Stephen King – Cell


Stephen King
Sperling & Kupfer, 2006
Pag. 503
Prezzo: 18€
Giudizio:

Trama.

Un segnale elettronico denominato “impulso” fa il giro del mondo attraverso i i telefoni cellulari, con il tremendo risultato di cancellare in un attimo le conquiste effettuate dalla razionalità umana nell’arco dei millenni. La popolazione della Terra viene ridotta quasi totalmente a uno stato primitivo, comandato dal puro istinto animale. Tra gli esseri umani, solo alcuni riescono a scamparla, ma devono fare attenzione per porsi al riparo da quelli che nel romanzo vengono chiamati “telepazzi”. In effetti, i telepazzi rivolgono la loro violenza contro chi ancora telepazzo non è.

Clay Riddell, fumettista, non usa il cellulare, e questo fa la differenza. Riuscitosi a salvare dalle violente aggressioni di Boston, cerca di tornare a casa nel Maine, dove spera di ritrovare sani i suoi famigliari. Il cammino di ritorno è punteggiato di nuove conoscenze, di condivisioni e paure. Tom, Alice, Jordan, rispettivamente un gay, una ragazza e un bambino, diventano la sua nuova compagine sociale. Sono proprio Alice e Jordan ad avere delle intuizioni sulla nuova strana società umana che si sta formando dopo l’impulso ad opera dei telepazzi.

I telepazzi stanno lentamente evolvendo verso una società basata su istinti gregari, con l’aiuto di capacità mentali, liberate dal reset della mente. Clay e il suo gruppo vengono sempre più visti come una minaccia. Nel contempo, i telepazzi arrivano a sviluppare un nuovo grado di evoluzione con una aggregazione di individui guidati da una più lucida capacità mentale, una capacità di parlare e pensare più efficace, che li rende la nuova specie padrona del mondo.

La situazione si fa di pagina in pagina più difficile e drammatica, fino a quando…

L’inizio di Cell è uno dei più violenti e scioccanti mai letti in un romanzo. Con una precisione del dettaglio e una capacità senza eguali di infondere il terrore, Stephen King ci accompagna tra i primi effetti dell’espandersi dell’epidemia. Cellulari che suonano come d’abitudine, persone ignare che rispondono, assassinii violenti e improvvisi che proliferano alla luce del sole. Le prime cento pagine sono una continua fuga da Boston, vissuta dal punto di vista di Clay, alla ricerca della sicurezza in una società che ha perduto il minimo senso di civiltà. Il male colpisce a partire da ciò che più caratterizza l’essenza di una società: la pacifica convivenza e la conversazione tra le persone.

Forse proprio lì sta la prima delle chiavi di lettura del romanzo: la narrazione di questa storia allucinante diventa denuncia di una società che, per mettersi in contatto con l’altro, si affida sempre più a mezzi impersonali (una variazione sul tema è costituita dal film Il mondo dei replicanti di Jonathan Mostow, più diretto a porre in questione l’invasione e l’eccessiva preponderanza dei social networks). L’uso del cellulare, sembra voler dire la storia, fa male: uccide i rapporti personali. Dietro questo tipo di lettura è possibile sentire la risata dello zio Steve mentre ci avverte di usarli con cautela. Eppure proprio qui sta il punto: quale futuro può avere una società che si illude di eliminare le distanze, utilizzando una tecnologia che dà l’illusione della presenza, che paradossalmente libera il nostro io più profondo, facilitandoci l’espressione di qualunque pensiero o emozione con l’artificio di non trovarci direttamente di fronte alla persona cui ci stiamo rivolgendo?

Un’altra implicita critica del romanzo sembra essere diretta alla società della massificazione, dell’omologazione, al mondo della globalizzazione che elimina le differenze, resettando le menti delle persone su una lunghezza d’onda che è quella della tecnologia di massa. Nuovi mezzi modificano la mentalità, così come l’invenzione della stampa permise di aumentare la cultura delle persone e, prima ancora, la scrittura permise lo sviluppo delle facoltà mentali. Ed ecco il secondo interrogativo sul nostro futuro: quale società salterà fuori dal diffondersi senza limiti di tecnologie che eliminano sempre più il nostro contatto diretto, ma che – contemporaneamente – spingono i nostri comportamenti su traiettorie tracciate dalle esigenze della tecnologia? Un sms spinge a rispondere, subito. Un cellulare permette di rintracciare, chiunque, ovunque. Non solo, un cellulare modifica il nostro rapporto con l’altro, dandogli la forma di una velata dipendenza.

Difficile non rendersi conto, poi, che il terzo aspetto evidente del romanzo è legato alla paura per le azioni terroristiche diffusasi dopo l’11 settembre. Il nemico che non si vede ma che è tra noi (di “comunista” memoria, si leggano romanzi come Gli invasati di Jack Finney, del 1954, e Io sono leggenda di Richard Matheson, del 1955, entrambi genitori di questo romanzo) è ritornato, più pericoloso di prima perché in grado di colpire al cuore la civiltà occidentale, con un odio che non è nemmeno veicolato da ideologia, ma da una religione.

Cerco di spiegarmi meglio. Opero una voluta distinzione tra ideologia e religione (sebbene spesso si finisca per comprendere la seconda nella prima, sbagliando). Per ideologia intendo ciò che ebbe a dire Napoleone Bonaparte nel suo discorso del 1812, riferendosi agli idéologues:

“È alla ideologia, a questa tenebrosa metafisica che ricercando con sottigliezza le cause originarie, vuole su tali basi fondare la legislazione dei popoli in luogo di adattare le leggi alla conoscenza del cuore dell’uomo e alle lezioni della storia, che vanno attribuiti tutti i mali che ha provato la nostra bella Francia.”

Perciò non più ascolto della realtà umana ma sovrapposizione forzata di un’idea. Per religione, invece, intendo un impulso che nasce direttamente dal cuore e dall’animo delle persone, che le spinge a legarsi tra di loro per rapportarsi alla sfera del sacro attraverso atti e culti. Nella sostanza, è un modo d’agire anziché un modo di pensare.

La nuova società che, poco alla volta, si crea in Cell come conseguenza del reset dovuto all’impulso, è sospinta da azioni di tipo primordiale, di tipo religioso, che i telepazzi elaborano sulla base di esigenze pratiche, liberate da ogni tipo di ideologia. Il sacro qui è definito dalla nuova società in formazione, nella quale non sono i singoli individui a contare, ma la società stessa, divinizzata.

Da un punto di vista formale, oltre a notare la solita capacità di King di mettere in scena la tragedia a partire dalle singole azioni delle persone, si deve dire che il romanzo è come diviso in due parti. Le prime cento pagine, le più riuscite, sono quelle in cui l’onda di terrore si diffonde, arrivando efficacemente fino al cuore del lettore. Il resto del romanzo, invece, si fa più debole pur mantenendo alto l’interesse, forse soprattutto a causa del suo debito nei confronti di Io sono leggenda. Non è mistero che Matheson sia stato un maestro per Stephen King, ma qui la riconoscenza per la sua scrittura precisa e puntuale arriva a ripetere uno schema già sentito, senza portare nulla di nuovo.

Cell rimane comunque un romanzo da leggere, soprattutto perché rielabora la paura del terrorismo in termini visivi efficaci, permettendo al contempo una riflessione sulle modalità di reazione e sulla speranza che può essere messa in campo dai superstiti dell’impulso. La distanza con la condizione nella quale vive la nostra società non è poi così grande.

FABRIZIO VALENZA


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