Via con gli Spiriti – Ponyo sulla Scogliera


Via con gli Spiriti
Ponyo sulla Scogliera
Scilla Bonfiglioli

“È al propano, sai?”
Ponyo sulla Scogliera

Tenete salda la nave, il mare si sta ingrossando. Arrivare al porto non sarà una passeggiata.
Ci troviamo poco lontano dalle coste del Giappone, senza riuscire ad attraccare con queste onde grandi come montagne. Ma non siamo i soli, pare.
Intorno a noi ci sono barche, navi e petroliere, tutte con le luci accese e i motori spenti. Nessuna di loro risponde ai comandi. Siamo in balia delle onde.
Si dice che uno tzunami si abbatte sulle coste quando giunge a riva un pesce dal volto umano. In questi giorni, tra le onde frante da una scogliera, è arrivata Brunilde. Mezza pesce e mezza bambina, Brunilde viene raccolta da Sōsuke, che vive sulla scogliera insieme alla sua mamma, Riza.
In realtà la leggenda sull’origine delle grandi ondate è un po’ diversa, ma non meno suggestiva.

Secondo la tradizione giapponese è il pesce-gatto che con la sua presenza annuncia terremoti e tzunami.
Dopo il 1885, anno di un terribile e tragico tzunami che travolse la città di Edo (l’antica Tokyo) sede dello shogunato, vennero prodotte centinaia di stampe su tela chiamate namazu-e, letteralmente “immagini del pesce-gatto” che divennero via via sempre più popolari. Rappresentano il pesce-gatto leggendario Namazu che vive nel fango, con la coda sotto i territori di Shinosa e Hidachi e con il corpo sotto l’intero arcipelago giapponese. Il dio Kashima, protettore delle terre del Giappone dai terremoti, lo sorveglia tenendolo a bada con una pietra o con una spada, a seconda delle versioni. Quando il dio si distrae o deve allontanarsi dal suo posto di guardia, Namazu è libero di muoversi e generando scosse telluriche che portano a terremoti e grandi ondate.
Lo stesso nome di Kashima allude a una “pietra basilare” che tiene unito il mondo.
Scrive  Borges , citando un autore imprecisato:
“Sotto la Terra – di pianure giuncose – giaceva un kami  che aveva la forma d’un barbio, e che, muovendosi, faceva tremare il suolo; finché il Gran Dio dell’Isola dei Cervi affondò la lama della sua spada nella terra, e gli trafisse il capo. Quando il kami si agita, il Gran Dio s’appoggia sull’impugnatura e il kami torna quieto.”
Il pomo della spada leggendaria, lavorato in pietra, sporge dal suolo vicino al tempio di Kashima. Pare che un tempo un signore feudale scavò per giorni e notti intorno alla lama senza riuscire a giungere alla fine.
Prima del diciottesimo secolo la versione predominante della leggenda, giunta in Giappone dalla Cina, era quella di un drago che sotto terra era all’origine dei numerosi terremoti. Una variante parlava invece di un fagiano gigante localizzato proprio nel santuario di Kashima.
Dal 1885 quella del pesce-gatto diventa così popolare che di namazu-e ne verranno prodotte di almeno quattrocento tipi diversi.

È proprio il piccolo Sōsuke, di appena cinque anni, a chiamare Brunilde con il nuovo nome di Ponyo, letteralmente “soffice”. È un nome che la piccola gradisce molto tanto da preferirlo al proprio e adottarlo.
Ponyo scappa così definitivamente da casa, un nido sottomarino nel quale abita con le sorelline e il padre, Fujimoto. Egli si presenta come un mago e scienziato dall’aspetto strambo che ha in odio il genere umano, a suo parere troppo distruttivo e feroce, e da cui ha trovato il modo di allontanarsi, vivendo solitario sui fondali.
Ponyo, intanto, riesce a ritrovare Sōsuke e si presenta a casa sua sulla scogliera con le nuove sembianze di una bambina. La trasformazione temporanea in essere umano le è stata consentita dopo avere assaggiato il sangue umano del piccolo – che per soccorrerla tra le onde si era ferito a un dito – e dopo avere bevuto l’acqua della vita conservata con cura nei laboratori di Fujimoto, sul fondo del mare.
Questa trasformazione, tuttavia, è molto pericolosa sia per le creature del mare che per quelle che vivono sulla terra: l’impiego di tanta magia, poco a poco, finisce per incrinare l’equilibrio del mondo.
Ecco spiegato il maremoto che ci impedisce di arrivare a riva, ad esempio.
O le navi impazzite che non rispondono ai comandi e si ammassano l’una all’altra, come la nostra, con tutte le luci accese, tra un’onda e l’altra. Tra di esse c’è anche la nave dove lavora Koichi, il papà di Sōsuke. Oppure, ancora, la caduta dei satelliti artificiali. Vedete, lassù? Precipitano dal cielo nel mare, come fossero stelle cadenti. La piccola Ponyo ha messo in moto qualcosa di troppo più grande di lei.
Fujimoto allora si rivolge alla madre della piccola: si tratta di Gran Mammare, la dea marina che protegge i naviganti. I marinai e le genti della costa la chiamano Misericordia e si affidano a lei quando si trovano nella tempesta.
La dea e l’uomo si ricongiungono sotto la luna piena. Parlano tra loro della figlia come compagno e compagna. Non è raro nei miti che una dea scelga un uomo mortale come consorte e ancora meno strano è se a farlo è una dea del mare.
Tra i compagni della bella Venere ricordiamo l’efebo Adone, cacciatore dei boschi, o il troiano Anchise, la cui discendenza portò alla fondazione di Roma. Tutti uomini che simboleggiano la terra, nella sua forza virile.
Anche in questo caso la divina Gran Mammare, il cui aspetto da vicino ricorda quello di Yemanja,  trova il suo compagno nel mago Fujimoto, il cui nome significa “Ai piedi del monte Fuji” richiamando così l’antico mito.
Yemanja è una dea dell’immenso pantheon afroamericano. Indicata tra le divinità più importanti dei culti del cadomblè e del voodoo è considerata la madre di tutti gli Orisha. Questi ultimi sono semidivinità (originariamente appartenevano alla mitologia del popolo degli Yuruba, nell’Africa Occidentale) tramiti tra il mondo umano e quello divino, tanto che in una sovrapposizione sincretica sono sovrapposti ai santi del Cristianesimo.
Yemanja è la regina del mare e la prima protettrice delle donne, con cui ha un rapporto materno. Per estensione è la dea che presiede alle gravidanze e alla maternità. La si invoca quando si deve proteggere e purificare e sebbene sia considerata una dea tra le più benevole è vista, nel suo aspetto distruttivo, come il mare in tempesta.
Come Afrodite (e Venere) con cui presenta forti analogie, anche Yemanja nasce dalla spuma del mare e ha insegnato l’amore a tutti gli Orisha.
Ama la caccia, è severa ma di grande allegria.
I colori che la contraddistinguono nel suo culto sono il bianco e il blu, viene associata al giorno del sabato e alla Vergine della Regola.
Prima di pronunciare il suo nome, i suoi fedeli devono toccare con le dita la polvere della strada e baciarne l’impronta lasciata.
Viene rappresentata spesso come una donna bella e formosa che indossa una lunga veste a sette veli con serpentine che ricordano le onde, ricamate nei colori che le sono sacre. Altre volte ha un busto di donna dalla vita in su, mentre la metà inferiore del suo corpo è una coda di pesce. In mano tiene un ventaglio d’oro, di madreperla e di conchiglie, che le sono sacre.

Gran Mammare e Fujimoto discutono insieme del pericolo che minaccia il mondo. Se lui è in ansia per la figlia, la dea sembra più rilassata. Propone al compagno l’innesco di un’antica magia, lasciando il destino di Ponyo nelle mani del piccolo Sōsuke: se il bambino accetterà Ponyo nella sua vita, lei resterà con lui; se tentennerà, Ponyo si trasformerà in spuma del mare.
Sembra convinta del buon esito della prova e, se dovesse andare male, dice, non siamo noi tutti venuti dalla schiuma del mare?
Il riferimento principale in questo film di Miyazaki è sicuramente La Sirenetta , la fiaba di Hans Christian Andersen .
Famosissima, la fiaba racconta di una sirena che si innamora di un principe umano, dopo averlo salvato da una tempesta che fracassa la sua nave sugli scogli. Grazie a un patto con la Strega del Mare, riesce ad ottenere temporaneamente l’aspetto umano in cambio della sua voce.
Se riuscirà a fare innamorare di sé il principe, allora resterà umana, se non ci riuscirà verrà mutata nella spuma marina.

Miyazaki è un abile lettore del mito e ci propone un’iconografia molto attenta della sirena. Ponyo è pesce e bambina, ma nella sua forma intermedia le sue mani e le sue gambe ricordano quelle di un uccello. Si rifà di certo alle antiche versioni greche delle sirene, creature magiche marine e ibride i cui attributi erano quelli di fanciulle umane così come di pesci
La sirena rappresenta due facce di una femminilità non incanalata nei ruoli sociali.
Il suo essere mostruoso la colloca ai margini della società, più precisamente su una linea di confine.
Il confine tra la vita e la morte, ad esempio. Tra l’oriente e l’occidente che è come dire tra ciò che è noto e l’ignoto. Non è un caso che essa sia associata alla dea Afrodite che è una dea straniera d’oriente per la società ellenica, ma che permea le civiltà pelasgiche precedenti, che di quella ellenica sono state la culla; non è un caso che siano associate alla dea Persefone, a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Il mito racconta che le sirene fossero presenti al rapimento di Persefone da parte dello sposo Ade. Con la loro presenza testimoniano il passaggio della dea dalla condizione di nymphe, fanciulla, a quella di gyne, donna sposata e regina del mondo dei morti. Ancora si racconta che le sirene siano fanciulle mutate in uccelli dalla dea Afrodite per avere trascurato l’amore: conosciamo la leggenda della sirena Partenope che, fuggita dai propri pretendenti, si tagliò i capelli e si rifugiò nel golfo di Napoli da cui la città prese il nome.
Il culto di Aphrodite e quello di Persefone sono molto legati l’uno all’altro e vengono separati anzi soltanto in un momento più tardo. Si trattava probabilmente del culto di due diversi aspetti di un’unica dea di cui la sirena era animale di riferimento.
A conferma di ciò, secondo Pausania, i templi delle due dee sorgevano l’uno di fronte all’altro, legittimandole come riflesso l’una dell’altra.
Le attività all’interno dei templi vedevano le ragazze impegnate nella musica, che aveva una grande importanza: quindi nel canto e nella danza rituale, per onorare e rendere servizio alla dea, e in mansioni che le avrebbero preparate all’ingresso della comunità cittadina come spose. Passaggio simboleggiato dal rapimento del marito che sarebbe venuto a prenderle al tempio come Ade con Persefone o Teseo con Arianna ed Elena.
La sirena è dunque l’icona di questo periodo della vita della fanciulla, della stagione selvaggia, non addomesticata dalla vita matrimoniale e dalla maternità. Come le ninfe, le sirene occupano il territorio simbolico dell’energia sessuale pura e incontaminata.
Simboleggiano il crocicchio, il passaggio: dall’infanzia all’età adulta a quello più grande e misterioso, dalla vita alla morte. Sono la zona di frontiera tra l’umano e il ferino.
Il loro canto rappresenta la seduzione primordiale, non a caso si parla di in-canto o di in-cantesimo. Quello del canto è la seduzione della parola che canta e incanta.
Se Platone paragona la musica delle sirene all’eloquenza di Socrate, dalla quale bisogna mettersi in salvo per non restare imprigionati dalle sue maglie, Pitagora sostiene che la musica, sorella dell’astronomia, regola le stelle: il loro decorso, il ritmo, l’ordine, l’accordo. Gli astri risuonano armonia e la musica umana non è che l’imitazione.
Il canto delle sirene dona a chi lo ascolta piaceri che sconvolgono, capaci di appagare ogni fame e ogni appetito. Cantando esse inducono all’oblio, provocano la morte nell’incauto viaggiatore che le ascolta riducendolo all’impotenza oppure sbranandolo come le fiere più spietate.
All’incontro con le sirene si può solo soccombere nell’oblio, oppure comprendere il loro canto per elevarsi fino a loro: ferme sul confine, attendono l’iniziato per un percorso spirituale.
Per anni e in molte tesi si è dibattuto sul significato del canto delle sirene. Le interpretazioni più fondate portano a pensare che esso sia collegato alla sfera rituale, a un culto agrario che vedeva le sirene come protettrici degli elementi e intermediarie tra i vivi e i morti, tra il mondo umano e quello divino.
Attraverso la voce esprimono i due aspetti più peculiari della loro natura: il canto della sensualità irrefrenabile e quello funebre dell’Oltretomba.
Dal VI secolo in Asia Minore e dal IV in Attica diventa d’uso porre delle statue di sirena nell’atto di produrre musica sulle tombe o a segnacolo di luoghi preposti alla sepoltura. Il canto di queste creature simboleggiava il canto funebre della cerimonia che aveva come compito quello di accompagnare il defunto nel suo viaggio verso l’aldilà. Secondo la leggenda, le sirene vivono nell’Ade e con la loro musica allieta gli spiriti nobili dei Campi Elisi. Allo stesso modo il loro canto poteva mettere in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti e recare consolazione a chi subiva un lutto.
La natura perturbante di queste femmine ctonie si associa alle lamie, alle empuse, alle onoscelee e alle arpie. Dei parallelismi forti li troviamo anche nella semitica Lilith, demone della lussuria, ma anche del vento e della tempesta. Tutte queste creature sono accusate di rapire bambini o ucciderli nel sonno; tutte sono coinvolte in una maternità negata.
D’altra parte il canto delle sirene poteva eccitare le tempeste, le burrasche e l’impeto del mare. (Pindaro, Partenio 2, frg. 94 b) O poteva controllarle, riportare alla normalità il vento, la furia delle onde e gli altri elementi naturali.
Se da una parte sono creature incapaci di procreare e pronte a rapire bambini umani e a divorare gli uomini per trascinarli negli abissi, dall’altra offrono una sensualità tutt’altro che sterile, ma feconda e piena di vita.
L’aura erotica delle sirene viene espressa dal seno florido, dai gioielli preziosi e dai capelli intrecciati e ornati con nastri: un’immagine che la associa senza difficoltà alle etere, allo specchio, al pettine che sono simboli di Afrodite nella cura dei capelli (fertilità e forza vitale) e dell’abisso marino o dell’anima in cui si è costretti a guardare quando si è di fronte alle dee dell’acqua.

Le onde finalmente si stanno placando. Gran Mammare aveva ragione a non preoccuparsi. Sōsuke ha fatto la scelta migliore e né Ponyo, che  adesso lo abbraccia, né il mondo marino e quello terrestre hanno più niente da temere.
In quanto a noi? Noi ci separiamo qui.
Questa scogliera è uno splendido luogo per salutarci. È proprio perfetto. Abbiamo fatto molta strada insieme e questo viaggio si conclude nel migliore dei modi. Forse ci rivedremo presto, per un altro viaggio. Ma adesso no.
Adesso per me è ora di prendere il largo.


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