Ursula Le Guin, quarto appuntamento


Parlando di Ursula, dei suoi capolavori, nell’attesa dell’imminente uscita di Città delle Illusioni  edita da Gargoyle Books, ecco a voi tre recensioni.

I Reietti dell’altro Pianeta

A cura di Alexia Bianchini

I reietti dell’altro pianeta, conosciuto anche con il titolo Quelli di Anarres è uno dei più celebri romanzi di fantascienza utopica scritti da Ursula K. Le Guin. L’opera è stata insignita nel 1975 del Premio Hugo e del Premio Nebula,i massimi riconoscimenti della letteratura fantascientifica.

È il quinto romanzo, in ordine di pubblicazione del Ciclo dell’Ecumene, un insieme di romanzi e racconti di fantascienza che la Le Guin ha ambientato in un medesimo universo immaginario futuristico.

Urras e Anarres, sono due pianeti gemelli, divisi da secoli da una barriera ideologica.

Urras è lussureggiante, densamente popolato e soprattutto tecnologicamente avanzato. Governato da un sistema capitalistico, sembra l’isola felice. Anarres al contrario, è un pianeta ostico e arido, colonizzato dai seguaci di Odo, un gruppo di anarchici che prima vivevano su Urras e che per poter vivere seguendo i propri ideali, sono stati invitati a colonizzare il pianeta gemello, fondando una società secondo i loro desideri, una fratellanza dove il concetto di singolo e di proprietà sono stati sostituiti dal collettivismo.

Quelli di Anarres, narrà le vicende di Shevek, uno scienziato di Annares che grazie alle sue ricerche vorrebbe condividere con quelli dell’altro pianeta le sue scoperte. Viene scoraggiato fino a quando si sente costretto ad abbandonare il pianeta, convinto dal buon senso, considerando le sue scoperte un bene per tutti.

Sebbene parta considerando la chiusura mentale del suo popolo un limite, si rende conto ben presto che sul ricco pianeta sono ancora più prigionieri della loro mentalità consumistica, da qui il suo drastico cambiamento: da scienziato a riformatore. Il passo per divenire scomodo e dissidente è breve. Si ritroverà profugo e fuggiasco. .

Quella di Anarres è una società che non condivide il senso di proprietà, libera e democratica, senza stato né leggi, un’utopia anarchica e collettivistica. A rafforzare questa società c’è il pravico, lingua creata artificialmente per eliminare le disuguaglianze. L’esasperazione avviene quando l’individuo viene schiacciato per la collettività, non hanno senso le proprie esigenze, ecco che si creano strutture sociali eccessive, come quelle di abitare il cellette, non poter allevare i propri figli o lavorare a giro, senza seguire le proprie peculiarità.

Un romanzo di fantascienza toccante, dal punto di vista sociologico, una vera chicca, godibile a chiunque. Un opera che lascia stupito il lettore per la modernità, sempre in voga.

Libertà e collettività, possono viaggiare di pari passo?

Impossibile non cogliere la profondità, il calibro, in queste pagine tanto acclamate. Mentre si legge è impossibile non porsi questioni sulla società in cui viviamo, creando ovvi paragoni con il libro.

Da leggere, e rileggere.

L’occhio dell’airone

A cura di Marco Montozzi

“L’occhio dell’Airone” è un romanzo breve della nota autrice e, apparentemente, piuttosto semplice
nella quale viene rappresentato lo scontro culturale e sociale innescato dall’emergenza della cultura della “non violenza” che andava affermandosi negli anni a cavallo tra la fine degli anni sessanta del novecento e i primi anni settanta.

Su un lontano pianeta “dell’esilio” – Victoria – da poco terra formato, e quindi ancora duro e incolto, vengono mandata in un viaggio di sola andata e costrette a convivere, due comunità provenienti epoche differenti.
I primi a giungere sul pianeta sono “i pionieri”, originari del Brasile, avvezzi ad uno stile di vita organizzato socialmente su un modello proto-industriale di stampo occidentale.

In una ondata successiva giungono gli Shantih, un gruppo di emarginati di origine australiana, dediti all’agricoltura, e decisi a sottrarsi all’arroganza e al potere dei primi, ricorrendo a strategie di lotta non violenta di gandhiana memoria.

Nasce così un conflitto al centro del quale si pone Luz Falco, figlia di un consigliere della comunità dei primi pionieri che si innamora di Lev, esploratore e guida degli Shantih.

Ma non è solo l’amore per il giovane condottiero a far nascere dubbi nel cuore di Luz, sarà anche l’incontro con Vera, prigioniera proprio della famiglia Falco per aver commesso un reato e cioè la richiesta di libertà per il proprio popolo, a spingere la ragazza ad abbracciare gli ideali Shantih e a unirsi a loro nella ricerca della terra promessa.

Questa trama, all’apparenza banale e semplice, nasconde alcuni importanti elementi.
Se in una prima fase di lettura abbiamo la sensazione che l’autrice parteggi per la popolazione non violenta, così abusata e schiavizzata, a uno sguardo più attento ci rendiamo presto conto che non c’è alcun “tifo” da parte sua che si limita a essere semplice spettatrice di eventi.

Eventi che ben presto si configurano in forme distorte in cui tutti i personaggi risultano prigionieri dei loro ruoli. Così come sono prigionieri gli Shanti, allo stesso modo sono prigionieri “i pionieri” , legati a una forma di sopravvivenza forzatamente simbiotica con i loro “schiavi” da non riuscire più a concepire un futuro senza di loro o una collaborazione che non sia di sfruttamento.

Questo ci autorizza a credere che, secondo la Le Guin, la Pace sulla Terra non potrà mai essere un bene universale né da dare per scontato e che è realizzabile, forse, solo se tali ideali vengono perseguiti  non solo all’interno della nostra società, ma costruendo comunità che abbraccino l’esterno, e la diversità.

Per finire, ecco la recensione relativa al prequel del romanzo tanto atteso:

RISCOPRIRE URSULA K. LE GUIN A BELLARIA: 

IL PIANETA DELL’ESILIO

A cura di Claudio Cordella

“Avvolta nella sua pelliccia leggera, svelta e sottile come un animale selvatico, la ragazza Rolery scivolò tra i boschi in mezzo al tempestare delle foglie morte, allontanandosi dalle mura che sorgevano, pietra su pietra, sulla collina di Tevar e dai campi operosi per l’ultima messe. Si allontanò da sola, e nessuna la richiamò indietro”. URSULA K. LE GUINPlanet of exile, 1966; tr. it. Il pianeta dell’esilio, Editrice Nord, Milano 1979, p.1.

Recentemente Bellaria (provincia di Rimini), ha ospitato la trentaseiesima edizione della Sticcon, la convention dello Star Trek Italian Club. Per di più quest’anno la sede tradizionale  per la riunione dei trekkie (o trekker), i fans di Star Trek, italici ha ospitato in contemporanea altri due eventi del fantastico: la Yavincon (riunione del club Yavin 4) e la Italcon (il Convegno Italiano del Fantastico e della Fantascienza). Sarebbe difficile render conto a parole della sana follia di quei giorni, dai vulcaniani alla Mr. Spock con le lunghe orecchie all’ora di colazione, ai flash-mob danzanti nella hall di un mega-centro convegni. Indipendentemente da un certo abusato luogo comune, gli appassionati di fantascienza e di fantasy non sono tutti rappresentabili dallo stereotipo dello smilzo con gli occhiali o dall’imbranato obeso pieno di complessi. Sono persone che studiano o che lavorano con impegno, sia nel mondo della ricerca, dell’editoria e dell’industria culturale in genere sia in rami completamente diversi. Amano stare assieme, divertirsi, scherzare in compagnia e parlare per ore con gli altri delle loro passioni. Un modo di essere e di vivere le proprie passioni che non ha nulla di anormale, asociale o di alienante. Certo, gli individui persi nei loro mondi di fantasia e avulsi dal mondo esterno esistono, si pensi solo agli otaku nipponici, ma prenderli a paradigma dell’appassionato tipo del fantastico è a nostro parere incredibilmente sbagliato.

Ugualmente scorretto sarebbe pensare a costoro come a dei simpatici gogliardi, capaci solo di vestirsi in fogge bizzarre, imitando i costumi dei propri beniamini, e di far baldoria. Intendiamoci, non che i fans del genere non facciano di queste cose. E che non fanno solo questo! La stessa convention di Belleria è stato il luogo ideale per ascoltare serissime conferenze, quest’anno in particolare ha beneficiato della presenza di numerosi decani della sci-fi italica come Giuseppe Lippi, Gianni Montanari o Luigi Cozzi, assieme a romanzieri statunitensi come David Gerrold e Paul Di Filippo, mentre si è reso doveroso omaggio alla figura e all’opera di Vittorio Curtoni (1949 – 2011). Bene, è stato in un contesto come questo che ho avuto l’occasione di scoprire un gioiellino appartenente alla produzione giovanile della scrittrice americana Ursula K. Le Guin. In uno stand che raccoglieva diverse vecchie edizioni dell’Editrice Nord, tutte delle vere meraviglie ve l’assicuro, all’interno di una serie di romanzi in formato tascabile di un’arcaica versione anni ’70 della defunta collana Cosmo Argento, ho scoperto con mio grande stupore una copia de Il pianeta dell’esilio della Le Guin. Una copia ancora ricoperta dalla sua protezione di cellofan ma su cui il trascorrere dei decenni aveva lasciato il suo segno, ingrigita dalla polvere e tutto sommato ancora in ottime condizioni. Considerato sopratutto che risaliva al lontano gennaio 1979, non esattamente una recente giacenza di magazzino.

Il pianeta dell’esilio, apparso per la prima volta negli Stati Uniti nel 1966 con il titolo di Planet of exile, rappresenta una delle opere appartenenti al primo periodo dell’attività professionale di quest’autrice. In quest’anno in particolare la Le Guin aveva già dato alle stampe il suo primo romanzo  in cui si faceva cenno a un’organizzazione interstellare nota come Ecumene (o Lega di tutti i mondi): Rocannon’s World (Il mondo di Rocannon), primo tassello di un’affascinante saga. Questa serie di romanzi, nota in lingua inglese come Hainish Cycle (Ciclo Hainita), presenta uno scenario di massima all’interno del quale si sviluppano diverse storie, slegate tra loro pur se appartenenti al medesimo universo. In tale realtà gli esseri umani e gli umanoidi di altri pianeti sono imparentati tra loro grazie a dei comuni antenati: gli Hainiti del pianeta Han, un mondo distante 140 anni luce dalla Terra. In genere il gusto per l’antropologia di quest’autrice, essa stessa figlia di un antropologo Alfred Kroeber, le permette di impiegare un simile contesto narrativo per sviscerare gli incontri/scontri tra gli umani e le varie popolazioni “aliene”, oltre ad approfondire la psicologia dei suoi personaggi, sia maschili che femminili.

Il pianeta dell’esilio da questo punto di vista non fa eccezione, incentrandosi in particolar modo sulla storia d’amore tra il Nato Lontano Jacob Agat Alterra e Rolery del Clan di Wold, indigena del pianeta Werel, terzo pianeta della stella Gamma Dragonis. I Nati Lontano non sono altro che i discendenti di coloni Terrestri abbandonati, in seguito a un evento non precisato che sembra aver sconvolto la Lega di tutti i mondi, in completo isolamento su di una terra straniera. I nomadi indigeni che vivono nei pressi di Landin, l’ultima città rimasta di questi discendenti dei Terrestri, non sono ostili ai coloni ma tendono a considerarli con sufficienza e disprezzo. I Nati Lontani dal canto loro sono sempre di meno, nascono pochi bambini ed essi si sono ritrovati a vivere in un unico insediamento: Landin appunto. Essi sono convinti che il mondo su cui si sono insediati li stia respingendo.

Werel inoltre ha una particolarità, le stagioni di questo pianeta durano molti anni: “Cinquemila notti di Inverno, cinquemila giorni: il resto della loro gioventù e forse della loro vita”. LE GUIN, Il pianeta dell’esilio, p. 140. Una “trovata” questa, quella delle stagioni di durata pluriennale, che sarà ripresa in seguito dall’inglese Brian Aldiss nella sua trilogia di Helliconia. Di recente la ritroviamo persino impiegata, con tanto di analoga minaccia di una lunghissima stagione invernale, anche nella poderosa saga fantasy A Song of Ice and Fire (Cronache del ghiaccio e del fuoco) di George R. R. Martin.

La storia d’amore tra Agat e Rolery rimanda invece invariabilmente al celebre romanzo The Lovers (Gli amanti di Siddo) di Philip José Farmer; pubblicato nella puritana America degli anni ’50 fece scandalo con il suo racconto della storia d’amore tra un terrestre (proveniente da una società distopica, controllata da fanatici religiosi sessuofobi) e una aliena insettoide. Di recente invece il regista James Cameron con il suo kolossal cinematografico Avatar (2009) ci ha offerto qualcosa del genere narrandoci delle avventure delle avventure dell’ex-marine paraplegico Jack Sulley e di Neytiri, guerriera degli alieni Na’vi del pianeta Pandora.

Effettivamente lo sfondo offertoci dalla Le Guin, alla pari con il libro di Farmer e con il film di Cameron, è decisamente drammatico. Su Werel l’Inverno è alle porte, i nomadi Tevariani (01) hanno abbandonato le Terre Estive dei pascoli per trasferirsi in una località costiera dove sorge Tevar, la loro Città Invernale, il posto dove affronteranno i rigori invernali. Tevar è situata non molto distante da Landin ma tra le due popolazioni non c’è sembra esserci alcun tipo di collaborazione, entrambi si considerano diversi, “alieni” gli uni con gli altri, troppo differenti per costumi e mentalità. Effettivamente le tribù nomadi a cui appartiene Rolery sembrano avere non solo tutta una serie di tabù, in particolare riguardo al guardarsi in viso o al sesso, ma sono anche privi della capacità di ricordare il passato e di prevedere il futuro. Alla sfida dell’epocale mutamento stagionale, che già di per sé rappresenta un problema non da poco, si inserisce l’inedita migrazione di massa dei barbari Gaal. Un pericolo comune a cui sia Landin che Tevar possono far fronte solo unendosi in alleanza. Purtroppo la fragile intesa viene subito meno quando la gente di Rolery scopre la sua tresca segreta con Agat; quest’ultimo viene aggredito e picchiato mentre la sua amante, la quale lo salva e lo trasporta da sola sino a Landin, diventa dall’oggi al domani una profuga.

La successiva distruzione di Tevar, incendiata e saccheggiata da una moltitudine di Gaal, ribalta una nuovamente la situazione e questa volta sono i Nati Lontano a dimostrarsi magnanimi e ad accogliere i loro vicini all’interno delle mura della loro città. Da quel momento in poi il loro destino, nel bene o nel male, sarà condiviso da entrambe. Il pianeta dell’esilio, a differenza di altre opere del ciclo Hainita, come i successivi The Left Hand of Darkness (La mano sinistra delle tenebre)  e  The Disposessed: an Ambiguous Utopia (I reietti dell’altro pianeta), entrambi vincitori del premio Hugo, è un’opera forse meno complessa e minuziosa ma è senz’altro dotata di un notevole fascino. Un romanzo breve di agevole lettura non privo di attimi di genuina poesia e di intensa emotività, nel quale i personaggi presenti sono ben caratterizzati. Inoltre il paesaggio innevato che la fa da padrone ne Il pianeta dell’esilio porta alla mente proprio al successivo La mano sinistra delle tenebre, interamente ambientato in un mondo alle prese con una glaciazione. Come ha giustamente osservato Sandro Pergameno nella sua introduzione a questo romanzo negli anni ’70: “«Il pianeta dell’esilio» è un romanzo prettamente classico, un’opera di sf d’avventura un po’ alla Vance, priva di quei risvolti sociali impegnati che hanno portato al successo le opere successive della Le Guin; si può tuttavia già notare lo stile limpido e puro di questa grandissima scrittrice, uno stile semplice, privo di complessi barocchismi alla Bradbury, e tuttavia lucido, vibrante, personale. Chiara ed evidente è anche già la sua abilità nel creare e descrivere compiutamente e particolareggiatamente mondi alieni (una capacità che avrà poi libero e pieno sviluppo sopratutto ne  «La mano sinistra delle tenebre» e «I reietti dell’altro pianeta»), degna di un Herbert o di un Vance, nonché la sua sensibilità tutta femminile (ma non sdolcinata) nel trattare i rapporti umani”. Pergameno inoltre si sofferma su un particolare assai singolare: l’eroe del successivo City of Illusions (Città delle illusioni) viene da Werel ed è membro di una missione partita dal suo mondo natale alla volta della Terra, luogo in cui si svolgono gli avvenimenti che lo vedono protagonista. La Città delle illusioni  venne pubblicato per la prima volta negli USA nel 1967, in Italia è stato ristampato di recente proprio quest’anno. Non possiamo che augurarci, dati i legami esistenti tra le due opere, che anche il  Il pianeta dell’esilio possa beneficiare di un’analoga ristampa.

Note

(01) Gli abitanti di Landin chiamano i Teravani Eis, cioè Esseri di Intelligenza Superiore.

 

 

 


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