Rapunzel – l’Intreccio della torre


Cinquant’anni e non sentirli. Sembra ieri che al cinematografo proiettavano quella che all’epoca fu ribattezzata “la pazzia Disney”, ovvero il primo lungometraggio animato “Biancaneve e i Sette Nani”, era 1938. Molti di quelli che leggono questa recensione – me compreso – hanno potuto apprezzare la raffinatezza di quella pellicola solo in Home Video, ma il peso del viaggio si avverte ugualmente. “Rapunzel, l’intreccio della torre” è il cinquantesimo classico Disney, che è arrivato in sala come una strenna pre—natalizia carica di sfiziose novità, per lo più tecnologiche. Prima fra tutti l’animazione 3D, sempre più limpida, impeccabile nelle simulazioni dei fenomeni fisici come acqua, terra e fuoco, totalmente al servizio dell’azione, agile e scattante come i numerosi inseguimenti contenuti nella pellicola.

Ma il 3D fa scintillare anche la proiezione: indossando gli scomodi occhialini infatti, l’azione sfonda lo schermo e si compie di fronte ai nostri occhi, nel nostro spazio vitale.

Avanguardia quindi, ma senza rinnegare  cinquant’anni di tradizione e alla Disney hanno una formula magica immortale su come costruire un Classico di successo. Ritroviamo in Rapunzel tutti i valori disneyani per eccellenza: il riscatto, l’eterna lotta tra bene e male, la responsabilità che si porta dietro una scelta eroica e rischiosa, il destino mutevole e la vicinanza della famiglia anche quando è distante da noi.

Immancabile è il rimescolamento e la rilettura dei linguaggi e delle tecniche. Gli sceneggiatori Disney non seguono la trama di una fiaba alla lettera, la reinterpretano, la adattano al nuovo mezzo, ne fanno una storia per immagini che può trovare nuova linfa vitale grazie all’animazione. Nella fiaba originale una coppia di sposi desidera ardentemente un figlio e quando lei rimane incinta è colta dalla voglia irrefrenabile dei gustosi raperonzoli del giardino di una perfida megera. Lo sposo viene scoperto e per punizione è obbligato a consegnare la figlia nata di lì a poco alla strega, la quale rinchiude la giovane in un alta torre. Da qui segue la fuga della sventurata ad opera del principe che di lei si era innamorato nel sentirla cantare.

Ben poco è rimasto dell’originale firmato Grimm. Nel Classico Disney entra a piè pari la magia del Sole, che salva una regina incinta e morente e soprattutto ringiovanisce la strega. Sarà questo il movente per il rapimento della piccola: l’eterna giovinezza.

Un’altra principessa allontanata dunque, ma che è tutt’altro che indifesa. I capelli di Raperonzolo (nota di grande merito per gli animatori, mai si erano visti capelli così realistici) sono incantati, conservano la magia del Sole e brillano nell’oscurità. Inoltre sono protesi dalla forza straordinaria, non dissimili dalle braccia di Elastigirl degli Incredibili. Un’eroina con i superpoteri quindi, con in più una grandissima immaginazione, creatività e una vena umoristica eccellente. Chi affiancare a cotanta protagonista se non un principe, sì, ma dei ladri? Sì, il lui eroico è un mascalzone, il più furbo dei briganti, un po’ goffo e un po’ piacione, vittima di gag spassose degne della slap-stick comedy della vecchia Hollywood. Simpaticissima la gag fil-rouge del ritratto da ricercato appeso in tutto il regno col naso sempre sbagliato, e le padellate utilizzate come mezzo di difesa più efficace di una spada affilata.

La storia corre di fronte a noi ben caratterizzata da personaggi di contorno efficaci, come il cavallo da guerra Max che si comporta come un segugio, il piccolo camaleonte amico e ottima spalla comica di Rapunzel, il duo di colleghi briganti maldestri nella loro inarrestabilità, la comitiva di fuorilegge caricature di loro stessi e su tutti lei, la strega Gothel, bella quanto malvagia che invecchia a vista d’occhio tanto da non apparire mai con lo stesso aspetto per più di due volte in tutta la pellicola: in diversi momenti la faccia si scava, i capelli ingrigiscono e l’espressione si indurisce. Ossessionata dall’eterna giovinezza al pari delle nuove generazioni di cinquantenni botox-dipendenti.

Il montaggio è moderno, veloce e sempre sul pezzo, mai scontato e condito da quel pizzico di magia che solo una fotografia solare e scintillante sa dare alle immagini di pixel.

Da sottolineare il ritorno a casa Disney del più famoso compositore di musiche di successo: Alan Menken, che ha fatto cantare tra gli altri una Sirenetta. Si sente il suo tocco fatato nelle melodie, che riportano alle atmosfere del musical americano, con le luci teatrali a sottolineare un momento fuori dalla storia ma dentro i personaggi. Menken, compositore simbolo della Disney ha affiancato il suo genio a parolieri come Schwartz, Ashman e Tim Rice sposando appieno la filosofia del fiabesco rivisitato in chiave pop e melodica.

Si dice che la vita inizia a –anta anni. In genere è una frase consolatoria per il raggiungimento di una età anagrafica sempre più lontana dalla giovinezza. La vita dei Cassici Disney non inizia a cinquant’anni dalla loro creazione, segna semplicemente una tappa fondamentale, una promessa che brilla nel firmamento di Hollywood pronta a regalarci sogni sempre nuovi in Techincolor.

Fabio Cicolani


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