Stephen King – Danse macabre – Parte prima


di Fabrizio Valenza.

Come dice la quarta di copertina, Danse macabre è un’opera “che è diventata un piccolo classico, un cult, nella quale un autore a sua volta di culto celebra l’horror definendone gli archetipi in una ridda in cui danzano, tenendosi per mano, letteratura e z-movies, leggende metropolitane e cinema d’autore, serie Tv, fumetti e perfino le figurine“.

L’occasione. Pubblicato nel 1981, si tratta di un vero e proprio saggio, il primo del Re, che ci aiuta ad addentrarci non solo nell’immaginario che ha costruito la fantasia dell’autore, ma anche nelle strutture che regolano la narrazione cosiddetta dell’orrore. L’occasione della stesura fu una proposta allettante che gli fece l’amico Bill Thompson, colui che gli aveva pubblicato i primi romanzi (Carrie, Le notti di Salem, Shining, A volte ritornano e L’ombra dello scorpione) e che lo aveva seguito nei suoi primi scritti, quando ancora il Re non era edito. Gli instillò il cosiddetto tarlo, proponendogli di scrivere un libro sul fenomeno dell’horror, come lo vedeva lui. Vi immaginate la mente vulcanica di King già al lavoro dopo soli cinque minuti dalla proposta, diviso tra l’attrazione e il terrore per l’idea?

Ci pensò a lungo, dice, sebbene temesse che un simile lavoro gli avrebbe portato via moltissimo tempo. Alla fine, ovviamente accettò. En passant, vi indico due follie contenute nelle prime pagine del saggio, giusto per farvi capire come vanno le cose in America.

King aveva già pubblicato quei cinque capolavori che avete letto poco più su, tra parentesi, ed era già ricchissimo da far schifo. Eppure insegnava ancora scrittura creativa e teneva corsi di letteratura all’Università del Maine. Quando si dice, l’umiltà di un grande!

Seconda follia: vi riporto un brano contenuto a pag. 3, nella Prefazione alla prima edizione.

[…] Scherzavo con mia moglie, dicendole che tra poco avrei dovuto passare parecchio tempo davanti a un bel po’ di gente a parlare di un argomento in cui mi ero sempre orientato con l’istinto, come un cieco. Anche se molti dei libri e dei film discussi nelle pagine che seguono sono adesso normale materia di studio in molte università, io ho letto i libri…

Non ho completato il periodo, lo so, perché ciò che mi preme sottolineare è segnato in neretto e corsivo. Scordatevi che in Italia possa accadere lo stesso, non esiste! All’Università la letteratura fantastica del ‘900 non entra, se non in rarissimi (sarebbe più corretto scrivere “quasi nulli”) casi. In America, invece… Andiamo avanti.

Per concludere l’argomento “occasione” del saggio, la conferma che accettare la proposta di Thompson sarebbe stata un’ottima idea gli venne dal successo delle sue “lezioni”, e il saggio gli sarebbe servito per quadrare il cerchio.

La struttura.

Dopo una bellissima introduzione di Antonio Faeti (L’archivista) e un interessante pezzo introduttivo di Gianni Canova (Quando lo schermo si fa nero), il saggio inizia.

Due prefazioni di King, quella alla prima edizione e quella all’edizione tascabile, ci preparano ad accogliere le sue parole sulla grande letteratura dell’orrore, sulla scoperta della via di sangue e paura che attraversa il cinema, i libri e l’immaginario popolare del mondo occidentale negli ultimi decenni.

Il primo capitolo è ampiamente biografico. 4 ottobre 1957, e un invito al ballo è tra le pagine più belle scritte dal Re. In esse pulsa l’amore per le origini, sebbene Lui si giustifichi con l’umile affermazione che “l’autobiografia di un padre, scrittore ed ex professore di liceo sarebbe noiosa da leggere” (pag. 23), andando direttamente al cuore di quella situazione esistenziale magmatica nella quale si forgiano i grandi autori. Un guadagno di questa sua narrazione è che “i romanzi, i film, i programmi della Tv o della radio – perfino i fumetti – che si occupano di horror si svolgono sempre su due livelli. Alla superficie c’è il livello grossolano […]. Ma su un altro livello, ben più potente, l’orrore davvero diventa una danza, una ricerca continua, ritmica. Ed è alla caccia del luogo dove tu, lettore o spettatore, vivi al tuo livello più primitivo. […] L’orrore è arte? Su questo secondo livello, sì, non può essere altro; […] è in cerca di ciò che chiamerei punti di pressione fobica. Il buon racconto di orrore danzerà fino al centro della tua vita e troverà quella porta della stanza segreta di cui solo tu credevi di conoscere l’esistenza: come hanno fatto notare sia Albert Camus sia Billy Joel, lo Straniero ci rende nervosi… ma ci piace indossare la sua faccia, in segreto” (pagg. 15-16).

Il secondo capitolo, Storie dell’Uncino, sviluppa il guadagno precedente, mettendo in luce con attenzione particolare i tre differenti livelli dell’orrore. Cito:

“La cosa più vicina a una definizione o a una razionalizzazione che intendo dire è il suggerimento che il genere esiste su più o meno tre livelli distinti, ognuno un po’ meno fine del precedente. L’emozione più fine è il terrore, quell’emozione evocata dalla storia dell’Uncino e anche dal venerando classico La zampa di scimmia. In tutte e due le storie non si vede niente di tremendo. […] Ciò che vede la mente rende queste storie dei quintessenziali racconti di terrore” (pag. 33).

“(I) fumetti dell’orrore degli anni Cinquanta rappresentano per me ancora oggi l’epitome dell’orrore, quell’emozione di paura che giace sotto al terrore, un’emozione un po’ meno fine, perché non interamente mentale. L’orrore invita anche a una reazione fisica mostrandoci qualcosa che è fisicamente sbagliato” (pag. 33).

“Ma esiste anche un terzo livello, quello della repulsione. È qui che si colloca la scena di Alien del mostro che esce dal torace di un uomo” (pag. 34).

E ancora:

“Quindi: prima il terrore, poi l’orrore, e in fondo il frizzante riflesso della repulsione. La mia filosofia, in quanto scrittore di horror, è di riconoscere queste distinzioni per la loro utilità, ma di evitare ogni preferenza per l’una o per l’altra o di fare classifiche” (pag. 36).

Stephen King nota (e mi sento di concordare con lui) che l’orrore va per la maggiore e si diffonde maggiormente nei periodi di grandi crisi politiche ed economiche. Mi viene da pensare a ciò che sta vivendo il nostro Paese oggi, e a come in effetti l’horror in Italia stia conoscendo una nuova stagione. Molti sono i nomi recenti che stanno aggiungendo titoli e bei romanzi horror alle librerie italiane.

Molto convincente, inoltre, la sua spiegazione del mostro: sarebbe quasi ogni aberrazione umana, fisica o mentale, una mostruosità che ci affascinerebbe perché piacerebbe al “conservatore repubblicano con giacca e panciotto che è dentro ognuno di noi”. Nella sostanza, il creatore di horror è un agente della normalità, perché ci indica il limite all’interno del quale muoverci per non scardinare gli stipiti della nostra casa mentale.

(continua…)


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