Via con gli Spiriti: Laputa – Castello nel cielo


Via con gli Spiriti

Laputa – Castello nel cielo

A cura di Scilla Bonfiglioli

“Nella terra radici piantiamo

Con il vento la vita passiamo

Con i semi l’inverno superiamo

Con gli uccelli la primavera cantiamo

Laputa – Castello nel cielo

 

La rotta è più a nord del previsto.

Rimanete ai vostri posti e attenti ai vuoti d’aria, a queste altitudini sono frequenti. E sono fastidiosi.

Resistete per questo ultimo banco di nubi, non possiamo cedere adesso.

Ecco. Usciamo dalle nuvole.

Alle nostre spalle il Goliate armato del comandante Muska e dei suoi militari ci spara addosso, non possiamo attendere oltre. Dobbiamo correre il rischio e spingerci nel vortice del vento.

Aprite gli occhi, se siete sopravvissuti.

Davanti a noi c’è Laputa.

Si presenta come un castello di proporzioni immense. No, forse è meglio dire a una cittadella fortificata, con i suoi bastioni coperti di rampicanti su cui nidificano gli uccelli, immensi giardini di fiori e fontane, e costruzioni che si arrampicano le une sulle altre.

Conosciamo la terra di Laputa grazie a I Viaggi di Gulliver[1] di Jonathan Swift[2].

Si tratta di un’isola volante abitata da una società di scienziati: gente abilissima nel ragionamento matematico, nell’arte della musica e depositaria di grandi conoscenze scientifiche e tecnologiche, ben più ampie di quelle di qualunque altra società esistente.

Ciò di cui è carente la popolazione di Laputa è il senso pratico, la scarsa capacità del vivere quotidiano. Gli scienziati che abitano l’isola non hanno contatti l’uno con l’altro, vivono ognuno nelle proprie stanze impegnati a lavorare a esperimenti spettacolari quanto innovativi.

Autoreferenziali oltre ogni logica, non sono chiamati nemmeno da loro stessi a provare la veridicità dei loro studi né delle proprie convinzioni e, naturalmente, a non considerarsi responsabili dei loro stessi fallimenti.

La base dell’isola è costituita su una base adamantina e questo rende possibile il manovrarla nel cielo facendo uso di un magnete.

Laputa non è solo un’isola volante, ma una vera e propria terra nomade capace di spostarsi ovunque i suoi abitanti lo desiderino.

Nel romanzo, Johnathan Swift costruisce Laputa in modo da rappresentare l’ottusità e la chiusura dei propri contemporanei. L’allegoria diventa una critica dell’autore alla chiusura della società irlandese del suo tempo che perde di vista la realtà in cui deve vivere.

Questo, per Swift.

Ma noi arriviamo dopo, arriviamo quando tutto è finito. Quando Laputa è deserta, abbandonata e chiunque l’abbia abitata un tempo è ormai defunto.

Siamo arrivati seguendo Sheeta e Pazu.

Sheeta è una bambina, l’ultima erede rimasta della famiglia reale di Laputa. La piccola ha ricevuto in eredità un ciondolo di Gravipietra. Un gioiello in grado di annullare la gravità nel campo d’azione che la circonda: probabilmente ricavata dalla base adamantina raccontata da Swift.

Il gioiello è in grado di localizzare l’antico regno di Laputa, perduto tra le nuvole. Per questo è ambito dai pirati quanto dall’esercito. Due antagonisti potenti sulle tracce della piccola Sheeta.

Il simbolismo dei personaggi utilizzato da Miyazaki è curato con enorme intelligenza.

Laddove i militari rappresentano il rigore, la legge imposta con la durezza e la ricerca del potere da applicare col pugno di ferro, i pirati sono liberi dai vincoli sociali di qualunque tipo e pericolosi proprio perché è impossibile incastrarli nell’ordine urbano e delle sue regole.

La piccola Sheeta deve dunque trovare un equilibrio tra questi due estremi.

Alla luce di quanto detto non ci si sorprende quando i pirati – la vecchia Dola e i suoi figli – si mettono dalla parte della bambina, scortandola e proteggendola fino a Laputa: invincolabili, scelgono in base alle emozioni, piuttosto che alla necessità di esercitare potere sugli altri.

Anche il piccolo Pazu ha la sua valenza simbolica.

Il bambino orfano, che rimane incantato quando Sheeta gli cade tra le braccia (letteralmente) dal cielo, offre alla ragazza la sua amicizia incondizionata e il suo aiuto per tornare a Laputa come regina. Figlio di un aviatore, il bambino ha sempre il pensiero rivolto al cielo: se per la maggior parte del mondo Laputa è solo una leggenda, Pazu sa che il castello volante esiste da qualche parte, poiché gliene parlò suo padre che un giorno lo vide tra le nuvole.

Pazu pensa al cielo, ma lavora nella terra.

Fa parte di un gruppo di minatori e lavora scavando gallerie in un ambiente illuminato solo dal fuoco delle caldaie.

Il simbolismo è semplice: i minatori scavano nella terra, in profondità. Sono costretti, in qualità dello stesso lavoro che fanno, a non potersi fermare sulla superficie terrestre. Devono pertanto andare a fondo, cercare sotto le apparenze.

Allo stesso modo la caldaia (come il falò, il forno, il fuoco sotto a una pentola) possono essere ricondotti allo stesso simbolo alchemico. Quello del crogiolo.

Si tratta di uno strumento (adesso utilizzato nei laboratori di chimica) per contenere composti che devono essere portati ad alte temperature al fine di potersi trasformare, fondere o mutare di stato.

In alchimia i fuoco che cuoce, che brucia, che riduce in cenere ha sempre la funzione di cambiare: simboleggia la capacità di un evento, di un oggetto o di una persona di poter far mutare quello con cui entra in contatto.

In qualità di essere ciò che è, il piccolo Pazu è la persona migliore per andare a guardare sotto ciò che appare, recuperare le verità nascoste e lavorare per cambiare la realtà.

Sheeta non poteva capitare in mani migliori.

Il film di Miyazaki è un viaggio sul ritorno. La necessità è quella di andare o di tornare a Laputa, i personaggi ne sono attratti irrimediabilmente.

La società magnifica di Laputa, il castello di sogno è quello che il crudele Muska definisce “il sogno di tutta l’umanità”.

Agli occhi di noi che osserviamo, Laputa si pone come un paradiso perduto.

Si dice che l’angelo Lucifero fosse l’angelo più bello e splendente (non è certo un caso che il suo nome significhi Portatore di Luce) e fosse il preferito da Dio.

Ma la sua arroganza nel voler risplendere più della Luce divina stessa lo portò a cadere dalla grazia. La leggenda parla di una guerra epica nei cieli che vide contrapporsi l’Arcangelo Michele  e i suoi all’armata di ribelli di Lucifero, costituita da un terzo delle intere legioni angeliche.

La guerra sanguinosa terminò con la cacciata di Lucifero nel punto più lontano dalla magnificenza celeste. In quel luogo precluso alla dolcezza del volto di Dio, Lucifero e i suoi seguaci decaduti costruirono il loro dominio.

“Meglio regnare all’inferno che servire in paradiso” è la celeberrima citazione del poema Paradiso Perduto[3] in cui il poeta e scrittore inglese John Milton[4] ci presenta un Satana terribile e feroce, eppure estremamente romantico, sofferente.

Il dolore è la chiave del sentimento di ritorno al Paradiso: per quanto il più furioso dei demoni sia spietato nei confronti degli esseri umani che odia e sia in collera nei confronti di Dio e degli angeli che lo hanno cacciato, Lucifero sente sempre in sé la penosa necessità di ricongiungersi al luogo cui la sua natura angelica appartiene.

È il sentimento del nostos (νόστος), la struggente urgenza del ritorno a casa che, per esempio, guida Odisseo nel suo viaggio di ritorno da Troia fino a Itaca. Un sentimento che fa affiorare le lacrime agli occhi e stringe il petto nel pensare a luoghi amati e lontani, a periodi trascorsi e non recuperabili, a persone perdute.

A tutto quello che, fisicamente o idealmente, rappresenta la casa, il nido, il porto sicuro che ci appartiene e che per qualche motivo ci è irrimediabilmente precluso.

All’Inferno, il diavolo soffre di nostalgia.

Per Miyazaki il nostos è rappresentato dal ritorno alla terra, da cui il genere umano è ormai troppo separato. Già con Nausicaä della Valle del Vento di aveva introdotti a quello che sarà, per tutta la sua produzione, uno dei suoi temi artistici portanti.

Come ogni Paradiso, anche Laputa deve rimanere lontano quanto basta per non riuscire a metterci le mani sopra, ma abbastanza vicino da poterlo desiderare.

Allontaniamoci, allora, e lasciamo che Sheeta e Pazu portino a termine la loro avventura e facciano quello che è necessario per impedire a Muska e all’esercito di impadronirsi del potere e del valore di quell’antica civiltà.

In quanto a noi, viriamo da questa parte, atterreremo laggiù.

Dopo tutto questo cielo, abbiamo pur bisogno di un po’ di terra.

Possiamo riposarci lì, vicino a Il mio vicino Totoro.


[1] Travels into Several Remote Nations of the World, in Four Parts. By Lemuel Gulliver, First a Surgeon, and then a Captain of Several Ships, noto più comunemente come Gulliver’s Travels, 1726, ed. riveduta nel 1735.

[2] Dublino, 1667 – 1745

[3] Paradise Lost 1667, poema in versi sciolti.

[4] Londra, 1608 – 1674


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