Recensione L’ultima profezia del mondo degli uomini. L’epilogo.


di Anna Giraldo

L’ultima profezia del mondo degli uomini. L’epilogo.

di Silvana De Mari.

 Ed. Fanucci. Collezione Fantasy

Pagine 400 – €13

Dal 15 novembre 2012

Kail è uno Yurdione. Essere Yurdioni significa essere soldati.

Kail non è ancora un soldato solo perché non ha compiuto dieci anni, ma ogni giorno è costretto a partecipare a uno spietato allenamento per diventarlo.

Così, in una società in cui regnano fame e miseria, priva di cultura, di arte, persino di una lingua scritta, Kail cresce con una madre sfigurata e con un fratello, Ranail, destinato presto a morire.

Gli Yurdioni sono dediti solo alla guerra: non conoscono nemmeno la paternità, la loro forza sta nell’unirsi con molte donne per procreare senza sapere quali saranno le madri dei loro figli. Non avere figli significa non avere nessuno per cui preoccuparsi e piangere, nessuno da amare, una condizione ideale per vincere battaglie, anche le più sanguinose, una condizione ideale per sottomettere i vinti, minacciando e uccidendo i loro bambini.

Eppure nel fiero popolo degli Yurdioni ci sono piccole falle.

Ci sono bambini, rapiti al popolo degli Uomini e domati alla yurdionità, in apparenza solo ulteriori componenti privi di identità per un esercito sterminato.

Anche la madre di Kail costituisce un’anomalia nel mondo anonimo degli Yurdioni: ha rifiutato il suo ruolo di “fattrice” in balia delle voglie dei soldati e per punizione è stata sfigurata con il fuoco e relegata a raccogliere legna nei boschi come tutte le donne che non servono più a nulla. Ma soprattutto ella possiede un oggetto, un giocattolo di legno, decorato rozzamente. Una trottola. È stata tramandata di madre in figlia, in una società dove gli uomini possono soltanto morire in guerra. Sarà l’unica eredità che consegnerà al suo bambino prima di vederlo partire per la guerra.

E Kail farà girare la trottola, il giocattolo elfico per eccellenza. Il disegno a spirale che si forma quando la trottola gira farà crescere in Kail, soldato di infima specie proprio a causa del disonore di sua madre, la curiosità, il desiderio di conoscere sé stesso e gli altri scoprendo così il proprio valore di individuo.

La trottola innesca un circolo virtuoso di tolleranza e compassione verso i conquistati che presto si trasforma anche in amore, l’amore impossibile di Kail per la bella Raniria, costretta a vivere di espedienti per sfamare i suoi fratellini, figlia dell’ultima Strega di Arduin e di un coraggioso guerriero prima mutilato dagli Yurdioni e poi brutalmente giustiziato perché orgoglioso rappresentante del popolo degli Uomini.

Ma altre trottole stanno girando e insinuando una flebile speranza di umanità nel popolo degli Yurdioni: un secondo esemplare è nelle mani del sedicente Negromante Natrink, troppo debole per combattere, troppo innamorato della vita per non cercare espedienti per sopravvivere. Natrink si è improvvisato Negromante, contravvenendo alla lealtà, unico principio sacro agli Yurdioni, e fingendo di sentire le voci dei morti. È diventato un importante consigliere, malvisto dai Generali, ma autorevole e intoccabile per la sua presunta magia.

Nell’intreccio tra le vite di Kail, Raniria e Natrink si avvererà L’ultima profezia del mondo degli uomini: il cammino degli Yurdioni, barbari e bestiali, verso la civiltà e la rinascenza degli Uomini, sottomessi e ormai privati di ogni speranza.

L’epilogo è un romanzo dall’avvio per certi aspetti sconcertante. Come il linguaggio del popolo Yurdione è povero di parole, così il narrato sembra scarno e privo di immagini. Così il libro parte quasi in sordina, come una cronaca storica, asettica, cinica. L’attaccamento alla lettura cresce con Kail, la sua compassione per il popolo degli uomini si fonde con la compassione del lettore per questo personaggio nato dalla non-identità, dalla povertà assoluta sia di spirito che di sostanza, il cui unico privilegio è la stilla di amore di una madre.

Quando nella narrazione entra Raniria, che ha perso tutto, caccia di frodo, si prostituisce, soffre una fame e un freddo bestiali, convive con due maiali che scalderanno e nutriranno i suoi fratelli, tutto l’affetto del lettore sembra convogliarsi su di lei e, magicamente anche quello di Kail.

Kail e Raniria non vengono quasi descritti fisicamente, vivono negli stenti e nella violenza, eppure sono bellissimi, sanno farsi amare, portano a desiderare un lieto fine per loro. Ma come in tutte le storie del mondo il lieto fine c’è e non c’è, alla fine la poesia del narrato (perché alla fine il narrato della De Mari è coinvolgente poesia), si mescola con una storia fatta di vittorie e di glorie in cui Raniria e Kail, ma soprattutto il loro amore, non ci sono ormai più.

Un re Bastardo, frutto di una disdicevole mescolanza, diverso, deriso farà ‘sì che si avveri una profezia fatta di battaglie e assieme di pace, fatta di umanità nella più pura accezione del termine.

Le “fiabe” della De Mari non possono che affascinare il lettore, portarlo con loro, spiegando il senso profondo della vita. Mille accenni e suggestioni, portano indietro a ripercorrere eventi storici realmente accaduti, ma subito nuovi eventi attraggono, trascinano oltre, confondendo e affascinando allo stesso tempo, raccontando una storia originale e anche familiare.

Leggere la De Mari diviene un’esperienza di comprensione della realtà, di riscoperta dell’amore per la vita, distante anni luce dalla letteratura fantasy eppure così intimamente legata a essa.

Un’ultima, ma non meno importante caratteristica nella prosa di Silvana De Mari, è il velo sottile di umorismo benevolo, come quello di una spettatrice attenta, affettuosa e misericordiosa, che vede i personaggi della sua storia cadere e rialzarsi, sbagliare, imparare, rimediare, crescere e ne è orgogliosa, come soltanto una madre è capace di essere.

Pur essendo l’ultimo libro di una saga, L’epilogo è godibile anche separatamente: l’autrice fornisce infatti tutti i dettagli sugli intrecci e i personaggi precedenti necessari a comprendere la vicenda.

Rispetto al primo romanzo, il pluripremiato L’ultimo elfo edito da Salani, e adatto a lettori di tutte le età, la storia di L’epilogo sembra rivolta a un pubblico più maturo, fosse anche solo per la crudezza degli eventi. Detto questo stiamo parlando di un libro capace di emozionare i lettori giovani come gli adulti, così come hanno fatto i capolavori dei mastri del fantasy.

Silvana De Mari è nata nel 1953 in provincia di Caserta e vive a Torino. Laureata in medicina, ha esercitato come chirurgo in Italia e in Etiopia come volontaria e oggi si occupa di psicoterapia. I suoi libri sono stati tradotti in venti lingue. Ha ricevuto i premi Andersen nel 2004, Bancarellino nel 2005, Immaginaire per il miglior libro Fantasy nel 2005 e il premio ALA (American Library Association) come miglior libro straniero nel 2006 per il romanzo L’ultimo Elfo (Salani, 2004), tradotto in tutto il mondo; con L’ultimo Orco ha ricevuto nel 2005 il premio IBBY (International Board on Books for Young People). Con Fanucci Editore ha già pubblicato Il Gatto dagli occhi d’oro, L’ultima profezia del mondo degli uomini e Io mi chiamo Yorsh.

 


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