L’ora più buia – Claudio Vergnani


L’ora più buia: ritornano i vampiri made in Italy

di Claudio Cordella

 

“Sei tornata ancora. Una volta di più hai galleggiato bianchiccia e diafana nell’angolo scuro tra la parete e l’armadio, spalancando il buco nerissimo della tua bocca per pronunciare parole mute, parole che non possono udire ma che tu dici, continui a dire, non ti stanchi di pronunciare”. CLAUDIO VERGNANI, L’ora più buia, Gargoyle Books, Roma 2011, p. 7.

 

Il vampiro è senz’altro una delle figure del panorama del fantastico più note a livello mondiale; praticamente non si contano più le sue apparizioni in romanzi, fumetti, film, telefilm e cartoni animati. Dal punto di vista folkloristico  questo tipo di creature, pur attraverso innumerevoli varianti, son presenti in numerose tradizioni popolari delle più disparate regioni geografiche del pianeta e presso diverse civiltà. Ad esempio, nel Mondo Antico i Greci credevano nell’esistenza di una particolare genia di donne-vampiro, le lamie (o empuse); infanticide, bevitrici di sangue e ingannatrici. I Romani non furono da meno e persino il poeta Quinto Orazio Flacco (65 a. C. – 8 a. C.) parla nella sua Ars Poetica di queste temibili femmine soprannaturali. Tutti questi esseri leggendari, nonostante i diversi nomi con cui vengono chiamati e le caratteristiche peculiari che li contraddistinguono presso ciascuna tradizione popolare, hanno molto tratti in comune: si cibano delle carni e/o del sangue di uomini, donne e bambini; sono legati alle forze dell’oscurità e della notte, spesso sono dei revenant che se ne escono dalla tomba per tormentare i viventi. Da questo punto di vista i vampiri, come i loro “cugini” zombie, fanno parte della grande famiglia dei morti-viventi; da questi ultimi i primi si distinguono per la loro capacità di dissimulare il proprio stato, la propria condizione di “mostro”, oltre all’aver conservato nella loro innaturale vita dopo la morte coscienza e raziocinio. Lasciando perdere miti e leggende la nascita del vampiro moderno la si deve a un italo-inglese, il medico e scrittore John William Polidori (1795 – 1821); autore del racconto Il vampiro (1819). Polidori, amico di Lord Bayron (1788 – 1824) e della sua cerchia di letterati e intellettuali, accetta nell’estate del 1816 assieme ad altri la sfida lanciata dal grande poeta di scrivere una storia dell’orrore. Da quell’insolita gara la letteratura fantastica finì arricchita da ben due suoi capisaldi: Mary Shelley (1797 – 1851) scrisse il suo capolavoro, Frankenstein: or, The Modern Prometheus (Frankenstein, o il moderno Prometeo) mentre Polidori diede alle stampe Il vampiro. In quest’ultima novella il vampiro-aristocratico Lord Ruthven rappresenta la prima attestazione di un tòpos letterario destinato a ripresentarsi più e più volte nel tempo sino ai nostri giorni. Durante l’Ottocento, grazie al romanticismo, affascinato da tutto ciò che era oscurità e mistero, e alla letteratura gotica, questo prototipo del moderno vampiro mise salde radici in Europa. Una donna-vampiro, diretta discendente della lamia greca a cui prima si è accennato, appare sia nel 1836 nel racconto La morte amoureuse (La morta innamorata) di Théophile Gautier (1811 – 1872) sia nel 1872 nel romanzo Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu (1814 – 1873). Il lavoro di Gautier, ritenuto meritevole da parte di Italo Calvino di essere inserito nella sua antologia dedicata al fantastico ottocentesco (Racconti fantastici dell’Ottocento – Il fantastico visionario, volume primo), ci presenta non solo un vampiro affascinante ma anche sinceramente innamorato, il lettore vien quasi portato a parteggiare per questa femme fatale che conduce alla perdizione un giovane chierico. Invece in Carmilla Le Fanu, con la sua vampira protagonista, plasma il modello-chiave di tutte le future succhia-sangue al femminile; la protagonista di questa vicenda è sensuale, incantatrice, dotata di bellezza e di fascino, ammalia le sue vittime e ha una carica erotica non indifferente. Il modello canonico del vampiro maschio, rielaborando e arricchendo l’esempio di Polidori. lo si deve però ad Abraham “Bram” Stoker (1847 –1912), lo scrittore irlandese che raggiunse un successo planetario con il suo Dracula (1897). Il successo del romanzo, un vero best-sellers, fu tale che il personaggio del Conte Dracula divenne per molto tempo il vampiro per antonomasia. Stocker si differenzia dai suoi precedessori per un maggiore spessore storico che infonde nelle sue pagine, l’autore infatti volle dare un passato plausibile al suo nobile transilvano e studiò in maniera accurata la letteratura folkloristica relativa alle leggende sul nosferatu (non-morto). In seguito il cinema non tardò a impossessarsi di questa figura, creando vampiri di celluloide ispirati più o meno fedelmente al lavoro di Stocker; il primo esempio risale al ’22 con Nosferatu, eine Symphonie des Grauens (Nosferatu il vampiro) del regista tedesco Friedrich Wilhelm Murnau (alias Friedrich Wilhelm Plumpe) (1888 – 1931). Il povero Murnau si trovò a dover fare i conti con gli agguerriti eredi di Stocker e per questioni di copyright il Conte Dracula non venne nominato; in sua vece apparve una creatura ugualmente temibile: il Conte Orlock. Assai famosi, autentici classici del genere sono i film prodotti negli anni ’30 e ’40 dall’americana Universal Pictures, e dalla britannica Hammer Film dagli anni ’50 sino ai primi anni ’70; produzioni a cui legarono il loro nome attori dallo sguardo magnetico come l’ungherese Bela Lugosi (Béla Ferenc Dezső Blaskó), o l’inglese  Sir Christopher Frank Carandini Lee, a cui dobbiamo aggiungere il compassato Peter Cushing. Per quando riguarda la letteratura una vera rivoluzione dopo Dracula avviene solo con lo statunitense Richard Matheson e il suo I Am Legend (tradotto in italiano come I vampiri o come Io sono leggenda); qui per la prima volta le superstizioni secolari, quali ad esempio l’impiego dell’aglio o del crocefisso come talismani protettivi, vengono irrise. Il vampirismo, sino ad allora presentato come il prodotto di una forza soprannaturale, diventa una malattia veicolata da un misterioso batterio. Matheson, conducendoci per mano in un mondo interamente popolato da succhia-sangue, ha dato vita a un romanzo davvero terrorizzante. Il punto di vista del protagonista, Robert Neville, unico umano sopravvissuto sulla Terra dopo l’epidemia che ha annientato il genere umano, aumenta se possibile le sensazioni di desolazione, disperazione e solitudine di Io sono leggenda. Il romanzo, analogamente a Dracula, ebbe molto successo e beneficiò di tre trasposizioni cinematografiche; l’ultima in ordine di tempo nel 2007 per la regia di Francis Lawrence con l’attore afro-americano Will Smith nel ruolo di Neville. In Giappone, se si pensa ai romanzi della serie Vampaia Hantā Dī (Vampire Hunter D), scritti da Hideyuki Kikuchi e illustrati dal talentuoso Yoshitaka Amano, oppure a quelli della saga Toriniti Buraddo (Trinity Blood) del compianto Sunao Yoshida (1969 – 2004), sembra che questa sottospecie di vampiro fantascientifico abbia attecchito più che bene. Le due serie sopracitate hanno riscosso un gran successo in patria; in particolare da Vampire Hunter D è stata tratta una serie di manga, un OAV e l’ottimo film del 2001 Vampire Hunter D: Bloodlust. Pure Trinity Blood ha goduto di una trasposizione fumettistica, nonché di una serie televisiva d’animazione omonima di qualità andata in onda per la prima volta nel 2005. Anche il mediometraggio del 2002 Buraddo Za Rasuto Vanpaia  (Blood: The Last Vampire), nato da un soggetto del regista Mamuro Oshii, rientra in questa categoria di vampiri in salsa sci-fi. In questi ultimi anni però sono stati i vampiri belli e dannati, capaci di ripescare il mito del nosferatu romantico, lontano da qualsivoglia speculazione fantascientifica, ad avere catalizzato l’attenzione dei lettori. Basti pensare all’autrice delle The Vampire Chronicles (Cronache dei vampiri) Anne Rice (alias Howard Allen O’Brien), alla Stephenie Meyer della serie di Twilight, oppure alla Laurell Kaye Hamilton con il suo ciclo di Anita Blake. In particolare la Meyer sembra essere la responsabile di un autentico fenomeno di massa; un delirio collettivo che ha riunito milioni di fans attorno agli eroi di Twiligh, che hanno beneficiato di una versione cinematografica di analogo successo, generando un fenomeno di costume assai diffuso tra gli adolescenti di oggi. Il vampiro è ormai il protagonista indiscusso di un particolarissimo sottogenere in costante bilico tra l’horror, l’urban fantasy e il paranormal romance. Nel corso del tempo però non sono cambiati solo i vampiri ma anche i cacciatori di vampiri; l’eccentrico erudito olandese  Abraham Van Helsing  di Stocker nell’omonimo film del 2004 diventa una sorta di crociato che ha il volto dell’atletico Hugh Jackman, un eroe da action-movie capace di abbattere qualsiasi mostro. Ancor più rivoluzionaria fu la serie televisiva di culto Buffy the Vampire Slayer (Buffy l’ammazzavampiri) di Joss Whedon, sette stagioni dal ’97 al 2003; non solo in questo telefilm l’horror si sposava con i temi dei film d’azione ma anche con la commedia, con il dramma e persino con la storia sentimentale. I vampiri di Whedon discendono direttamente dai loro prototipi romantici e alla pari di quelli della Meyer posso imparare ad amare; anzi, se la bella Slayer (Cacciatrice) Buffy Anne Summer può innamorarsi di loro, figli della notte come Angel e Spike non solo possono ricambiare tali sentimenti ma addirittura mutare essi stessi in qualcos’altro. Diventare in prima persona delle figure salvifiche alla pari della stessa eroina, sino ad arrivare a concepire l’estremo gesto dell’auto-sacrificio per il bene collettivo. A tal proposito risulta essere assai interessante l’approccio al mito del vampiro compiuto da Claudio Vergani con il suo Il 18° vampiro (2009), a cui sono seguiti Il 36° giusto (2010) e il recente L’ora più buia (2011). I succhia-sangue di Vergnani si suddividono in due categorie: i contagiati dal vampirismo ridotti a poco più di zombie semi-umani, privati del raziocinio e guidati solo dalla sete di sangue; gli autentici vampiri che come tutti i loro predecessori sin qui incontrati possono dissimulare e uccidere senza pietà. Quel che forse è più interessante in questa “trilogia vampirica” non sono però i non-morti ma proprio gli esseri umani; i cacciatori di vampiri in questo caso non sono né dei cavalieri solitari in lotta contro il Male, né dei teenager dai “grandi poteri e dalle grandi responsabilità” alla Buffy ma piuttosto dei disperati dalle vite al limite. L’analisi minuziosa della solitudine, della disperazione, dei pregi e dei difetti di costoro, la fragilità o la forza dei legami affettivi che essi riescono a instaurare, diventano centrali nella narrazione come il pericolo rappresentato da un qualsiasi Maestro dai canini appuntiti. Vergnani perciò ne L’ora più buia ci dipinge un mondo simile al nostro nel quale si è scatenata un’apocalisse vampirica, devastato ma in lenta ripresa, mentre al tempo stesso ci trascina inesorabilmente negli oscuri recessi dell’animo umano.

Sinossi de L’ora più buia.

Dopo le avventure narrate ne Il 36° Giusto, Claudio, Vergy e i loro amici lasciano Parigi e ritrovano una Modena quasi tornata alla normalità, i pochi vampiri rimasti in circolazione nascosti nelle fogne e negli edifici abbandonati delle periferie più degradate. Stanchi, depressi decidono di riempire il vuoto delle loro esistenze dedicandosi alla ricerca di Alicia, nella folle e disperata speranza che questa possa essere ancora viva. Claudio e Vergy iniziano cosi’ delle indagini che, ben presto, si riveleranno un’autentica discesa negli inferi che li porterà a confrontarsi non solo con un inquietante e antico Maestro ma, anche e soprattutto, con le loro paure di uomini rassegnati al proprio destino, fino a un incontro con la morte che si consumerà nel più tetro e freddo dei luoghi, nell’ora più buia quando, per citare l’Amleto di Shakespeare, “i cimiteri sbadigliano e l’inferno soffia il contagio su questo mondo”.

Intervista a Claudio Vergnani

Gli uomini di cui parli nelle tue opere non ricordano in nessun modo l’eroe del film Van Helsing ma nemmeno le donne, impetuosità e coraggio a parte, assomigliano alla celebre eroina del telefilm Buffy the Vampire Slayer (Buffy l’ammazzavampiri); né se per questo ad altri omologhi cacciatori di mostri. Perché ritrarre persone così sole, disperate, ciniche e farne degli antieroi a tutto tondo di un horror a tema vampirico?

Non è stata una decisione presa a tavolino. Mi sono ispirato a persone reali, che conosco o che ho conosciuto. Le ho inserite in un contesto tremendo, e mi sono limitato a vedere cos’avrebbero combinato. Ne sono emersi i punti di forza e le debolezze, i limiti, i pregi e soprattutto le contraddizioni. Come nella vita reale.

Come sono nati i personaggi de L’ora più buia e degli altri romanzi a esso collegati (Il 18° vampiro, Il 36° Giusto)?

Ho risposto sopra.

Ti consideri uno scrittore ottimista, pessimista o più semplicemente realistico?

L’intento è quello di essere realistico, anche se è inevitabile, a volte, fare la spola tra gli altri due poli.

Sesso, violenza e degrado vengono trattati senza alcuna inibizione ne L’ora più buia. A che si deve questa tua scelta? Credi che il fantastico in genere cerchi di nascondere le crudezze del vivere piuttosto che raccontarle?

No, credo che il fantastico sia materia troppo ampia per trarne, in questo senso, leggi universali. Dipende tutto da chi scrive e dal tema trattato di volta in volta. Ma nella mia trilogia era fondamentale essere precisi sugli aspetti che hai citato, e ho agito di conseguenza.

Citazioni letterarie, cinematografiche e fumettistiche emergono   con forza dalla lettura del tuo ultimo romanzo. Diresti che il tuo è uno stile meta-letterario?

Già da un poco, e sempre di più in futuro, chi scrive deve fare i conti con la mole sterminata di materiale (sia letterario che cinematografico) prodotto da chi lo ha preceduto, e non penso sia male ricordare di tanto in tanto al lettore (da quello più smaliziato a quello meno esperto) di cosa si sta parlando.

Ci sono degli scrittori, dei registi o dei fumettisti che ti hanno ispirato in maniera particolare?

Direi proprio di sì. Citarli richiederebbe pagine e pagine di intervista (che risparmio volentieri ai lettori). E’ sufficiente però sottolineare che pur scrivendo all’interno di un genere (che poi come hanno detto molti mi stia stretto è un altro paio di maniche e riguarda gli obbiettivi che mi ero dato, vale a dire rispettare le regole di un genere uscendo però dallo stesso) mi sono ispirato non soltanto a materiale cosiddetto “horror” ma a letteratura e cinema in generale. Le avventure che narro sono horror solo in parte, dopotutto, e la vita, che è poi ciò che mi interessa descrivere, non è fatta a settori.

Perché hai deciso di parlare nei tuoi romanzi di vampiri? Non ti sembra che la figura del “succhia-sangue” sia stata sin troppo inflazionata e sfruttata?

Quando scrissi Il 18° vampiro, circa 15 anni fa, ti assicuro che i vampiri se li filavano in pochi. Poi, per avere più chance di pubblicazione, ho colto il momento in cui sono stati sulla cresta dell’onda. Avevo diversi romanzi da proporre, ma solo uno che parlava anche di vampiri. Una scelta razionale. Un calcolo se preferisci, ma senza quel calcolo oggi non avrei il piacere di dialogare con te.

Secondo te il vampiro è la metafora di qualcosa di reale che fa parte della nostra contemporaneità?

Da qualche parte ho letto che nei sogni di ogni bambino ci sono una bicicletta ed un vampiro. E’ lo spauracchio per eccellenza, perché ci vuol portar via esattamente ciò che ci è più prezioso e che impariamo da subito a proteggere. La vita, il coraggio, la nostra umanità.

All’interno de L’ora più buia si parla di un Live di vampiri. Puoi spiegarci meglio di che cosa si tratta?

A questa domanda tecnica facciamo rispondere un Master in persona, nientemeno che il Conte Al Azif De Mauris Alias Signor De Murtis Cristone, che è in primis il Master di un ottimo Live. Sentiamolo: “Un live si può paragonarlo a una recita teatrale senza copione, ovvero completamente improvvisata. Esistono associazioni ludiche come la Tana del Coboldo di Sassuolo (Mo), che organizzano eventi dov’è possibile interpretare/recitare un ruolo che esula dalla normale routine giornaliera. Nel nostro caso i live permettono a chi vi partecipa di interpretare un vampiro. Bisogna però obbligatoriamente spiegare anche che a condurre il filo narrativo dei vari eventi è una figura chiamata Master, egli è colui che organizza la storia e dispone l’intreccio narrativo permettendo così una interazione tra i vari partecipanti, dando a ogni personaggio un obiettivo da portare a compimento”.

Qual’è secondo te lo stato di salute della letteratura fantastica, dal fantasy classico all’horror, in Italia?

Come ovunque ci sono ottimi scrittori, che devono però fare i conti con la naturale esterofilia letteraria tipica italiana (almeno in campo horror, giallo e fantasy) e con una situazione economica che passa invariabilmente dalla crisi alla crisi epocale. Ci sono un sacco di persone che scrivono benissimo e non avranno mai l’occasione di veder pubblicati, e quindi letti, i propri lavori. Personalmente, credo che si debba rispettare sia l’esperienza decennale di alcuni scrittori di mestiere che l’entusiasmo di esordienti di talento. La percezione è che oggi da noi manchi invece il rispetto per entrambi.

Che cosa ne pensi in genere dell’editoria nostrana?

Niente.

 

 

 

 

 

 


Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *