La caccia 2: i signori della Caccia di Salvatore di Sante


Recensione de La caccia 2: i signori della Caccia di Salvatore di Sante

Che cosa hanno in comune dei cyborg, un’elfa, un mago, due licantropi, un troll e un manipolo di esseri umani provenienti da svariate epoche storiche? Apparentemente nulla, se non il fatto di appartenere tutti alla compagine piuttosto variopinta della letteratura fantastica: a smentire quest’assunto giunge prontamente la saga di Salvatore di Sante “La Caccia” edita da Wizards and Blackholes e giunta sin’ora al secondo volume, dal titolo La Caccia 2: i signori della Caccia.

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Lasciata in parte in sospeso la vicenda già delineata nel primo tomo, il secondo atto riporta in gioco tutti gli enigmi di un’isola misteriosa, sormontata da un promontorio dalla forma bizzarra, ma soprattutto testimone di eventi non meno inquietanti, che quanto a precedenti letterari potrebbero forse ricordare le atmosfere tormentate de L’isola del Dottor Mureau di H.G. Wells.

Nel calderone de La Caccia ribolle un po’ di tutto: non solo la curiosa mescolanza di prototipi fantascientifici (e non) già anticipata all’inizio, ma anche il frenetico alternarsi di continui sbalzi spazio-temporali, che fanno sì che sull’isola  si incontrino un pirata del ‘700 e un licantropo dei nostri giorni, oltre che una manciata di alieni bluastri e qualche essere magico strappato ad una dimensione sconosciuta.

Filo conduttore dell’avvicendarsi sull’isola di personaggi di provenienze tanto disparate – spazialmente o temporalmente – è l’assurgere del solitario isolotto a piattaforma di gioco, il cui premio in palio altro non è che la sopravvivenza, e con essa, la possibilità di fare ritorno al proprio mondo e al proprio tempo.

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L’identità nascosta dei Signori della Caccia, cioè di coloro che dall’alto stabiliscono le regole di questo crudele intrattenimento, è un dettaglio che viene per l’appunto svelato nel secondo capitolo della saga, là dove ai toni inizialmente avventurosi si accompagnano le note più amare di una riflessione sulla spettacolarizzazione della violenza, oltre che sulle leggi spietate di un guadagno facile, rapido e del tutto privo di scrupoli, non così diverso da quello effettivamente dominante nell’era contemporanea.

Per gli appassionati di cinema, potrebbe al tal proposito essere utile immaginare una stretta di mano metaforica tra lo sceneggiatore del celebre film d’avventura Jumanji e quello dell’altrettanto conosciuto The Truman Show.

Oltre all’apprezzabile colpo di scena ordito dall’autore, la vera forza di questo romanzo sta nel farsi prova della letterarietà per nulla manchevole del fantasy: non è detto, cioè, che un racconto fantastico debba per forza di cose limitarsi al circolo angusto delle presenze tipiche del genere, senza per questo potersi contemporaneamente affacciare alla grande finestra del mondo reale, dalla quale certamente si scorgerebbero pericoli peggiori delle fiammate di un drago imbizzarrito.

Unica pecca di questa originale soluzione è forse la brevità con cui l’autore si sofferma non solo sulle dinamiche del gioco in sé e sulla psicologia di coloro che vi partecipano, ma in particolar modo sulla risoluzione del mistero: difatti, il risvolto drammatico improvvisamente intrecciatosi all’ambientazione fantastica porta con sé una tale carica ideologica da richiedere qualche riga in più, senza le quali l’adozione di temi tanto considerevoli rischia di tramutarsi solo in un vago accenno.

Recensione di Alessandra Sorvillo

STILE E TECNICA
ORIGINALITA'
PERSONAGGI
GESTIONE DELLA TRAMA
COPERTINA
VOTO PERSONALE
Final Thoughts

Overall Score 3.4