Via con gli Spiriti – La Città incantata


Via con gli Spiriti

La Città Incantata

Scilla Bonfiglioli

 

 

“Quando ero piccola mi è caduta una scarpa nel fiume.

Per riprenderla sono caduta dentro anch’io.

Pensavo che sarei annegata, ma l’acqua mi ha riportata a riva.

La Città Incantata

 

Se c’è una cosa che noi non facciamo, è riposarci.

Abbiamo attraversato le valli e solcato i cieli, abbiamo attraversato le foreste. Se pensate di potervi fermare da qualche parte, siete in errore.

Oggi facciamo un trasloco. Cambiamo casa! Non è mai un’impresa facile.

Abbiamo già accompagnato Satsuki e Mei nella casa in campagna dove hanno incontrato Totoro, ormai i traslochi non hanno più segreti per noi.

Questa volta accompagniamo Chihiro e i suoi genitori in una nuova città.

La bambina è molto triste per avere lasciato la sua casa e i suoi amici. Ma simbolicamente il trasloco ha un significato importante: significa che l’individuo sta crescendo. Quindi a Chihiro sta per succedere qualcosa.

 

Dal finestrino Chihiro vede al margine della strada delle casette.

La mamma gli dice che sono altari abitati dagli spettri. Si tratta di una tradizione scintoista. È usanza comune allestire dei piccoli kamidana (“mensole degli dèi”) su cui comunemente si appoggia uno specchio, l’oggetto che meglio di qualunque altro consente di dare una rappresentazione dei kami, gli dèi. Si aggiungono a piacimento oggetti sacri, amuleti e offerte oltre a una serie di elementi tradizionali tra cui sale, acqua e riso.

In alternativa ai templi e agli altari domestici – e persino più sacra dei grandi templi costruiti dall’uomo – c’è la natura. I luoghi incontaminati sono la massima espressione del divino e rappresentano una delle vie per giungere alla contemplazione del sacro.

Quelle che Chihiro vede sul ciglio sono vere e proprie casette per gli spiriti della natura.

 

Il papà di Chihiro sbaglia strada: invece di salire in paese, prende una strada nel bosco. Al termine di essa c’è l’entrata di un palazzo antico, ma è di cartapesta.

La famiglia lo riconosce come uno dei grandi parchi divertimento costruiti negli anni Novanta e poi chiusi all’arrivo della crisi economica. Nonostante la pietra posta davanti alla porta (che nella cultura giapponese significa “non entrare”) la mamma e il papà decidono di varcare la soglia del palazzo e di fare un giro nel parco abbandonato, malgradi le proteste di Chihiro che ha paura. Nonostante nessuno si veda in giro, tra i palazzi e le vie del parco che ricordano una città del Giappone feudale, presto la famiglia trova un locale aperto e colmo di cibo e bevande.

Ancora, Chihiro non vuole bere né mangiare. Ne ha terrore.

Gli istinti della bambina sono intatti: il luna park è il luogo del gioco senza freni, dell’ebbrezza che toglie stabilità. Il parco in cui sono capitati lei e i genitori è l’equivalente del Paese dei Balocchi di Collodi: una trappola. I genitori di Chihiro ci cadono in pieno. Mangiano il cibo degli spiriti e vengono mutati in maiali.

 

Anche Marco in Porco Rosso è stato trasformato in maiale. I genitori di Chihiro vengono puniti per avere mangiato il cibo degli spiriti, per avere dimostrato avidità, golosità, egoismo e incapacità di controllo di loro stessi. Come abbiamo visto in precedenza, il maiale è secondo la tradizione orientale buddhista il simbolo dei difetti dell’uomo.

La metamorfosi in tale animale è di lettura piuttosto semplice.

Da questo momento il padre e la madre della piccola Chihiro sono prigionieri del mondo degli spiriti: i richiami ai miti mediterranei secondo cui chi mangiava il cibo degli inferi era condannato a restare per sempre nell’Oltretomba sono molto forti. Troviamo un’applicazione di questa credenza nel mito di Persephone che viene condotta negli inferi e nemmeno l’onnipotente Zeus è in grado di ricondurla completamente alla madre, tra i vivi: per avere mangiato appena pochi chicchi di una melagrana della tavola di Hades, la fanciulla dovrà dividersi tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

 

Scende la sera e Chihiro è sola. Quello che nel mondo degli esseri umani è un luna park abbandonato, è invece un centro termale in quello degli spiriti e Chihiro ci resta intrappolata.

Piano piano sbiadisce e il suo corpo diventa sempre più trasparente: potrebbe scomparire, umana nel mondo dell’ineffabile, ma incontra il giovane mago Haku che l’aiuta, pur senza ragione apparente. Le dà da mangiare una bacca di mirto, che le permette di prendere consistenza.

Il mirto è una pianta che è da sempre associata al passaggio tra la vita e la morte.

 

Con l’aiuto del misterioso Haku (apprendista alle dipendenze della padrona dell’impianto termale, la strega Yu Baba, e mago capace di mutare in drago la propria forma) la bambina ottiene un lavoro tra gli spiriti che gestiscono l’attività. Il contratto che riesce a firmare la mette in salvo dagli spiriti più aggressivi e dalla stessa Yu Baba che altrimenti l’avrebbero trasformata in un maiale per divorarla. Questo, del resto, è il destino che aspetta i suoi genitori se lei non sarà in grado di aiutarli.

Persino il pacato spirito del ravanello guarda la bambina con troppa curiosità.

Baba è un termine che spesso ha a che fare con le streghe, le fattucchiere, le maghe: questo ci mette in guardia sulla natura della padrona del complesso termale.

Nelle fiabe russe spesso la ragazza che va nel bosco incontra la strega, la Baba Yaga: una vecchia dall’aspetto sgradevole che vive in un castello a forma di mortaio che corre senza sosta su delle zampe di gallina. Questa Yu Baba assomiglia molto alla Baba Yaga. Non ha un castello come quello descritto (curiosamente, lo troveremo invece ne Il Castello Errante di Howl, tale e quale), ma Chihiro deve lavorare per lei duramente, così come le protagoniste delle fiabe russe, per ottenere ciò che vuole.

Inoltre, secondo una leggenda urbana giapponese, quando un bambino come Chihiro scompare senza lasciare traccia da un momento all’altro, si dice che sia stato rapito dagli spiriti. La frase più esatta sarebbe “nascosto dagli spiriti” ovvero kamikakushi[1].

Nascosto dai kami, dagli dèi. Questi dèi in particolare, secondo la tradizione shintoista, sarebbero dei capricciosi kami minori, degli yama no kami o dei tengu che giocano uno scherzo al bambino per divertirsi alle spalle della famiglia preoccupata; successivamente il bambino rapito o perduto si risveglia lontano dal luogo dove è scomparso e non ricorda nulla del tempo intercorso.

La citazione dei tengu, poco sopra, non è casuale e torna a proposito: con il nome tengu in Giappone sono conosciuti degli spiriti della guerra, dotati di grande tecnica militare e di spada, spesso rappresentati come uomini uccello dal lungo naso.

Pur essendo una donna ed essendo dedita a usi più mercantili che bellici, Yu Baba presenta caratteristiche fisiche molto simili al tengu, dal suo lungo naso alla capacità di mutarsi in uccello avvolgendosi nel mantello color della notte.

 

Per suggellare il patto, Yu Baba ruba il nome di Chihiro.

Nel complesso termale, la bambina viene conosciuta come Sen (il cambio nasce dal fatto che la strega permetta alla bambina di mantenere un solo ideogramma tra quelli che compongono il suo nome, Chihiro. Il primo ideogramma, se separato dal successivo, non viene più letto “chi” ma “sen”). Al di là del gioco linguistico, la defraudazione del nome in ambito magico è una pratica conosciuta e pericolosa.

Il nome è molto importante: è ciò che dà alla persona il suo posto nel mondo e spesso le caratteristiche del nome scelto influiscono sul carattere di chi lo porta.

Nei rituali magici e religiosi di molte culture l’imposizione del nome lega o libera la persona, per avere un esempio basta pensare al battesimo cristiano. In altre tradizioni alla maturità dell’individuo veniva conferito un nome da tenere segreto oltre a quello da usare nella vita pubblica. Conoscere il vero nome di una persona significava avere in pugno la persona stessa.

Derubando Chihiro del suo nome, Yu Baba la tiene vincolata a sé. Per tornare libera un giorno, confida Haku alla bambina, non dovrà mai dimenticare come la chiamavano nel mondo materiale.

 

Dapprima la piccola cerca di farsi assumere da Kamaji, l’uomo delle caldaie dall’aspetto spaventoso: si tratta di un vecchio magro e ricurvo con più braccia come un ragno con le quali, dalla sua fucina, mantiene caldo e in movimento l’intero impianto termale.

Abbiamo già incontrato il significato simbolico delle caldaie in Laputa – Castello nel Cielo: dove c’è una caldaia che brucia, c’è un lavoro psichico in atto, una crescita spirituale.

L’aspetto del vecchio e ruvido Kamaji porta a pensare che sia assimilabile a gli tsuchigumo, dei ragni di terra, creature leggendarie della mitologia giapponese descritte come ragni giganti. Apparterrebbero più propriamente alla categoria degli youkai, demoni o apparizioni inquietanti.

Per quanto timore incuta Kamaji al primo sguardo e per quanto il suo carattere sia effettivamente spigoloso, il vecchio prende in simpatia la ragazzina umana e la mette alla prova facendola lavorare con i suoi dipendenti, un gruppo di susuwatari, i corrifuliggine che abbiamo già incontrato durante il nostro ultimo trasloco.

Apprendiamo che nelle terme degli spiriti la vita dei kami e degli youkai dipende dal lavoro svolto: uno spirito che non produce lavoro, che non è utile è destinato a scomparire. Se i susuwatari vogliono continuare a esistere non possono farsi rubare il lavoro dalla ragazza.

 

Sen viene così affidata a una delle tuttofare dell’impianto termale: Rin, che dapprima trova la ragazzina viziata e incapace di lavorare, finisce con l’affezionarsi e nell’aiutarla giorno dopo giorno nella sua permanenza forzata alle terme.

Durante il duro lavoro che le compete (lavare le vasche, accudire gli ospiti, riempire i bagni di acque calde e profumate e lavare i pavimenti) Sen si trova a dover interagire con creature potenti e pericolose.

Il primo incontro significativo è di certo quello con uno spirito del fiume che viene a farsi curare. Si presenta sporco, malato e grondante di fango, tanto che perfino Yu Baba lo confonde con uno spirito del cattivo odore. Occupandosi di lui Sen, con l’aiuto dell’amica Rin, riesce a ripulirlo dell’inquinamento e della sporcizia che lo ammala, risanando così lo spirito che se ne va prendendo la forma di un dragone.

Prima di scomparire, però, lascia a Sen un dono di gratitudine: un piccolo blocco d’argilla che, pare, abbia proprietà magiche.

 

Un secondo incontro è quello con uno spirito maligno, il kaonashi. Lettaralmente il suo nome significa “senza volto”. La creatura si presenta alta e scura, con braccia sottili e con un volto senza espressione costituito da una maschera bianca.

Si dimostra subito attratto da Sen e la segue silenziosamente per giorni, fino a quando non si avvicina abbastanza da offrirle dell’oro per averla per sé.

Gli istinti della bambina sono ancora sani: come aveva intuito l’inganno una volta entrata nel luna park, di nuovo lo sente adesso e non accetta l’offerta del kaonashi.

Lo spirito non può impadronirsi di lei e, pieno di collera, inganna e divora tutti i dipendenti e i clienti delle terme che trova sulla propria strada.

Nemmeno l’intervento di Yu Baba sembra bastare a fermarlo.

Inseguita dal kaonashi ormai fuori controllo, Sen sacrifica parte della sua argilla magica dandogliela in pasto. L’incanto sembra funzionare e lo spirito senza volto restituisce, rigurgito dopo rigurgito, ogni abitante della città termale divorato in precedenza.

Più leggero, il “senza volto” sembra perdere la propria aggressività e segue Sen in un viaggio difficile in cui dovremo accompagnarla anche noi.

 

La causa di questo viaggio è Zeniba, la sorella gemella di Yu Baba che vive lontana dalla città termale, in una casetta oltre la palude.

Il fatto che Yu Baba abbia una gemella è molto interessante.

Si conosce spesso il riferimento alla Dea Madre come triplice, ma spesso si ignora la sua natura duplice. Molti miti invece riportano la natura femminile della dea, della strega e della maga come duplice, raccontata attraverso due sorelle gemelle eppure opposte.

Yu Baba e Zeniba ricalcano molto bene questo archetipo e mostrano così la natura divina dell’anziana che, come nelle favole, è la strega che mette in difficoltà la protagonista da un lato, ma dall’altro le offre gli strumenti per superare gli ostacoli.

Zeniba ci viene presentata come una strega crudele e senza scrupoli in contrasto con la sorella Yu Baba: non esita a maledire Haku, discepolo della sorella, per averle rubato un manufatto magico, né a trasformare in un topo il figlio piagnone di Yu Baba.

Per salvare Haku, ferito a morte da Zeniba, Sen affronta un lungo viaggio in treno, fino alla palude dopo avere dato ad Haku quel che restava della sua argilla magica.

Conoscendo meglio il lato opposto di Yu Baba, scopriamo che invece è proprio Zeniba la sorella più luminosa, dolce e accomodante che si preoccupa di aiutare la bambina e tiene con sé il kaonashi in qualità di assistente, dando anche a questo spirito disadattato un posto felice in cui restare.

 

L’argilla magica intanto ha guarito Haku.

Il giovane drago stregone corre al fondo di palude per riportare Sen alla città termale sana e salva. L’amicizia cresciuta tra il ragazzo dragone e la bambina è tanto forte non solo da annodarli strettamente durante il viaggio di ritorno dalla casa di Zeniba, ma anche da far riscoprire loro un vecchio legame: Sen infatti ricorda, aggrappata al corpo familiare di Haku, di averlo già conosciuto un tempo.

Evoca il ricordo di quando da molto piccola era caduta in un fiume e si era salvata grazie all’acqua che l’aveva riportata a riva. Nel corpo di Haku, adesso Sen riconosce quell’onda e chiama l’amico con il suo vero nome, il nome del fiume Kohaku, liberandolo del patto con Yu Baba che gliene aveva sottratto la parte iniziale.

Kohaku non era quindi un mago dalle sembianze di un drago, ma un vero spirito del fiume come quello pieno di inquinamento aiutato da Sen.

Nella mitologia giapponese il drago è raffigurato come una grande creatura serpentina, in grado di volare e munito di zampe artigliate. È un animale mitologico associato prevalentemente alle precipitazioni e all’acqua. Il suo stesso sembiante, quindi, avrebbe dovuto metterci subito sulla strada giusta per indovinare la vera natura di Kohaku.

 

Adesso Sen è cresciuta. Ha rotto l’incantesimo che legava Haku ed è pronta finalmente per rompere quello che lega lei e riprendersi il suo nome, Chihiro.

Adesso può tornare a casa insieme ai suoi genitori liberati dalla maledizione, ma per farlo deve lasciare il mondo degli spiriti per sempre. Deve ripercorrere a ritroso la strada che ha fatto per arrivare lì, attraverso il luna park. Kohaku le promette che un giorno si rivedranno, ma deve assicurargli che durante il viaggio di ritorno non si volterà mai indietro.

Se lo farà, resterà prigioniera del mondo degli spiriti per sempre.

Queste istruzioni ricordano molto da vicino quelle dell’antico mito di Orfeo, il cantore che discese negli inferi per riportare alla vita la moglie Euridice, morta a causa del morso di un serpente. La musica che suonò alla corte del sire Hades fu così bella che perfino il sovrano nel mondo dei morti si commosse e concesse il ritorno a Orfeo e alla defunta. Sarebbero stati di nuovo vivi e liberi entrambi, a patto che Orefo non si voltasse mai indietro ad accertarsi che la sposa lo seguisse, durante il ritorno. Orfeo fu colto dall’angoscia a metà percorso, però, e non sentendo più dietro di sé i passi dell’amata si voltò a cercarla.

Rompendo il patto, Euridice fu trascinata di nuovo negli inferi per l’eternità.

Fortunatamente Chihiro è più saggia e non si volta.

Possiamo seguire lei e i suoi genitori oltre l’entrata del luna park. L’automobile nuova che avevamo lasciato è coperta di polvere e di foglie.

 

Sono passati molti anni dalla scomparsa inspiegabile della famiglia. E dalla nostra.

Dobbiamo affrettarci adesso, per recuperare il tempo perduto e credo di conoscere un mago che possa aiutarci nell’impresa.

Andiamo.

E, per favore, che nessuno di noi si volti indietro.

 


[1] Il titolo originale del film è Sen to Chihiro no kamikakushi, traducibile con “il kamikakushi di Sen e Chihiro”. Il titolo inglese, Spirited Away, cerca di mantenere questo senso originario. E non è un caso se questo ciclo di articoli sul Maestro Hayao Miyazaki prende spunto proprio da questo titolo.


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