Il Burattinaio di Francesco Barbi


Il burattinaioÈ un piacere recensire questo libro, per vari motivi. In primis perché l’autore mi sta parecchio simpatico, in secundis e più importante perché trovo che il suo stile sia del tutto particolare nel panorama italiano. Sono passate alcune settimane un paio credo dal termine della lettura del libro, ma siccome ero lanciato nella lettura di due trilogie ho atteso. Nel frattempo Francesco ha avuto la brillante pensata di vincere il Premio Cittadella. Beh, lui ha vinto e sapete che c’è? Trovo che sia un premio meritato al di là del fatto che non ho letto gli altri libri in concorso, sebbene quello di Alfonso vorrei leggerlo se lo facesse uscire in digitale. Ah, il digitale! Quanto abbiamo discusso proprio con Francesco per la lunga estenuante attesa dell’uscita della versione elettronica del Burattinaio, versione che ci ha messo più di quattro mesi a vedere la luce (io col mio ce l’ho fatta in soli dieci giorni). Potrei qui lanciarmi in un’invettiva contro l’incompetenza di chi lavora nel mondo dell’editoria digitale, ma vi risparmio la tiritera. Così come farò un veloce riferimento ai prezzi del libro, per fortuna Francesco che è persona intelligente ha portato il digitale a 4€ creando un abisso tra questo e la versione cartacea… 20€. In tempi di crisi proporrei una standing ovation per il direttore marketing che ha avuto questa pensata. Ok, fine delle invettive.

La storia

È ambientata alcuni anni dopo le vicende dell’Acchiapparatti che hanno visto protagonisti degli anti eroi, niente armature scintillanti, niente spade magiche e bellissime elfe. No. Qui se Paolo Barbieri avesse dovuto fare una cover sarebbe andato in crisi. Sì, perché abbiamo il custode gobbo del cimitero Ghescik e un acchiapparatti mezzo matto Zaccaria. Credo che potrei parlare di Zac per ore, uno dei personaggi meglio riusciti della letteratura fantastica da me letta negli ultimi anni, credo che regga bene il confronto con Bartimeus di Stroud, e ho detto tutto. Zac è matto, sì, ma solo mezzo matto. C’è una parte di lui che ha profonde conoscenze magiche, delle quali quasi non si rende conto, conoscenze che lo portano a vivere le vicende del primo libro con gli esiti che non starò qui a ricordare, salvo che alla fine nel corpo del povero acchiapparatti debbono vivere lui, Ghescik che nel frattempo è morto a causa del Boia di Giloc e un terzo soggetto, uno stregone da cui Zaccaria discende Ar-Gular, vissuto molto tempo prima e che ha tutta l’intenzione di prendersi alcune rivincite. Ed ecco che veniamo a noi. Dicevo sono passati alcuni anni e tutto prende inizio dalla città di Olm dove esiste un culto, il culto della Luce. Al solito, questo culto ha un vertice composto da alcuni singolari figuri gli Arconti. Simil-vescovi dai. Questa religione ha un presupposto che definirei “classico”, l’intolleranza. Credo che sia un difetto di tutte le religioni o quasi (sul buddismo potremmo discutere se esso sia più una filosofia o una religione, ma non andiamo fuori tema). Intolleranza che si traduce nell’oppressione e nel tentativo di eradicare tutto quanto l’abbia preceduta. Infine, abbiamo una forte spinta espansionistica e missionaria. Insomma niente che la nostra storia non ci abbia già servito. Ma ecco che entra subito in gioco il personaggio meglio riuscito di tutto il secondo libro. Facciamo una premessa. Secondo me, un personaggio ha degli scopi precisi, essere amato alla follia, incondizionatamente. Pensate a un Aragorn. Oppure odiato. Se ne potrà ammirare il coraggio magari, anche se è un nemico. Ma ognuno ha uno scopo preciso. Ecco. Qui entra in gioco quel gran bastardo dell’Indice. Una sorta di Inquisitore, di braccio armato dell’arconte. Al comando di un manipolo di cinque soldati ultraspecializzati (anche ultradrogati) Pollice, Medio, Anulare e Mignolo. Assieme a loro dei servitori detti Malnati, gente poco piacevole da vedere, ma non voglio dirvi di più. Insomma Indice e soci (che Zinziruk gli faccia venire le pustole al muscolo sfinterico anale!) hanno come missione quella di trovare e portare a Olm Zac e soci e la carcassa del mostro di Giloc. Che dire? Si danno un gran daffare, producendo un numero di sofferenze e lutti non indifferente, dimostrando una notevole dose di sadismo, mettendo infine in moto un meccanismo che poi diventerà il filo conduttore di tutto il libro. Ora il lettore di questa recensione potrebbe pensare che essi siano il Burattinaio di cui si parla nel titolo. Errore! Che allora sia Zaccaria? Manco per idea. Gamara il cacciatore di taglie amico dei nostri anti eroi? L’arconte?  Insomma chi? Non ve lo dico, vi leverei il bello della lettura, diciamo che la cosa è pensata bene e a un certo punto appare evidente chi sia questo burattinaio, ma non subito, non in modo scontato. Inoltre, lui stesso diventerà burattino, nonostante si fosse pensato singolarmente superiore a tutti i sentimenti che lo circondano. Vorrei dire di più sulla storia, ma rischierei di rovinarla o di dare indicazioni fuorvianti, dico solo che è un viaggio, un percorso per molti di coloro che abbiamo già incontrato e per i quali verrà spesso confermata la simpatia; ma anche per i nuovi personaggi, buoni e malvagi, non si fanno sconti, tutti dovranno affrontare il nemico peggiore alla fine di tutto, se stessi.

La lingua

Ora vorrei lanciarmi in un genere di osservazioni che non mi sono proprie, non sono certo Umberto Eco e se avete dubbi vi presento il mio portafoglio che vi confermerà quanto sostengo. Tuttavia, io credo che il modo di parlare dei personaggi sia uno dei grandi punti di forza di questa coppia di libri. Zaccaria mezzo sconclusionato e un po’ matto. Lo stesso Ghescik iracondo e mai riflessivo. Che dire poi di Orgo, il gigante dalla mente semplice che parla una sua lingua fatta di proverbi? Pensare le sue parlate è un pezzo di bravura. Persino quella maledetta carogna dell’Indice è studiato alla perfezione: lui e quella sua dannata esse sibilante che te lo fa sembrare più odioso di quanto già non sia di suo. Anche i personaggi muti non sono da poco in quanto a lingua. No, tranquilli non sono impazzito, mi riferisco al nostro amico l’arconte Ossor che muto e in sedia a rotelle comunica con una persona attraverso i segni e questa persona non ha altro compito che tradurre e che non viene considerata quasi un uomo, ma un’estensione del corpo dell’arconte Ossor, l’Incarnato appunto. Qui anche i muti parlano e lo fanno in modo interessante. Ma il mio divagare sulla lingua non si ferma qui. Ho preso appunti. Trovo che la genialità i Francesco stia molto spesso nelle esclamazioni e nelle strane parole. Ora in quanti romanzi avete letto la frase

Alla vista di Steben che risaliva la scaletta le prese uno stranguglione.

Geniale! E che dire del nano che a un certo punto esclama

Per lo sfintere di Zinziruk, avete dormito come ghiri!

Qui abbiamo il turpiloquio associato a un’immagine assolutamente semplice il dormire come ghiri appunto. O ancora

Uno strattone verso l’alto e sbarbò l’intera struttura lignea.

Altra trovata geniale il dialogo numerico tra Ossor e l’oracolo, ma leggetevela che è meglio.

Il pensiero

Ma questo libro non si limita a raccontare una storia (oserei quasi dire una fiaba per certi versi), no. Maledizione! Francesco Barbi fa pure riflettere! Bestemmia. Ad esempio quando descrive certe scene in cui un ragazzino ricorda come Indice e soci abbiano trucidato i suoi genitori, ecco mi viene immediatamente da pensare a quanto le guerre vedano come protagonisti involontari i bambini, orfani, distrutti dentro, fracassati nel cuore e nell’ingenuità. Pensiamo un attimo alla Siria. E quello non è fantasy signori. Ecco la capacità di questo scrittore (il temine non è a caso credo), sta proprio nel saper con intelligenza passare da scene grottesche e ridicole a momenti tragici, senza mai andare sopra le righe, toccandoti nel profondo. Lo stesso per certe descrizioni dei personaggi, semplici, brevi ma che danno l’idea di come quella persona abbia sofferto:

Osmano non si domandò chi fossero quei tre, ma si limitò a osservare silenzioso la donna. Anche lei doveva averne passate tante in vita sua.

Portatemi le storie

Così dice Gogloc uno dei nuovi personaggi. «Andate dove vi pare,» riprese a parlare Gogloc, «ma portatemi storie. Sapete, io ho sempre creduto nell’importanza e nel potere delle storie» e così chiosa Zaccaria.

Sì, sì, l’abbiamo sognato. Sì, con le storie è possibile raccontare quello che non è stato ancora compreso. O pensato. Sì, pensato. O sognato? … ogni storia, ha mille e mille e mille interpretazioni. Sì, ma questo non significa, no, no che non significa… Non significa che ogni interpretazione possa avere un’esistenza… In fondo una storia serve per rendere pensabile ciò che prima pensabile non era.

E quindi, per Zinziruk ammorbato?

E quindi muovetevi a leggerlo altro non dirò su questo libro se non che non leggerlo è privarsi di un piacere. PS polemico. Ho bisogno che qualcuno mi spieghi per quale ragione metallica legata alla dinamica dei fluidi corporei in un libro digitale non possa essere inserita la medesima cavolo di mappa presente nel cartaceo. E se qualcuno osa dire che non è fattibile che gli vengano le pustole pruriginose. Sì, pruriginose. Ennesima dimostrazione che la gestione dei libri digitali pur semplice viene complicata da persone che non ne comprendono modi e finalità. fine del PS polemico, andate a leggere.

Stile e tecnica
Originalita'
Personaggi
Gestione della trama
Copertina
Voto personale
Final Thoughts

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