di giallo sapevi far nero e di zero uno, quando si trattava di danneggiare il tuo prossimo! Hai pregato di darti una morte rapida. E io, il tuo vecchio signore, provvederò invece a che tu crepi con tutta calma! – lo schernì.

Poi accostò il coltello e con gran cura, dalle cosce alle spalle, scalcò destramente i migliori pezzi di carne dal corpo della sua vittima; non tutti in una volta, ma adagio adagio, con tutta calma, arrostendoli uno per uno sul braciere e porgendoli in giro insieme col vino, prima di tagliare il pezzo successivo. Fu un lavoro lungo, che richiese ben più di mezz’ora. Infine furono estratti il cuore e il fegato, da cui si ricavò il prediletto tonico agro-amaro.

(trad. dal tedesco di Clara Bovero)

Il filone cinematografico prettamente cinese del Wuxianpian, conosciuto in Occidente grazie a pellicole come la trilogia di Storia di fantasmi cinesi (iniziata nel 1987), La Tigre e il Dragone (del 2000, vincitore di quattro premi Oscar fra cui Miglior film straniero) e Hero (del 2002), trae le sue origini da una radicata tradizione letteraria cinese, definibile di “cappa e spada”.

Di questo genere, tuttora vivo e vegeto grazie ad autori come Jin Yong (suo il Volpe Volante della Montagna Innevata, pubblicato in Italia nel 2006 dall’Editrice Pisani), l’esempio più importante è senza dubbio I BRIGANTI, noto anche come Tutti gli uomini sono fratelli oppure Le paludi del monte Liang (originale cinese Shuihu Zhuan, lett. La storia sul bordo dell’acqua).

L’opera, il cui nucleo dovrebbe risalire agli inizi della dinastia Ming (1368-1644), descrive le mirabolanti avventure del bandito ribelle Song Jiang e dei suoi intrepidi uomini d’arme e di rapina, per un totale di 108 eroi ed eroine. Fra questi masnadieri si distinguono trentasei “capi celesti” principali e settantadue personaggi secondari (i cosiddetti “amici terreni”), ciascuno con la propria, unica storia personale.

Questo corpus di racconti in parte echeggia le imprese di personaggi realmente vissuti come vengono riportate nelle storie ufficiali della dinastia Song (960-1279), sebbene senza la glorificazione che caratterizza il romanzo.

Da secoli la critica è divisa se attribuire la paternità dell’opera nella sua interezza a Shi Nai’an (1296—1372) oppure considerare gli ultimi trenta capitoli, dei cento che compongono il romanzo nella versione canonica, scritti da Luo Guangzhong (1330-1400) già considerato autore di un romanzo di capitale importanza nella storia della letteratura cinese ed estremo orientale: Il Romanzo dei Tre Regni (Sanguo Zhi Yanyi). Esistono anche altre versioni: le principali (ma non le uniche) sono una “lunga” in centoventi capitoli, la cui prima edizione risale al 1618, e una “breve” in soli settanta, preparata nel 1642 dal critico Jin Shengtan (1608-1661) che avrebbe goduto grande diffusione nel periodo della dinastia Qing (1644-1911).

Detto questo, la più antica versione integralmente conservata dell’opera risale ai primi anni di regno dell’imperatore Wanli (1575-1620), benché esistano alcuni capitoli di un’edizione più antica, del 1550 circa.

Quel che è certo è che gli autori, a prescindere da quanti siano stati, hanno amalgamato personaggi storici del XII secolo con altri di fantasia, attingendo a piene mani dalla tradizione popolare, dal suo insieme di storie e leggende che costituivano il repertorio dei cantastorie che girovagavano da una fiera paesana all’altra e intrattenevano la gente durante le feste religiose. Questo spiega perché sia i dialoghi sia la parte narrativa siano scritti nella lingua parlata e non nell’artificioso cinese letterario, utilizzato nelle opere storiche e filosofiche. Abbonda inoltre l’uso, tipico dei cantastorie itineranti, di modi stereotipati di iniziare o terminare i capitoli, o di segnalare un cambio di scena e di argomento all’interno di un brano. Vengono inoltre impiegati distici, poesie, canti e passaggi in rima per esprimere il giudizio dell’autore su una persona o una situazione, o per aggiungere enfasi a una descrizione.

Il risultato finale è stato una storia coinvolgente tra lo storico e il picaresco, paragonabile sotto molti punti di vista a quella occidentale di Robin Hood, ma soprattutto incredibilmente complessa dal punto di vista della struttura, com’è tipico della narrativa cinese del periodo tardo imperiale.

La versione “lunga” è divisa nelle seguenti sezioni:

Capitoli 1-71: la tracotanza di un funzionario imperiale provoca la fuga di 108 spiriti originariamente malvagi e imprigionati in antichità in una stele a forma di tartaruga; seguono le avventure di questi spiriti dopo che, secondo la legge buddhista della trasmigrazione delle anime, si sono reincarnati in esseri umani; le articolate vicende personali si concludono con la nascita della banda dei 108 banditi-eroi sulle rive delle paludi di Liangshan, nell’odierna provincia dello Shandong.

Capitoli 72-82: i banditi sconfiggono ripetutamente le truppe governative; imboscate e tranelli vanificano gli sforzi dei prefetti corrotti e dei marescialli imperiali. Alla fine l’intera banda viene graziata da un’amnistia decretata dall’imperatore in persona.

Innegabilmente queste prime sezioni costituiscono la parte più avvincente del romanzo, ricca di colpi di scena e combattimenti, sfide a singolar tenzone, massacri e vendette spietate, che talvolta si concludono con macabri riti di cannibalismo rituale (fenomeno antropologico ricorrente nella plurimillenaria storia cinese).

Capitoli 83-100: i 108 eroi, ora al fianco delle truppe regolari, combattono prima gli invasori Khitan, provenienti dalle steppe del nord, poi altre bande ribelli.

Capitoli 100-120: gli eroi superstiti cadono in disgrazia a causa di calunnie nate in seno alla corte e vengono giustiziati, per essere poi riabilitati da parte dell’imperatore Huizong (1100-1125) dei Song. Costui, dopo aver visitato in sogno le paludi di Liangshan e incontrato gli spiriti degli eroi, ne onora la memoria dedicandogli un tempio.

Il suo carattere di critica al sistema dei burocrati confuciani (i cosiddetti “mandarini”, dal portoghese mandar, comandare) attirò al romanzo le ire della censura ufficiale che, specie durante l’inquisizione letteraria voluta dall’imperatore Qianlong (1735-1796) dei Qing, ordinò perquisizioni nelle librerie private, distruzione delle copie esistenti e pene pecuniarie per chi non osservava tali disposizioni.

Altro motivo per cui I BRIGANTI venne giudicato negativamente da parte dei funzionari di più stretta osservanza confuciana, fu la sua propensione a un sincretismo religioso che fondeva liberamente elementi taoisti, buddhisti e confuciani, e l’esaltazione, ben poco mandarinale, degli ideali dei cavalieri erranti la cui etica era fatta d’individualismo, di egualitarismo e soprattutto di prossimità alle masse contadine. Comunque, nonostante i tentativi di censura, il romanzo continuò a godere del favore del pubblico, favore che non ha accennato a diminuire nel XX secolo. Specialmente durante la Rivoluzione Culturale (1966-1976), l’opera fu osannata per il suo valore iconoclastico verso i simboli ortodossi della società cinese “feudale”.

Grande fu il successo de I BRIGANTI anche nel resto dell’Estremo Oriente. La prima traduzione giapponese del Shuihu Zhuan  (Suikoden) è del 1757. Sempre in Giappone, nel 1805 viene data alle stampe un’edizione illustrata dal famoso artista Hokusai. In Corea il romanzo diventa popolare sin dal XVII secolo prima in lingua originale e poi in traduzione, fornendo argomenti e temi alla narrativa coreana del tardo periodo Choson (1392-1910).

Pearl S. Buck (1892-1973), scrittrice americana che trascorse in Cina molti anni, è stata fra i primi a tradurre in inglese il romanzo, nella versione in settanta capitoli. Suo il titolo Tutti gli uomini sono fratelli (All Men Are Brothers). Il libro, pubblicato nel 1933, fu ben accolto dal pubblico anglosassone. Nei decenni a seguire furono compiute altre traduzioni dal cinese in inglese, anche delle versioni più lunghe.

A parte una traduzione molto parziale del romanzo in lingua italiana eseguita dall’orientalista Alfonso Andreozzi nell’ormai lontano 1883 (Il dente di Budda, racconto estratto dalla Storia delle Spiagge e letteralmente tradotto dal cinese, ristampato dalla Sonzogno nel 1985), la sola altra edizione italiana del romanzo risale al 1956, che traduce la variante in centoventi capitoli non dall’originale cinese bensì dalla versione tedesca (ampiamente tagliata) a cura di Franz Kuhn: I Briganti. Antico romanzo cinese, I millenni, Giulio Einaudi editore, Torino 1956 (ultima edizione 1995).

Dagli anni ’70 si sono avute numerose riduzioni televisive e cinematografiche cinesi (in particolare prodotte a Hong Kong) e giapponesi. Il successo del serial televisivo giapponese Suikoden del 1973 fu tale che finì per essere trasmesso anche dalla RAI nel 1979, con il titolo La frontiera del drago.

Da segnalare varie versioni in fumetto, da quelle dei giapponesi Yokoyama Mitsuteru, che uscì a puntate tra il 1967 e il 1971, e Amano Yoichi (Akaboshi – Ibun Suikoden, 2011), sino a quella,  ben più nota in Italia, del disegnatore nostrano Magnus che ci lavorò a partire dal 1973 sino praticamente al 1993, anno della sua morte, lasciando purtroppo la saga incompiuta.

Diversamente da Lo Scimmiotto, altro classico cinese del fantastico, l’animazione giapponese non ha ancora prodotto una serie ispirata direttamente al romanzo.


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