Luca Tarenzi, Il divertimento della scrittura


Una persona che trasmette energia, uno scrittore che cattura il lettore. Luca Tarenzi è una delle voci più autorevoli e vivaci del panorama fantastico italiano. Già autore di Pentar e de Il Libro dei Peccati, ha di recente pubblicato Le Due Lune sempre per Alacran e il romanzo weird Il sentiero di legno e sangue per Asengard.

E dal weird vorrei partire per chiederti: dove stiamo andando? Da dove veniamo? Cosa stiamo facendo? Le grandi domande dell’esistenza umana riportate allo stato di salute del fantasy italiano. Credi che pubblicazioni originali e interessanti come la tua o quelle di autori a te vicini (come Francesco Dimitri) possano essere il segnale concreto di un’apertura della nostra narrativa fantastica anche a proposte meno istituzionali?

 In realtà l’Italia non è mai stata “chiusa” ai filoni della fantasy non classica: già dieci-quindici anni fa Fanucci traduceva e pubblicava China Miéville e Tim Powers, giusto per fare due esempi molto diversi tra loro ma ugualmente discosti dalla classicità. E la gente li leggeva. Se oggi anche gli autori italiani hanno voglia di scrivere in questi generi a me pare solo un bene, e se non è accaduto prima è sostanzialmente perché prima la fantasy italiana non esisteva, come ben sappiamo tutti. Se saranno belle storie, non ho il minimo dubbio che la gente le leggerà, proprio come leggeva – e legge – quelle degli autori stranieri.
E, in generale, insistere un po’ meno sull’ipotetica linea di demarcazione tra “fantasy italiana” e “fantasy straniera” farebbe bene a tutti, anche soltanto per l’umore di tanti lettori. In questo campo, oggi dalle nostre parti vige la moda del “fa tutto schifo”: l’Italia sembra aver scoperto da un giorno con l’altro la Legge di Sturgeon e andarne pure orgogliosa, invece di considerarla quella triste ammissione di fallimento che di fatto è. Se c’è qualcosa che accomuna i lettori italiani di fantasy e gli scrittori italiani di fantasy è una gran voglia di lamentarsi (particolarmente gli uni degli altri, ma non soltanto). Non so a voi, ma a me da piccolo hanno detto che lamentarsi non ha mai risolto un solo problema al mondo.

 2.      Tu sei sicuramente una delle voci più autorevoli di un filone ancora giovane in Italia che è quello dello urban fantasy. Cosa ti affascina di questo tipo di narrativa, in che cosa lo senti vicino? 

“Voce autorevole” mi fa un po’ pensare al preside di un liceo, e che non credo di meritare il titolo in nessuna direzione possibile… ^_^
Sul fronte della fantasy urbana, quel che affascina me è in realtà un dato apparentemente banale: la compresenza del nostro mondo e di altri. Quando mi va di sognare il fantastico, ho voglia di sognarlo di fianco a me: io vorrei vedere maghi e stregoni mescolarsi ai senzatetto della mia città, satiri rapire i campeggiatori nei boschi qui vicino, dèi di un pantheon morto da tremila anni sedersi al bar sotto casa mia, farsi un Cuba Libre e giocarsi a carte il destino di una nazione. Vorrei un nobile senza soldi del Popolo Fatato come vicino di casa, una vampira come parrucchiera e un angelo in vacanza-premio in giro a fotografare i monumenti, per una volta dal basso.
I mondi lontani dal nostro sono ovviamente affascinanti, a volte in modo grandioso e terribile, ma io mi sento più toccato dall’irruzione di queste cose nel mio mondo. È per questo che insisto sempre sul fatto che le storie di fantastico urbano dovrebbero essere ambientate di fisso in luoghi reali del presente, in città che esistono davvero, come nei fumetti di supereroi per intenderci: solo così si produce l’effetto che ho a cuore. Una storia fantasy ambientata in un mondo “moderno e tecnologico” ma immaginario è una cosa diversa, che a me personalmente interessa meno (chi ama più di me le definizioni chiama quest’ultima tecno-fantasy anziché urban fantasy).
Sono queste le ragioni che mi fanno leggere tutta la urban fantasy su cui riesco a mettere le mani e mi danno pure la presunzione di provare a scriverla. Una volta un amico molto intelligente – che non è uno scrittore – mi ha regalato una piccola, luminosa verità: creare un intero mondo come setting per le proprie storie fantastiche è più complicato, ma introdurre una storia fantastica nel molto reale è più difficile.

3.      Una narrativa che si fregia tra i suoi portavoce di grandi nomi, primo fra tutti Gaiman. Quali sono gli autori che consiglieresti ai nostri lettori?

 Gaiman a parte, mi vengono quattro nomi: Charles de Lint, Tim Powers, Jim Butcher e Clive Barker. De Lint è stato uno dei primi – forse il primo in assoluto – a prendere elementi del fantastico classico per inserirli nel nostro mondo, nella fattispecie traslocando personaggi e situazioni del folklore celtico irlandese nelle città canadesi di oggi. Vero che all’alba del Ventunesimo secolo la sua urban fantasy così “anni Ottanta” può apparire un po’ superata, ma secondo me soltanto perché moltissimi di quelli venuti dopo di lui hanno appunto avuto lui a far scuola. E a parte questo i suoi romanzi rimangono godibilissimi.
Tim Powers è specializzato nel prendere eventi storici ben documentati e costruirci attorno storie fantastiche “segrete”, cioè nel dare di fatti noti a tutti spiegazioni soprannaturali note a pochissimi. È uno che si sbatte parecchio per la ricerca, e il risultato sono romanzi ogni tanto un po’ “lunghi” – anche nel senso del sapore – ma molto realistici e pieni di bellissime trovate. Se non sapete da dove cominciare ad affrontarlo, leggetevi il suo strepitoso Last Call (L’ultima chiamata nell’edizione italiana).
Jim Butcher è un autore urban fantasy “propriamente detto”, che nel suo ciclo dei Dresden Files mette in scena la Chicago odierna popolata di maghi, vampiri, licantropi e mostri di varia natura. La solita roba, direte voi: senza dubbio, ma io non ho MAI trovato nessuno che ve la sappia cucinare meglio di Butcher. Nel suo campo lui è un maestro, punto e basta.
Infine Clive Barker, celeberrimo scrittore horror ma anche autore di autentici capolavori urban tra cui Imagica, Apocalypse e Il mondo in un tappeto, e l’elenco potrebbe continuare.
Chiaro che questa è solo una selezione personale e pensata su due piedi: la urban fantasy è sterminata e chiunque può trovarci quello che cerca, se ci si mette. E anche autori che di solito scrivono altro a volte danno il loro contributo: giusto per fare un esempio molto recente, quest’anno China Miéville ha pubblicato Kraken, che è un urban fantasy a tutti gli effetti, con Londra come scenario, oltretutto divertentissimo e tremendamente immaginoso.
Nota dolente: a parte le opere di Barker e una mezza dozzina di titoli di Tim Powers – peraltro oggi introvabili – di tutti i suddetti non c’è una sola riga in italiano.

4.      Parliamo dei tuoi progetti più recenti e inizierei dal Sentiero: vuoi raccontarci come nasce l’idea di questo romanzo breve?

Dall’impatto – piuttosto violento – di due letture che ho fatto l’estate scorsa: la fiaba di Pinocchio e The Alchemy of Stone di Ekaterina Sedia. Il secondo è un bellissimo, immaginoso, commovente romanzo steampunk che non mi stanco mai di consigliare a chiunque mi capiti a tiro, nel suo genere uno dei libri migliori che mi siano mai capitati tra le mani (giudizio del tutto personale, beninteso, ma che altri giudizi dovrei dare?) Ma anche la prima come opera spiazzante non scherza. Da allora mi è capitato di parlare con più persone che credevano di conoscere la storia di Pinocchio, e invece conoscevano al massimo la versione della Disney, che c’entra meno che nulla con lo spirito della storia originale: Pinocchio è una fiaba che più nera non potrebbe essere, piena di terrore, violenza, mostri e morte. Quanti di quelli che non hanno letto la storia sanno che la Fata Turchina è di fatto uno spirito dell’oltretomba? E non in senso metaforico: è il modo in cui Collodi la presenta, scopertamente.
Dalla voglia di “travisare” la storia di Pinocchio con un immaginario alla Ekaterina Sedia, e da reminiscenze dei miei studi universitari di Storia delle Religioni – la materia della mia testi di laurea – è venuto quell’embrione che, parecchi mesi dopo, è diventato il mio romanzetto.

5.      Mentre con Le Due Lune dai vita ad un progetto che ci auguriamo prosegua, ovvero quello di modellare una tua Milano magica. Vorresti raccontarci qualcosa della genesi del romanzo e dell’idea di rendere “fantasy” una delle nostre città?

In se stesso Le due lune è nato da una proposta precisa dell’editore: scrivere un urban fantasy che avesse un’ambientazione italiana e una ragazza per protagonista. La mia prima reazione è stata: “Va bene, ma sarà una storia di lupi mannari – perché a me piacciono i lupi mannari e non me ne vergogno mica! – e userò solo materiale autoctono.”
Per la protagonista ragazza non vedevo problemi, perché – altra cosa di cui non mi vergogno – mi è sempre piaciuto scrivere di personaggi femminili: mi trovo quasi più a mio agio con una donna o una ragazza come protagonista che non con un uomo. Chiaramente sul momento non sapevo ancora quanto sarebbe stato impegnativo trasformare le mie baldanzose fantasie scrittorie in una ragazza di diciassette anni vagamente credibile…

La questione del setting invece era un altro paio di maniche: perché, mi sono detto, non dovrebbe essere possibile fare anche in Italia quello che fanno gli autori anglosassoni con le loro città, ossia tratteggiare un underground soprannaturale che prenda spunto da elementi del posto senza rendere il tutto ridicolo e/o provinciale? Così mi sono messo a studiare la storia “esoterica” nota e meno nota di Milano, che in parte già conoscevo e in parte ignoravo totalmente, e mi sono trovato lo scrigno del tesoro aperto davanti. Era incredibile, c’era già tutto quel che mi serviva: miti celtici e latini pieni di demoni e mostri, leggende di persone rapite dal popolo fatato, storie documentate di maghi, alchimisti, negromanti, e persino la vicenda di un ipotetico lupo mannaro in un sanguinoso fatto di cronaca della fine del Settecento. Era un setting che già da solo tracimava fuori dai limiti della storia che avevo in mente, e non aveva assolutamente nulla da invidiare a una qualsiasi ambientazione metropolitana d’oltreoceano. In un certo senso, non ho “inventato” il riflesso occulto di Milano: è Milano che mi ha chiesto di descriverlo. 

6.      Lupi mannari, ma non solo. Puoi anticiparci qualcosa del tuo prossimo progetto?

 È una storia che si svolge nella stessa Milano de Le due lune (ci sono anche richiami tra i due romanzi). Parla di una studentessa di veterinaria che raccoglie per strada un demone ferito, di una banda di angeli alle prese con un’operazione clandestina che sta sfuggendo loro di mano, e di una creatura del folklore arabo fuggita in Europa per cercare un po’ di pace, ma che ovviamente non è destinata a trovarne nelle notti di Milano… Rispetto a Le due lune ci sarà più azione, più violenza, più ironia, e forse anche più magia. Non ha ancora un titolo definitivo, ma dovrebbe uscire nei primi mesi del 2011, edito da Salani.

7.      Avendo avuto il piacere di parlarti di persona posso dire di aver riscontrato in te una passione e un entusiasmo notevoli per quelle che sono le esperienze dei giovani (e meno giovani) autori italiani. Hai qualche consiglio per tutti coloro che si affacciano al mondo dell’editoria?

Ignorate i giudizi inutili.
Ignorateli tutti, sistematicamente, che siano critiche o meno. E con questo non intendo andate a leggerveli ogni santo giorno e poi fate finta che non vi abbiano influenzato: intendo proprio non leggeteli neppure. Tutto tempo risparmiato per scrivere o fare altro. Un buon criterio per distinguere l’utile dall’inutile è ricordarsi che la stragrande maggioranza delle critiche – soprattutto quelle pubbliche – non ha lo scopo di aiutarvi a migliorare: ha lo scopo di mettere in mostra chi le muove. Personalmente (e mi perdonino gli amanti del contatto telematico) presto ascolto quasi esclusivamente ai discorsi che mi vengono fatti di persona e/o da persone che conosco.
Non dimenticate mai che internet non è il mondo e il mondo non è internet, e che nell’era di Wikipedia sembriamo tutti straordinariamente colti e preparati su tutto. Siate i giudici e le giurie di voi stessi, ma non prendetevi MAI troppo sul serio.
Per esordire come autori italiani di fantasy questo è il momento migliore e il momento peggiore in assoluto. Migliore perché solo un pugno di anni fa non vi avrebbe ascoltato nessuno, e peggiore perché vi troverete gomito a gomito con un autentico esercito di colleghi, e vi verrà la tentazione di sgomitare. Invece di sgomitare, scrivete. Non abbiate paura di scrivere storie nuove e non abbiate paura di scrivere storie vecchie. “Ho in mente un romanzo fantasy, ma è inutile che lo scriva: parla di una civiltà umana sviluppatasi all’interno del cranio di un’immensa divinità morta. Ma non ci sono né elfi né draghi, perciò non interesserà a nessuno.”
State ridendo?
“Ma che lo scrivo a fare, il mio libro? Parla del figlio di un contadino che scappa di casa e finisce per guidare una ribellione contro il malvagio tiranno delle sue terre…”
State ridendo ancora?
Ragionamenti come questi devono sparire dal vostro database, devono appunto farvi solo ridere. Scrivete le storie che avete dentro. Se sono originali, bene; se non lo sono, bene lo stesso. L’importante è che siano belle storie ben scritte.
Sono il primo a sostenere che un brutto libro in più sul mercato è meglio che un bel libro in meno – c’è gente che ha orrore di simili affermazioni: io rido – ma è chiaro che questo non è nemmeno lontanamente un invito alla sciatteria. Ma se non scriviamo, come impariamo a farlo bene? Solo sui manuali? Se qualcuno vi dice un cosa del genere, ridetegli in faccia e mandatelo (cortesemente, se vi va) a quel paese.
Sulla vostra strada troverete molta più gente intenzionata a scoraggiarvi che a incoraggiarvi. Ma chi persegue un progetto deve – molto semplicemente – crederci più del suo interlocutore, che a volte avrà argomentazioni sensate e a volte argomentazioni stupide. Mettersi a piangere per le prime o perdere le staffe per le seconde non serve a nulla. Scrivere, invece, serve. Inondate il mondo di storie, fino ad annegarli tutti, quelli che vi volevano imbavagliare.
E, soprattutto, NON PRENDETEVI MAI SUL SERIO.

Grazie e buona scrittura!

 

FRANCESCA ANGELINELLI


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