Saint Seiya Omega Ω


La serie televisiva che non era un pesce d’aprile

 

                              Di Scilla Bonfiglioli

 

 

In Giappone è stato trasmesso, domenica 1 aprile, il primo episodio della serie animata Saint Seiya Omega Ω. Per quanto numerose notizie fossero sfuggite di recente riguardo la serie in programmazione, la data ha fatto sperare che avrebbe potuto trattarsi di un pesce d’aprile particolarmente ben ideato. Purtroppo non è così.

Le anticipazioni promettevano una serie televisiva (le puntate trasmesse su TV Asahi e ideate da un nuovo team creativo della Toei Animation non prevedono un manga di riferimento) di qualità bassa: l’animazione è scarsa, la colorazione piatta e il disegno sfoggia un tratto stilizzato, infantile in maniera esasperante, e ricorda fin troppo da vicino l’anime di Magica Doremi, in cui una manciata di streghette undicenni si impegnano a conseguire successi scolastici alternandoli agli esami di magia. Una scelta ideale per raccontare di guerrieri che sacrificano la vita sull’altare della salvezza dell’umanità. Se i fan di Kurumada sono abituati alle anatomie esasperate e alle tavole dal tratto ruvido, si renderanno conto che al confronto con la grafica di Omega, le tavole del Maestro possiedono la qualità di studi di accademia. Il disegnatore è il quarantaquattrenne Yoshihiko Umakoshi, artista apprezzabile e dallo stile versatile che ha evidentemente deciso di dare il peggio di sé in questa produzione.

Saint Seiya Omega Ω in effetti non è di bassa qualità: è una serie semplicemente orribile. Nemmeno le notizie riguardo lo svolgersi storia hanno tradito le aspettative: erano stati garantiti una trama banale, dei personaggi scontati e un’attenzione scarsissima alla saga Saint Seiya originale. Tutte promesse mantenute.

Nel primo episodio facciamo la conoscenza di Kouga, nuovo Saint di Pegasus.

Dalla Guerra Sacra che ha visto contrapporsi Hades e Athena, è trascorso un numero imprecisato di anni. Saori, l’incarnazione della dea, ha adottato un bambino, il piccolo Kouga appunto (e già ci si chiede che bisogno ci sia di questa trovata narrativa in uno spin-off di Saint Seiya: il cavaliere di Pegasus non è già un privilegiato in ogni caso?).

Madre e figlio vengono salvati provvidenzialmente da Seiya, Gold Saint di Sagittarius, che si getta tra loro e Mars, custode del pianeta Marte. Non si tratta di una guerriera Sailor, ma di un nemico impersonale e mostruoso alle dipendenze del dio Ares, che annuncia in questo modo l’imminente rinascita del dio. Abbastanza triste trovarsi davanti un avversario così insipido, quando Saint Seiya ha abituato tutti da subito a nemici di grande fascino e carisma che si differenziavano dagli eroi solo per la fazione di appartenenza. Se non fosse stato per la grafica di Magica Doremi, il primo grande colpo all’epicità della storia sarebbe arrivato a questo punto.

In questa breve introduzione, ci sono già dei punti che stridono.

A parte la luce riflessa di cui brilla Kouga grazie all’adozione divina, ci troviamo di fronte a Seiya in armatura d’oro, E’ più serio e maturo e, in generale, chiacchiera molto di meno: ha smesso di essere il protagonista che ricordavamo per incarnare, come già Aiolos prima di lui, il modello del perfetto guerriero.

Nella serie classica, avevamo lasciato Seiya in fin di vita, dopo la vittoria contro il dio degli inferi. Gli appassionati sanno che il giovane non è morto, ma che, a causa della maledizione di Hades, giace in stato vegetativo su una sedia a rotelle.

Allo stesso modo, gli appassionati sanno che Seiya non ha mai corso il rischio di diventare Gold Saint di Sagittarius, per quanto l’armatura di Aioros si sia spesso posta in sua difesa durante le numerose battaglie. Nell’ultima contro il dio dell’Oltretomba, Seiya e gli altri Bronze Saint si elevano al massimo consentito dal loro Cosmo e rendono le proprie cloth armature divine, ben più potenti di quelle dorate.

In Saint Seiya Omega, che sembra volutamente ignorare lo svolgimento della serie classica, Seiya sta benissimo e indossa l’armatura del Sagittario come se fosse sua. Lasciando così libera quella di Pegasus per il nuovo protagonista.

Una scelta che lascia l’amaro in bocca: non tanto per un nuovo protagonista (che non poteva che indossare l’armatura di Pegasus, ovviamente, è inutile fare i nostalgici) quanto per la modalità con cui viene presentata. Da un sequel importante ci si aspettava idee più elaborate, meno lasciate andare, per presentare una nuova generazione di Saint. Magari idee che si sprecassero a inventare un collegamento plausibile tra la fine di una storia amata da oltre trent’anni a una nuova in corso.

Se fosse questo l’unico buco drammaturgico, sarebbe una splendida serie.

Nonostante Kouga sia figlio adottivo di Saori e venga percosso brutalmente per almeno metà della puntata da Shaina, una donna dal volto mascherato che picchia come se non ci fosse un domani, il ragazzo sembra ignorare i risvolti del mondo segreto.

Ignora che la madre adottiva sia Athena, ignora del perché una giovane furibonda vada in giro con una maschera sul viso e cerchi in tutti i modi di allenarlo alla lotta, ignora perché Tatsumi, il fedele servitore di Saori, porti degli orrendi baffi da fox terrier.

Quest’ultimo particolare lo ignoriamo anche noi ed effettivamente è un punto su cui non ci faremo domande.

Di fatto, il ragazzo sembra essere assolutamente all’oscuro di cosa sia davvero un Saint e di quale sia il reale potere che è in grado di esercitare attraverso la sempreverde tecnica di bruciare il Cosmo.

Tanto che è sbalordito quando, nel reagire ai colpi di Shaina, il suo pugno scava con potenza inaudita un corridoio cavo dove poco prima sorgeva una collinetta boscosa.

Anche noi ci sbalordiamo insieme a Kouga.

Se non altro perché in Saint Seiya ci ricordavamo di ragazzini sottoposti ai più crudeli allenamenti, alle fatiche più dure per riuscire a padroneggiare il Cosmo. Lo stesso Seiya è passato attraverso le amorevoli grinfie di Marin dell’Aquila e ha massacrato in un’arena un considerevole numero di giovani avversari, prima di essere valutato degno di un’armatura.

Kouga no. Kouga si scopre un Saint per caso, giusto in tempo per cercare di impedire il rapimento di Saori da parte di Mars.

Per spezzare una lancia nei confronti di Saint Seiya Omega Ω, il cliché di Athena rapita appartiene effettivamente alla serie classica. Certo, però, ci si aspettava che, dopo la grande crescita di Saori Kido nell’ultima guerra contro Hades, dopo essere passata sotto gli occhi di tutti da fanciulla viziata a divinità dall’immensa forza d’animo, fosse in grado di non ricalcare esattamente lo schema delle prime avventure, come se Athena avesse dimenticato di avere da poco preso a scettrate in faccia il nemico più oscuro della saga.

Se la continuity non è esattamente il punto di forza di questa serie, possiamo auspicare che per lo meno riprenda le atmosfere del vecchio Saint Seiya, quelle che hanno fatto innamorare fan bambini e adulti?

Nemmeno a dirlo, le speranze sono mal riposte.

Scopriamo infatti che in questi anni di iato sul Santuario distrutto, le modalità di vestire le armature sacre hanno subito un poco piacevole cambiamento. Non vengono più conservate in scrigni austeri e ricevute dopo combattimenti terribili. Adesso possono venire evocate grazie ad eleganti ciondoli che la stessa Athena dona ai suoi prescelti. Potere del cristallo di Pegasus vieni a me, o qualcosa di simile.

Ecco infatti che dal ciondolo s’irraggiano le forme di un cavallo alato che ricorda molto da vicino quello di Sailor Moon e si condensano in una (brutta) armatura di bronzo sul corpo della maghetta Kouga. Volevamo dire del Sacro Guerriero Kouga.

Senza nulla togliere allo splendido Sailor Moon, ci ricordavamo Saint Seiya un pochino diverso.

La puntata si conclude sullo sconforto di Kouga che deve combattere per salvare Saori e su quello dello spettatore. Ma subito il trailer ci informa delle meravigliose novità che incontreremo nella puntata successiva. Faremo la conoscenza di Souma (il futuro Bronze Saint del Leone Minore) che di certo verrà in qualche modo rifornito del suo ciondolo per fare magie.

Gli altri protagonisti che ancora non conosciamo sono Ryuho del Dragone – secondo le indiscrezioni trapelate sarebbe il figlio di Shiryu e di Shunrei – Eden di Orione, il ninja Haruto del Lupo. A completare il quadro, la guerriera dell’Aquila Yuna.

Yuna è un altro pugno nello stomaco dei fan di Saint Seiya.

Tanto per cominciare, parte che sia la sorella gemella di Eris, dea della discordia che vedremo probabilmente al fianco di Ares. Ma gli spoiler lasciano trapelare ben altri particolari.

La ragazza combatte senza maschera, in segno di ribellione contro la tradizione ingiusta che vede le sacre guerriere doversi coprire il viso.

Se la serie Saint Seiya Omega Ω fosse vagamente in continuity con l’universo di Masami Kurumada, sarebbe meraviglioso: si creerebbe un pretesto per scavare un po’ sul significato della maschera, come era già stato fatto in passato. Avremo potuto vedere Yuna dell’Aquila andare da Athena per protestare della traduzione ingiusta e poi vederla presa a calci nelle gengive da Marin, Shaina o June.

Ricordiamo che Shaina Marin e June indossano insieme all’armatura una maschera per celare idealmente la propria femminilità e servire Athena in qualità di guerriere.

Considerano un grande onore indossare la maschera e insieme un grande sacrificio che le eleva agli occhi della dea. Lo dimostrano nel corso dell’opera in più modi. Soprattutto è Shaina che illustra con la sua vita e con le sue azioni quanta forza serva a una donna che è chiamata dalle stelle a diventare Saint.

Yuna è giovane, ribelle e ha una armatura (molto brutta) con le maniche a sbuffo, come una fatina: sembra quindi ovvio che si senta in dovere di disprezzare un simbolo che donne forti come Marin, June e Shaina hanno sempre onorato sputando sangue.

Se l’Omega fosse in continuity con l’universo di Masami Kurumada, Yuna finirebbe per punizione a lustrare la scalinata celeste che conduce ai Dodici Templi dello Zodiaco. Dal momento che non lo è, però, probabilmente Athena ascolterà i suoi capricci, abbasserà la testa e immolerà le maschere delle guerriere sull’altare del politically correct.

In sostanza, Saint Seiya è stato epurato dal sangue e dalla filosofia del sacrificio – un po’ naif, forse, ma estremamente profonda – con cui lo aveva impastato Kurumada.

Adesso è davvero un prodotto per tutti: via i filtri razzisti: ci ricordiamo tutti il pessimo benvenuto ricevuto da Hyoga di Cygnus alla Guerra Galattica, accusato di essere un vigliacco perché “non giapponese”. Allo stesso modo ci ricordiamo di come Seiya venisse deriso al Santuario perché ritenuto indegno dai compagni dell’armatura sacra di Pegasus, in quanto privo dei natali in Grecia.

Via i filtri maschilisti, che se ne vanno con le maschere delle sacerdotesse; quelli assolutisti che insistevano a sostenere che valesse la pena lottare e combattere anche a prezzo della vita per ciò che era importante.

Finalmente anche Saint Seiya è diventato una nuova, colorata e dinamicissima opera che di certo porterà soldi nelle tasche della Toei e intrigherà le nuove generazioni.

Le nuove generazioni, del resto, vanno matte per le maniche a sbuffo e per i ciondoli magici che nascondono (bruttissime) armature.

Il fatto che in Giappone Saint Seiya Omega Ω sia stato comunque trasmesso alle sei del mattino ci fa pensare che forse nemmeno le televisioni nipponiche abbiano puntato troppo sul prodotto.

Di fatto Saint Seiya Omega Ω si è dimostrato a tutti gli effetti un terribile e concreto pesce d’aprile per chiunque abbia mai davvero amato Saint Seiya.


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