L’acchiapparatti


L’Acchiapparatti
Francesco Barbi
B.C. Dalai Editore, 2010, collana: Romanzi e Racconti
Pag: 466 Prezzo: 18,50€
Giudizio:

Una volta, durante una presentazione di un libro di Licia Troisi, una ragazzina alzò candidamente la mano e chiese all’autrice “Licia, sulla fascetta del tuo romanzo c’era scritto “Dall’autrice numero uno del fantasy in Italia”, credi davvero di essere la numero uno?”. Licia, altrettanto candidamente, rispose “Ma perchè, voi credete a tutto quello che dice la pubblicità?”. Questa acuta risposta mi è rimasta impressa. Erroneamente si crede che quello che è scritto sulla copertina, nella quarta, nelle alette e, non per ultimo, nelle fascette, sia opera dell’autore.
Non è così. Spesso un autore legge quelle cose per la prima volta quando prende la prima copia in mano, bell’e stampata, magari dallo scaffale della libreria.

Ma cosa c’entra tutto questo col romanzo di Barbi? Semplice: lo strillo in copertina dell’Acchiapparatti dice “Un romanzo innovativo che trascende i canoni del genere fantasy” e come aveva ammonito Licia, io ci ho creduto poco. 
E avevo ragione.
Ammesso e non concesso che esistano dei canoni ben precisi a cui fare riferimento quando si parla di Fantasy, il libro di Barbi non li trascende affatto, per il semplice motivo che l’Acchiapparatti NON è un Fantasy, se dovessi per forza etichettarlo, direi che è un romanzo storico con sfumature fantastiche.

Ora, qualcuno – anche l’autore – potrebbe anche irritarsi, perchè il cartello che sovrasta la scansia nel quale il romanzo è collocato dice proprio “Fantasy”. 
Il bello delle etichette è che sono come la maglietta di cotone, quando la lavi poi si stringe oppure si allarga, quindi, alla fine, o ti va stretta o ti va larga.
Fin ora non ho dato un’accezione negativa al mio “accenno di parere” perchè non c’è, a me il romanzo è piaciuto, l’ho divorato, 466 pagine lette in poco più di due giorni.
Mi è MOLTO piaciuto.

E allora il problema è solo l’etichetta?
Certo che no, il problema è che mi ha lasciato molte perplessità e ci sono diverse cose che non ho apprezzato.
Dal punto di vista oggettivo, è ben scritto. Lo stile è scorrevole, pulito, descrittivo al punto giusto, i dialoghi sono credibili e i personaggi tratteggiati con precisione e ironia magistrali.
Partiamo dai personaggi. I protagonisti, sono l’anima di una storia. L’anima de “l’Acchiapparatti” è reale e travolgente, che quasi la puoi toccare.
Barbi ci porta nella narrazione sulla gobba del furbo becchino Ghescik e nella mente contorta dell’acchiapparatti Zaccaria. Le loro personalità sono vibranti, escono dalla pagina al punto che sembra di conoscerli, di intuirli.
Le scene d’azione sono ben orchestrate, ricche di suspence e rocambolesce al punto giusto. I paesaggi a dire il vero un po’ monotoni e ripetitivi, tipici della scarsa civilizzazione dell’Alto Medioevo. 
Ecco, l’ambientazione è quasi miserevole, come lo stile di vita di quasi tutti i personaggi del romanzo.

La struttura è parecchio convulsa, ti trascina e ti tiene incollato, perchè vuoi sapere cosa succede, perchè alcuni lampi di genio messi nei colpi di scena lo rendono avvincente e perchè grazie allo stile scorrevole, difficilmente il cervello ti si intoppa e la vista si affatica.
A onor dello stile dico che non sono MAI dovuto tornare indietro a leggere per capire. Tutte le fasi della storia sono limpide e scorrevoli come un ruscello.

Nonostante tutte queste melodiose note positive, il romanzo non mi ha esaltato, non mi ha fatto sognare più di tanto. 
Primo, per il motivo suddetto, perchè catalogato come fantasy mi aspettavo qualche risvolto fantastico in più, e invece per la maggior parte del tempo mi sono trovato a seguire le avventure di un manipolo di viandanti alle prese con la fame, il freddo, il bisogno di denaro e la curiosità.
Secondo, la poca magia che c’è è spiegata male e il rito magico che fa da filo conduttore – oltre che causa scatenante della storia – è confuso e astratto, non è mai limpido come tutto il resto, rimane sospeso nella fantasia, nelle supposizioni e quando finalmente, verso il finale, qualcuno lo spiega, lo fa in modo pedante infarcendolo di accenni storici inutili – tanto da concordare con Gamara nel voler far fuori Melzo pur che smetta di tergiversare – e quando poi mettono in atto il piano per eliminare questa infernale minaccia scaturita dal rito magico, lo fanno in modo molto pratico e per niente magico.

Sembra quasi che all’autore non interessasse esplorare il lato mistico del fantasy, del SUO fantasy, ma fosse preso più dalla passione per una storia d’azione che cattura le vite di poveri e reietti.

Sì, il più grande neo che meno mi ha fatto apprezzare la storia è questo, anzi, è l’unico. Anche nelle parti in cui si cerca di dare un senso alla nascita del mostro attraverso la lettura del diario dello stregone, è tutto molto caotico e intermittente, anche dovuto al fatto che si vuole lasciare la suspence, ma questo stratagemma lascia un po’ di amaro in bocca, tanto che quando arrivano quelle parti l’ho trovato più come un rallentare la narrazione piuttosto che un arricchimento.

Due cose, infine, sono degne di un sentito elogio: la prima le scene che narrano la vita delle future vittime del mostro. Sono reali e palpitanti, descritte come se i personaggi non fossero marginali. Nel leggerle ti sembra quasi che altrove, in un altro romanzo, quelle storie abbiano uno spazio tutto loro, un background, e che poche pagine siano state inserite in questo libro da quel romanzo che le racconta.
In poche parole quegli sprazzi di vita quotidiana sono vivi.

L’altra cosa è la scelta – questa volta sì fuori dai canoni del genere – di avere come protagonisti, se non tutti i personaggi, gente brutta. Sembra una banalità ma i romanzi fantasy sono infarciti di belloni, “gnokki”, eroi dalla bellezza sfolgorante e dal fascino travolgente. Nella storia di Barbi non ci sono belli, sono tutti sporchi, rozzi, gobbi, matti, deformi, luridi e puzzolenti.
Anche qui, la storia vive di elementi realistici che però nel loro essere a volte grotteschi trascinano un alone di fascinazione non indifferente.
Ah… e poi è autoconclusivo!

Quelli come me, schiavi dell’Happy Ending hollywoodiano, resteranno un po’ delusi, proprio perchè non vivono tutti felici e contenti, ma la loro fine-storia è più che soddisfacente. 

Come concludere? E’ un buon libro, senza dubbio, una lettura piacevole e travolgente, ma a me piace sognare un tantino di più. 

Fabio Cicolani


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