STEPHEN KING – COLORADO KID


COLORADO KID
Stephen King
Sperling & Kupfer, 2005
Pag: 180 Prezzo: euro 10
Giudizio: 

 Trama.

Il Weekly Islander è una storica testata di Moose-Lookit Island, Maine. I due anziani titolari, Vince Teague e Dave Bowie, sono uno scrigno di storie, eccezionali e no, riguardanti la vita del luogo e hanno deciso di scucirsi su quella più misteriosa con Stephanie McCann. La McCann è una ventenne fresca di scuola giornalistica, presente sull’isola per uno stage presso il minuscolo quotidiano. Le attrattive principali del luogo sembrano essere picnic parrocchiali, sparizioni di gatti e amenità varie, non fosse per alcuni fenomeni che costituiscono la mitologia del luogo. Luci apparse all’orizzonte durante una partita di baseball, morti inspiegabili a uno dei picnic parrocchiali e… lui, Colorado Kid.

Si tratta di una storia degli anni Ottanta che parla di una coppia di poliziotti inesperti e di un cadavere chiamato Colorado Kid, di una morte che sembra difficile incasellare con certezza nella categoria omicidi (non c’è movente, non c’è alibi, i tempi sono impossibili e gli indizi non collimano per poco), così come è quasi impossibile poter usare anche quelle di suicidio o di morte accidentale. I venticinque anni che sono passati da allora, anziché portare maggiori chiarimenti ai due giornalisti del Weekly Islander – sempre molto attivi e agguerriti nel loro campo – non hanno fatto altro che ammantare l’evento di un’oscurità difficile da diradare.

Esiste un modo per risolvere il caso, a distanza di così tanto tempo? Forse ci riuscirà Stephanie?

A prima vista il libretto di Colorado Kid appare uno scherzo di Stephen King, come avesse deciso di misurarsi con il noir (o il giallo) tanto per giocare. È breve (180 pagine scarse, caratteri piuttosto grandi, formato pagina ridotto), la storia è estremamente lineare e si svolge tutta all’interno della redazione del giornale, tra la terrazza, il salone principale e il bagno. Non ci sono colpi di scena, non c’è nulla di soprannaturale: lo Stephen King che siamo abituati a conoscere dalle sue opere precedenti (questa è del 2005) sembra essersi assentato per qualche mese.

Eppure, si può considerare Colorado Kid un piccolo capolavoro, soprattutto in riferimento ad alcuni elementi che lo caratterizzano. Proviamo ad elencarli.

Lo stile. Asciutto, diretto, senza fronzoli, è capace di conferire al lettore un’idea precisa dei caratteri e delle storie dei due protagonisti principali, i giornalisti Teague e Bowie. A King bastano poche frasi e qualche decina di parole sistemate al posto giusto per creare dei personaggi più che credibili, che lasciano percepire un passato fatto di ricerca appassionata e grande dedizione al proprio mestiere. Abbiamo a che fare con due vecchietti simpatici, spigliati e che sanno il fatto loro. Vince Teague ha novant’anni, Dave Bowie ne ha sessantacinque (anche se sembra coetaneo del collega) e Stephanie ne ha ventidue. Cosa possono combinare tre personalità simili in un pomeriggio dedicato al mistero? Confrontarsi, senza dimenticare che la ragazza è lì per uno stage.

La conclusione dello stage della ragazza presso la sede del piccolo quotidiano diventa, infatti, occasione di “scuola”. Il mistero di questo sconosciuto uomo del Colorado che, cinque o sei ore dopo essere uscito da casa sua, è stato ritrovato morto sul molo di Moose-Lookit Island offre il fianco alla disanima delle capacità giornalistiche della giovane, che dovrà sforzarsi di pensare “lateralmente”. In effetti, il caso della morte di quell’uomo è talmente inspiegabile che, per fare un tentativo di lettura degli eventi, ci si deve sforzare di camminare nell’insondabile, nella pura teoria.

Il loro dialogo serrato, quasi privo di descrizioni, rende lo stile di Colorado Kid quasi totalmente diverso da quello di ogni altro romanzo di Stephen King.

Il caso. A prima vista il gioco di Stephen King sembrerebbe dei più facili: prendi un caso inspiegabile, che non abbia né capo né coda ma sufficientemente ambiguo da prestarsi a molteplici spiegazioni, e sarà facile ricavarne un testo capace di tenerti inchiodato per 180 pagine, pur senza arrivare a nulla. Il risultato, allora, sarebbe l’amaro in bocca dopo una lettura deludente, perché se una storia non finisce, la reazione più normale che si possa avere è proprio quella di sentirsi presi in giro. Però… c’è un però.

Però Colorado Kid ha un altro scopo, a mio avviso. Vuole aprire una finestra sulla parte inspiegabile della vita. Al termine della lettura risalta chiaramente il concetto che, volendo, una spiegazione della meccanica con la quale è avvenuto il fattaccio la si potrebbe trovare. Collimerebbe alla perfezione e, tutto sommato, sarebbe spiegabile. Ne rimane fuori, tuttavia, la risposta circa il motivo per cui un uomo felicemente sposato e con un figlio nato da poco abbia deciso di organizzare una precisa sequenza di mezzi, tale da portarlo a morire sei ore dopo su un’isola del Maine. Era scontento della sua vita? Voleva cambiarla totalmente e gliene era stata promessa una migliore da qualcuno? Si era innamorato di un’altra persona? Era diventato pazzo? Tutto potrebbe essere, ma non solo: il dato fondamentale di questa storia è che – forse – una spiegazione non esiste. Siamo così abituati a pensare che la nostra vita sia regolata da razionalità più o meno pura che la possibilità che essa sia casuale o inspiegabile non viene, di solito, nemmeno contemplata.

Il punto focale. A mio avviso, la forza di questo romanzo sta proprio qui. Da un punto di vista tematico, relativamente al genere nel quale si incardina (quello del giallo), King ha studiato un vero e proprio manifesto contro la classica meccanica dei romanzi di genere, quelli dove c’è un motivo per tutto e una Miss Marple o una Agatha Christie sono pronte a uscire dall’armadio per spiegare tutto fino alla fine.

Qui, invece, ogni cosa può ricevere una spiegazione, ma è l’insieme di queste spiegazioni a vacillare. E per quale motivo? Perché una persona agisce di norma con un ben preciso scopo, che da questa vicenda, tuttavia, non è possibile cogliere. È l’assenza di una traccia interpretativa a rendere questa storia una “non-storia”. Uno dei temi ricorrenti in questo breve romanzo è il concetto che esistano due tipi di giornalismo: quello che dà notizia e quello che dà una storia. Qui, al massimo, si hanno delle notizie che, però, non è possibile concatenare in una storia soddisfacente per il lettore, e che, dunque, nessun giornale vorrebbe mai pubblicare, se non al costo di modificarne gli elementi e, in breve, la sostanza stessa.

Colorado Kid è una finestra aperta sulla zona d’ombra della vita quotidiana, su quella parte che è impossibile narrare, senza aprire in continuazione nuove sequenze di dubbi e di interrogativi. Si tratta né più né meno che di una finestra sull’irrazionale e l’inconoscibile. Considerando che questo romanzo è il primo noir esplicito di Stephen King, non possiamo non riconoscere come nella sua prima incursione nel genere sia riuscito a offrirci una chiave di lettura difficilmente rinvenibile in altri romanzi appartenenti al medesimo, e sia stato in grado di spingerne al limite estremo la sostanza, creando un collegamento implicito con le tematiche tipiche degli altri suoi romanzi.


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