Stephen King – I vendicatori


I VENDICATORI
Stephen King
Sperling & Kupfer, 2010
Pag: 414 Prezzo: 10,90 €
Giudizio:

Trama.

È un pomeriggio estivo a Wentworth, nell’Ohio, e in Poplar Street la vita scorre normale quando, all’improvviso, un’esplosione di malvagità e di inaudita violenza si abbatte sulla piccola comunità. I suoi abitanti perlomeno i sopravvissuti – si accorgono con orrore che il loro mondo si è fatto alieno, che tutto appare sovvertito. Solo una casa sembra indenne dalla furia che devasta ogni cosa; una casa particolare, dove una donna e suo nipote lottano, ormai allo stremo, contro una forza che si sta impossessando di loro.

La caratteristica di questo romanzo che salta subito all’occhio è la sua godibilità. Una storia godibile per la sua evoluzione, una storia godibile nei suoi intenti, nata per gioco e per esperimento. Ludica perfino negli aspetti più inquietanti e nascosti della storia.

Scritto contemporaneamente a Desperation e con i medesimi protagonisti principali, I vendicatori situa i personaggi, che lì erano all’interno del mondo già conosciuto di King, quello che appartiene all’universo della Torre Nera con le incursioni di demoniaci abitanti nell’aldiquà, in una realtà alternativa costituita da Poplar Street e dalle case che la corredano, ognuna delle quali rappresenta una differente situazione di vita. Tutta la storia accade lì, nello spazio di poche decine di metri, con una concentrazione spaziale e temporale che sa di esperimento.

I drammi cittadini sono la specialità del Re del Brivido, e in questo caso non delude. Tuttavia, l’aspetto divertissement è fondamentale. Protagonista principale è un bambino, Seth, che viene invaso da uno degli ospiti inquietanti che sono sepolti nella Cava chiamata China Pit. Tak il Ladro, Tak il Crudele, Tak il Desposta vuole finalmente entrare nel mondo e lo fa attraverso la mente e le possibilità del piccolo, creando situazioni non solo tragico-drammatiche, ma anche grottesche. Il colpo di genio di Stephen King sta nel mostrare quale possa essere il livello di crudeltà insito nei giochi dei bambini, quando vengano privati del loro limite tutto dovuto all’età e all’immaginazione, e trasposti nel mondo degli adulti. Tak ritiene di poter entrare in una mente libera e ingenua per poterla sfruttare al meglio, avendo il livello minimo di difese rispetto a una mente adulta, e Seth è costretto a fare ciò che Tak gli impone, realizzandolo tramite la cultura e le conoscenze di cui il bambino è a conoscenza.

È in questo modo che i programmi televisivi e i fumetti prendono vita, snocciolando le loro assurde trame, talvolta insensate agli occhi di un adulto, nelle strade attigue alle case in cui avviene la tragedia. L’abilità di King sta tutta nel modo in cui riesce a inserire l’assurdo e l’incomprensibile nella normalità, spostando sempre più in là il livello di sopportazione dei personaggi, che si trovano a dover fare i conti con la suscettibilità di un animo infantile.

Ma come già accade in altri romanzi del Re, la chiave di risoluzione sta proprio nell’ingenuità d’animo del protagonista e nella passione con cui è in grado di fronteggiare i problemi. La battaglia procede così su due livelli: uno tutto fisico, fatto di illusioni letali, quelle dei mostri televisivi che irrompono nella calma di Poplar Street, mietendo vittime; un altro tutto mentale, interno a Seth, che riesce ad approfittare dei momenti in cui Tak si ritira, potendo così comunicare con la zia e con chi cerca di abbattere il nemico, e interno a chi gli sta attorno, che di colpo si trova isolato dal resto del mondo civile, proiettato in una grande illusione dalla quale non sembra possibile uscire.

Il gioco-legame tra I vendicatori e Desperation viene sottolineato anche da altri particolari, quali le copertine, realizzate da Mark Ryden, bravissimo pittore surrealista (autore, tra l’altro, della bellissima copertina del cd di Michael Jackson Dangerous), parti di un unico dipinto che rappresenta a sinistra la tipica cittadina americana sconvolta dalle fiamme e dalle intrusioni dei personaggi televisivi, e a destra una simile cittadina preda degli orrori desertici della provincia americana più cupa. Un altro aspetto singolare consiste nell’aver presentato il romanzo come scritto da Richard Bachman, lo pseudonimo ucciso una decina d’anni prima, e resuscitato per l’occasione d’un romanzo che vuole principalmente divertire. Non che Bachman sia risorto veramente. Certe cose non accadono, sembra voler dire King, quando ci presenta una nota editoriale in principio di romanzo, a nome Charles Verrill, dove si sofferma a spiegarci come fu la vedova di Bachman, tale Claudia Eschelman, a rinvenire il manoscritto nascosto in soffitta.

FABRIZIO VALENZA


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