Frodo e Gollum – una lettura filosofica


di Fabrizio Valenza.

Una delle pagine a mio avviso sconvolgenti del Signore degli Anelli la troviamo poco dopo l’inizio di questo fantastico romanzo. Giunge silenziosa e quasi come un ladro, a darci l’impronta umana e la statura morale di questo grande capolavoro.

Gandalf sta parlando con Frodo, animatamente gli sta spiegando alcuni momenti della vita di un povero essere che – ancora non lo sa – segnerà la vita del giovane hobbit: Gollum. Racconta che Gollum è stato nella Terra di Mordor. A sentir quel nome Frodo trema e sente i battiti del suo cuore. «Mordor», spiega il mago canuto, «attira tutto ciò che di cattivo c’è al mondo, e l’Oscuro Potere tendeva con tutta la sua diabolica forza a riunire lì tutti i malvagi». Anche Gollum venne attirato laggiù e poi fu preso prigioniero e sottoposto a un interrogatorio. E per suo tramite il Nemico ha saputo che l’Unico Anello è stato ritrovato. Forse ha anche sentito parlare di Hobbit e della Contea. «Mio caro Frodo», gli dice infine, «temo proprio che egli possa pensare che il nome Baggins, a lungo inosservato, sia diventato di colpo importantissimo».

Con una argomentazione lineare e logica Gandalf snocciola il percorso del male, un male subdolo, allevato poco alla volta, che da Gollum – antico Hobbit trasformato dalla malvagità – è giunto fino alla Contea, finanche al nome Baggins. Frodo è praticamente braccato.

Ed è a questo punto che ci viene detto, senza che la cosa sembri poi così spaventosa, che il male è giunto dentro il cuore di Frodo. «Ma è una cosa atroce!», gridò Frodo. «O Gandalf, il più caro e sincero tra i miei amici, che devo fare? Che peccato che Bilbo non abbia trafitto con la sua spada quella vile e ignobile creatura quando ne ebbe l’occasione!»

Ecco: il male ha teso il suo arco e, in realtà, la sua freccia punta contro il cuore del signor Baggins.

Gandalf sta dicendo che nel passato di Frodo – prima ancora che lo stesso Frodo se ne potesse accorgere – Gollum ha già incrociato il suo cammino: lo ha fatto nella vita di Bilbo, suo zio. Ora, in un presente segnato dal nuovo riaffermarsi di potenze maligne su un mondo apparentemente sereno come quello della Contea, quella viscida creatura torna a farsi sentire incrociando la storia di Bilbo. Il compito di mettere al sicuro l’Unico Anello è passato al nipote e sarà lui a doversela vedere con nuovi ed eventuali interventi di Gollum. Per Frodo, Gollum costituisce un “altro scomodo e fastidioso, quasi un corpo estraneo che minaccia il suo mondo, la sua concezione di ciò che è giusto e sbagliato. In effetti, proseguendo di qualche riga nella lettura del brano, Gandalf risponde al deplorevole cruccio di Frodo dicendogli: «Peccato? Ma fu la Pietà a fermargli la mano. Pietà e Misericordia: egli non volle colpire senza necessità. E fu ben ricompensato di questo suo gesto». Ma Frodo è duro e non capisce. Ripete: «Mi dispiace, ma sono terrorizzato e non ho alcuna pietà per Gollum».

Gandalf gli fa notare che non l’ha visto e Frodo, per tutta risposta, gli dice che non ha neppure l’intenzione di farlo. «Non riesco a capirti», prosegue il piccolo hobbit, «al punto in cui è arrivato è certo malvagio e maligno come un Orchetto, e bisogna considerarlo un nemico. Merita la morte».

Un altro cerchio si è chiuso nel pensiero di Frodo. Prima il male ha tracciato la sua strada per arrivare fino in casa Baggins; adesso scava un altro sentiero fin dentro il cuore del giovane Frodo. Il suo mondo è un mondo perfetto, fortemente minacciato da un’entità come Gollum che, malvagia com’è diventata, non può che meritare la morte.

Prima di proseguire nella lettura di questa breve ma straordinaria pagina vorrei proporvi alcune considerazioni che ho tratto dal pensiero di alcuni filosofi del ‘900, in maniera particolare da Emmanuel Levinas.

Un qualsiasi dizionario filosofico ci dà una definizione chiara di cosa sia un “altro”: è ciò che si oppone all’identità. Frodo sembra voler dire: lui è malvagio, io sono buono. Lui merita la morte, io merito la vita. In questo modo, con questa contrapposizione a Gollum, Frodo si definisce con più chiarezza.

La Contea rappresenta un tutto in cui gli Hobbit hanno vissuto per secoli interi quasi del tutto ignari di ciò che accadeva all’esterno. Sono esseri semplici e hanno anche una logica semplice, essenziale e lucida. In questo modo di essere hobbit, a livello filosofico si potrebbe intravedere la struttura base del cogito cartesiano, cioè quello di un soggetto chiuso su se stesso e incurante del mondo e dell’altro uomo. Sebbene la Contea ci appaia un mondo in qualche modo paradisiaco, nella realtà è un ambiente ostile alle novità e alla differenza, in cui non circola nemmeno l’idea che al di fuori dei suoi confini ci sia tutto un mondo da conoscere. Anzi, chi ha nel cuore lo strano desiderio di visitare il mondo – proprio come i Baggins – è visto come uno strano hobbit.

Proprio in risposta a questo modo di considerare l’individuo isolato da tutti e autosufficiente, nel mondo filosofico è nato lo sviluppo del concetto dell’altro, che in modo particolare da Emmanuel Levinas è stato concepito come il vero inizio della filosofia. L’altro uomo è colui che mi fa considerare e pensare a ciò che è diverso da me. Prima di conoscere un mondo differente da quello in cui vivo, c’è un uomo che è differente dalle mie idee, dal mio modo di concepire e di giudicare, e questo uomo è colui che mi chiama a essere responsabile, cioè a dare una risposta ad aspettative che non sono più solo mie.

La responsabilità è la capacità di dare una risposta a quesiti che intervengono non solo dentro di me, ma anche dentro l’altro nella sua differenza rispetto a me. Dunque, da questo incontro con un altro me stesso differente io mi trovo chiamato in causa e costretto a dare una risposta. È solo così che mi viene data la possibilità di fare una scelta. Tornando al nostro Frodo, egli, interpellato dall’esistenza di Gollum per il tramite di Gandalf, ha due possibilità:

  • accogliere Gollum e la sua differenza (con tutto il suo carico di malvagità),
  • respingere Gollum e la sua minaccia (perdendo la ricchezza della differenza).

E abbiamo già visto in quale direzione si muove. Frodo, tentato di scegliere la via della perdita, è sospinto da Gandalf a accogliere la differenza “morale” che costituisce.

C’è un mondo tutto suo, quello della Contea intatta e pacifica, sempre uguale da secoli, che è minacciata dall’esistenza di una creatura. E badate bene, noi sappiamo che Gollum è egli stesso un Hobbit. La Contea è minacciata da un suo figlio che è diventato qualcosa di differente da ciò che era all’inizio, perché ha scelto una strada sbagliata. La sua scelta sbagliata in qualche modo si trasferisce a tutti coloro che incontra. Tutti lo vorrebbero morto. A parte chi è abbastanza cresciuto nella sua identità personale da lasciarsi ispirare da potenze e istanze superiori, come il buon vecchio Bilbo.

Bilbo era più grande di Frodo quando partì per la sua avventura. Ma, bisogna dirlo chiaramente, Bilbo aveva anche una stazza morale ben più solida di quella di Frodo, sebbene Frodo sia tentato di affermare che quella dello zio era tutt’altra avventura. Di avventura si trattava allora come di adesso, ma in realtà ciò che è cambiato è il protagonista.

Abbiamo un Frodo anziché un Bilbo.

Questo, ovviamente, torna a vantaggio della storia che ci permette di scandagliare fin in profondità quel che avviene nel cuore di un hobbit quando viene messo alla prova e, vorremmo dire, ciò che avviene nel cuore di ogni uomo, dal momento che lo hobbit ben ci rappresenta.

Al principio di totalità (che è negazione dell’alterità e fonte di egemonia, egoismo e violenza), e del suo derivato (il totalitarismo), va opposto il principio dell’alterità che non può essere colto dalla ragione se non con una fredda riflessione. L’altro può essere colto solo nel rapporto etico in cui l’alterità dell’altro uomo sia radicalmente riconosciuta e rispettata. Questo è quanto fa Bilbo ed è ciò che riconosce Gandalf.

In effetti, proseguendo nella lettura della nostra pagina di romanzo, l’istaro spiega: «Se la merita! E come! Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze». E poi: «Il cuore mi dice che prima della fine di questa storia l’aspetta un’ultima parte da recitare, malvagia o benigna che sia; e quando l’ora giungerà, la pietà di Bilbo potrebbe cambiare il corso di molti destini, e soprattutto del tuo».

Gandalf dice chiaramente che la pietà di Bilbo (e non un caso fortuito o chissà quale astuzia di Elfi e Umani!) potrebbe cambiare il corso di molti destini. Noi sappiamo quale sarà questo nuovo intervento di Gollum e con il senno di poi potremmo chiederci se si tratti di un’azione benigna o malvagia e, mi faccio preveggente, la quasi totalità di voi risponderebbe indubbiamente la seconda possibilità. Ma quel che mi preme sottolineare è che Gandalf apre a qualcos’altro.

Ancora questo termine che ritorna. Aprire ad altro. In questo caso si tratta di un “altro” di tipo diverso. Non è più un “altro” nell’ordine del creato. Non è una creatura. Ma è un “altro” nell’ordine del divino e del soprannaturale. Aprire a un’altra creatura permette di aprire a un Altro creatore e al Suo intervento. Pietà e Misericordia, dicevo prima, personificano queste due proprietà divine. Furono Pietà e Misericordia a fermare la mano di Bilbo. L’aver accolto l’altro nell’ordine del creato ha permesso all’altro nell’ordine del divino di intervenire nella storia del mondo.

E scusate se è poco.