MAMORU OSHII: TRA UMORISMO E CYBERPUNK


di Claudio Cordella

“Che siano esperienze simulate o sogni, le informazioni sono al tempo stesso realtà e fantasia. E, in ogni caso, tutti i dati che una persona accumula durante il corso della propria esistenza non sono che una goccia nel mare”. Kōkaku Kidōtai (Ghost in the shell), regia di MAMORU OSHII, 1995.

Nel corso del progressivo avvicinarsi dell’Italia al vastissimo universo degli anime e dei manga, avvenuto durante gli ultimi 25-30 anni, i fans italiani hanno imparato  mano a mano a conoscere i nomi dei registi più artisticamente dotati. Ad esempio, Hayao Miyakazi e Isao Takahata, fondatori dello Studio Ghibli, sono un duo creativo ormai ben noto anche nel nostro paese. Un altro autore salito alla ribalta presso gli appassionati di anime di tutto il mondo, è quello di Mamoru Oshii, nato a Tokyo l’8 agosto del ’51; artista eclettico che ha saputo dar vita, tra cinema e televisione, a numerosi capolavori. Si tratta di opere che, ognuna a modo suo, è stata una pietra miliare nella storia degli anime fantascientifici per originalità e capacità di innovazione. Mamoru Oshii è sin da ragazzo un fervente appassionato di science-fiction e tale passione viene ampiamente riversata dal nostro nel suo poliedrico lavoro di regista, sceneggiatore, fumettista e romanziere. La carriera di Oshii inizia nel ’76 quando, dopo essersi laureato presso la Tokyo Gakugei Daigaku, lavora per un breve periodo come direttore della programmazione di una radio. L’esperienza però non lo soddisfa affatto e il nostro quindi decide di passare allo studio d’animazione Tatsunoko; quest’ultimo, fondato dal geniale Tatsuo Yoshida (1932 – 1977), nel corso degli anni ha saputo sfornare diversi successi internazionali caratterizzati dal mix tra fantascienza e supereroi come il celebre Shinzō ningen Kyashān (Kyashan il ragazzo androide). Una di queste, Kagaku Ninjatai Gatchaman (Gatchaman, la battaglia dei pianeti) del ’72 – ’74, ha un seguito nel ’78 – ’79 a cui Oshii collabora in qualità di  assistente animatore.

Assault Girls. Colonel, personaggio interpretato dall'attrice Hanako Saeki. Copyright degli aventi diritto.

In seguito nel ’79, sempre per la Tatsunoko, Oshii può fare le sue prime esperienze come regista per Zendaman: una delle serie del ciclo fanta-umoristico Time Bokan Series, incentrato sul tema del viaggio del tempo reinterpretato in chiave demenziale. L’anno dopo però, dopo la scomparsa di Yoshida, vi fu una sorta di diaspora dirigenti e animatori dallo studio Tatsunoko che porta alla nascita di entità concorrenti come la Ashi Production e lo Studio Pierrot, fondato da Yuji Nunokawa e Hisayuki Toriumi. Fu proprio presso  quest’ultimo che Oshii decise di andare a lavorare e dove ebbe l’occasione di prender mano al suo primo grande successo: Urusei yatsura (letteralmente: Quei chiassosi tizi della stella Uru, conosciuto in Italia come Lamù la ragazza dello spazio), di cui cura la regia generale e dirigendo 129 episodi dei 195 complessivi, andati in onda tra il 1981 e l’86 dalla Fuji Television. Lamù, tratta dall’omonimo manga di Rumiko Takahashi, non si limita a mescolare tra loro la fantascienza con un genere di humor surreale, come nelle precedenti Time Bokan Series, ma si concede una feroce satira delle convenzioni della società e dei riti della società giapponese. Ecco che abbiamo cornute principesse aliene in bikini, bizzarre creature d’ogni genere e situazioni “ai confini della realtà” che turbano costantemente la quotidianità di posati padri di famiglia, insegnanti e studentesse innamorate. “Tutto l’impianto narrativo è impostato sulle gag che nascono dalle continue differenze che i personaggi esprimono. È necessario, in prima analisi, porre attenzione al quartiere di Nerima, dove la vita scorre placida e piatta. A turbare questo equilibrio arrivano gli alieni Uru, che prendono in giro l’iconografia tradizionale degli Oni, gli antichi orchi e demoni giapponesi”. MARCO PELLITTERI, Mazinga nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation, ed. Castelvecchi, Roma 1999, p. 350.

Lamù:Beautiful dreamer. Copyright degli aventi diritto.

Il personaggio della sexy-aliena Lamù, ispirato nelle fattezze a una bella modella cantante sino-americana del periodo, tale Agnes Lum, non solo divenne presto celebre in tutto il Giappone ma entrò anche nel cuore dei fans italiani, rimanendo uno dei personaggi più amati di sempre. Un’altra delle particolarità di Lamù è una forte vena citazionista che condisce la narrazione della serie con  personaggi di altri anime, così come di film celebri, in un continuo gioco di rimandi. Oshii ha pure l’occasione di dirigere due speciali dedicati alla serie Lamù: Urusei Yatsura Onrī Yū (Lamù:Only You) del 1983 e l’anno seguente di Urusei Yatsura 2 Byūtifuru Dorīmā (Lamù: Beautiful dreamer); quest’ultimo in particolare è un autentico gioiellino, una storia onirica che affonda le sue radici nella stessa mitologia giapponese. Sempre durante quest’anno Oshii ha l’indubbio onore di realizzare il primo OAV della storia, una miniserie ideata solamente per il mercato dell’home-video: Dallos. In questo caso Oshii cura la regia e scrive la sceneggiatura in collaborazione con lo stesso Toriumi, ispirandosi al romanzo La Luna è una severa maestra (The Moon is a Harsh Mistress) dello scrittore americano Robert A. Heinlein (1907 – 1988). Cinque mesi dopo, Oshii scrive anche il suo primo manga, Todo no tsumari, pubblicato sulla rivista Animage, e l’anno dopo prende vita la sua prima, autentica, prova d’autore prodotta dallo Studio DEEN: Tenshi no tamago, letteralmente Luovo dellangelo, a tutt’oggi inedito in Italia. Si tratta di un film surreale, suggestivo, fortemente onirico e simbolico, che si avvale del pittore e character designer Yoshitaka Amano, ma che alla prova dei fatti si rivela un autentico insuccesso commerciale. Molto probabilmente Oshii, cimentandosi per la prima volta con una trama priva dello humor presente nei suoi lavori precedenti, finisce con il portare nei cinema giapponesi un film sin troppo complesso, di difficile comprensione e pesante.

Tenshi no tamago (L'uovo dell'angelo).Copyright degli aventi diritto.

In definitiva però gli anni ’80 sono un periodo decisamente fecondo per questo regista che inizia nel ’86 la cosiddetta Kerberos Saga: una serie multimediale fanta-militare, costituita da film dal vivo, anime, manga e radiodrammi, ambientata in un universo alternativo. Il primo film di questo ciclo, Akai Megane (The Red Spectacles) del 1987, anticipato dal radiodramma Akai Megane Omachi Tsutsu (While Waiting For The Red Spectacles), rappresenta anche il primo lavoro di Oshii girato con degli attori e non con dei personaggi disegnati. L’anno dopo si unisce al gruppo creativo Headgear, costituito da Masami Yuki, Kazunori Itō, Akemi Takada, Yutaka Izubuchi e Kenji Kawai; quest’ultimo è un eccezionale compositore con il quale il nostro stringerà un robusto sodalizio creativo. Con Headgear Oshii collabora prima alla realizzazione dell’OAV Twilight Q e poi allo sviluppo della serie robotica Kidō keisatsu Patlabor (letteralmente Polizia mobile Patlabor); quest’ultima caratterizzata da un particolare intreccio di realismo e comicità. Patlabor, ambientato in quello che potremmo definire un presente alternativo, segue sia la vita quotidiana in caserma che i casi di una squadra di poliziotti a cui sono stati affidati dei robot giganti: “Labor è la denominazione generale dei robot costruiti per l’industria; vengono utilizzati nel campo delle costruzioni, ma ultimamente sono stati utilizzati anche per commettere crimini comuni. Per questo motivo la polizia ha creato un reparto speciale per combattere questi robot criminali, e il nome di questo reparto è… Patlabor”. Kidō keisatsu Patlabor (Patlabor OAV), regia di MAMURO OSHII (ep. 1-7) e NAOYUKI YOSHINAGA (ep. 7), 1988. Per Patlabor contribuisce alla realizzazione di due serie di OAV, rispettivamente nel 1988 e nel 1992, oltre che una serie televisiva di 47 episodi nel 1989. Il contributo più significativo dal punto di vista artistico di Oshii a quest’universo sci-fi, ambientato in una sorta di presente alternativo robotizzato, è però rappresentato dai due film cinematografici: Kidō keisatsu Patoreibaa gekijōban (Patlabor The Movie) del 1989 e Kidō keisatsu patoreibā the movie 2 (Patlabor 2: The Movie) del 1993. Entrambi i film mostrano un Mamoru Oshii al massimo della forma, grazie ad un’animazione allo “stato dell’arte” e alla colonna sonora del bravissimo Kawai capace di creare delle atmosfere davvero uniche, offre al pubblico dei perfetti fanta-thriller. In particolare Patlabor 2: The Movie, la cui sceneggiatura è scritta a quattro mani da Oshii assieme a  Kazunori Itō, unisce i pregi di una tesissima trama priva di sbavature e di un’animazione spettacolare. Diverse scene di questo film, che sancisce l’ultimo atto della collaborazione di Oshii con Headegear e il suo abbandono di Patlabor, sono letteralmente da antologia. Un montaggio di immagini e musica eseguito secondo i principi della filosofia Zen, alla ricerca di un attimo eterno rubato da una singola inquadratura.

Patlabor 2: The Movie. Copyright degli aventi diritto.

Patlabor 2: The Movie riesce a raccogliere meritatamente un notevole successo, di critica e di pubblico, sia in Giappone che all’estero, aggiudicandosi nel ’93 la palma per il miglior film d’animazione (Best Animated Film) al Mainichi Film Competition. Un prestigioso festival del cinema creato nel ’46 dal Mainichi Shimbun, uno dei maggiori quotidiani del Sol Levante.  Negli Stati Uniti, in una recensione del ’99 sulla rivista online Anime Cafe, ad opera di Daniel Huddleston, Patlabor 2: The Movie viene paragonato ai best-sellers dello scrittore di tecno-thriller Tom Clancy. Dal soggetto originale di questo film Oshii trae anche un romanzo, edito nel 1994 con il titolo di Tokyo War, che sviluppa ulteriormente le critiche di quest’autore all’Occidente industrializzato e alla realtà della guerra nel mondo di oggi, peraltro già presenti nella pellicola cinematografica. Il passaggio dagli anni ’80 agli ’90 vede anche Oshii ritornare alla Kerberos Saga; per prima cosa con il manga Kenrō Densetsu (Kerberos Panzer Cops), iniziato nel 1988 e terminato nel 2000, pur se proseguito nel 2003-’04 con il volume Kenrou Densetsu Akai Ashiato (Kerberos Saga Rainy Dogs). In seguito il nostro ritorna dietro la macchina da presa nel 1991 con Keruberosu: Jigoku no Banken (Stray Dog: Kerberos Panzer Cops), crudo film dal vivo come il primo capitolo cinematografico di questo ciclo. L’anno successiva è la volta della pellicola sperimentale Talking Head: un singolare mistery, ambientato in uno studio di animazione, in cui le riprese dal vivo si alternano con scene disegnate per dare vita a un bizzarro meta-film. Gli anni ’90 sembrano essere un autentico periodo d’oro per Mamuro Oshii: come autore di fumetti scrive nel ’95 il soggetto di Seraphim: 2-Oku 6661-Man 3336 no tsubasa (Seraphim – 266613336 Wings), manga disegnato da Satoshi Kon (1963 – 2010), anch’egli regista e fumettista di talento, recentemente scomparso a causa di un tumore al pancreas.

Il Maggiore Motoko Kusanagi. Copyright degli aventi diritto.

Sempre nel ’95 viene chiamato dalla Bandai Visual e dalla Production I.G per dirigere Kokaku kidotai (letteralmente Squadra Mobile Corazzata d’Attacco, conosciuto in Italia come Ghost in the Shell), film d’animazione tratto dall’ominimo fumetto cyberpunk di Masamune Shirow. La sceneggiatura nasce da un’ennesima collaborazione con Itō, mentre la colonna sonora, decisamente orientaleggiante nei motivi e nello stile, è ancora una volta di Kawaii. Ghost in the Shell è un autentico capolavoro, capace di riprendere e rielaborare le complesse tematiche scientifico-filosofiche del manga di Shirow incentrate sulle problematiche poste dalla cibernetica e dalle ricerche sull’Intelligenza Artificiale, riflessioni su memoria, identità ed evoluzione della specie. Stranamente però il film non riscosse grandi successi in patria ma divenne ben presto nel resto del mondo un autentico cult-movie. Negli USA  i fratelli  Lawrence “Larry” & Andrew “Andy” Wachowski, i creatori della trilogia di Matrix, si son esplicitamente ispirati a Ghost in the Shell nella creazione della loro trilogia cyberpunk. In Italia la prestigiosa rivista di sci-fi Urania, all’epoca diretta da Giuseppe Lippi, ospitò nel maggio del ’97 una recensione dell’edizione italiana del film, uscito direttamente in VHS per il mercato dell’home-video: “Motoko Kusanagi è un’agente cybernetica appartenente alla Sezione 9 la cui struttura è stata modificata così profondamente da non restare che uno Spirito racchiuso in un Guscio di componenti meccaniche. Eppure Motoko, nella sua lotta contro un supercriminale informatico noto come il Signore dei Pupazzi, vive un’avventura dove all’azione si sposano perplessità e sentimenti umanissimi. Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Erano domande che già si ponevano i replicanti di Blade Runner e che, nella vicenda splendidamente realizzata in questo film di animazione, raggiungono una drammaticità ancora maggiore”.

Batou e Motoko della Sezione 9. Copyright degli aventi diritto.

Di recente, nel 2008, Oshii è ritornato a intervenire su questo suo capolavoro ma non tanto per regalare ai suoi fans un autentico director’s cut di Ghost in the Shell quanto piuttosto, in omaggio al gusto imperante di oggi, un pesante restyling a base di grafica computerizzata. Intanto negli anni ’90 il nostro è diventato un’autentica potenza all’interno della Production I. G: qui non solo dirige nel ’96 un’altro film sci-fi con attori, Remnant 6, ma ha pure la possibilità di crearsi uno staff tutto suo, il cosiddetto Team Oshii. Il risultato di una simile concentrazione di sforzi, sia produttivi che artistici, vede la luce nel 1999 con Jinrō (Jin-Roh: Uomini e lupi), un fanta-thriller appartenente alla Kerberos Saga e in particolar modo ispirato al manga Kenrō Densetsu. In questo caso Oshii si dedica alla stesura del soggetto e della sceneggiatura del film, preferendo affidare la regia a un suo giovane allievo, Hiroyuki Okiura. Il risultato è una storia cupa, iper-violenta, priva delle speculazioni cyberpunk di Ghost in the Shell. Jin-Roh che ruota attorno ad una umanità dolente. L’accurata descrizione di un universo nel quale carnefici e vittime si scambiano vicendevolmente il ruolo, in bene e male non sono affatto nettamente distinti ma coesistono all’interno di un’informe zona grigia. Siamo negli anni ’60 ma in una realtà alternativa in cui la Germania nazista ha conquistato il Giappone, una nazione scossa da lotte feroci in cui la storia d’amore tra il triste e solitario Kazuki Fuse, membro delle forze di polizia corazzate Kerberos Panzer Cops, e la giovane Kei Amemiya,  non può che concludersi in tragedia. Tutti mentono, nessuno escluso, e non vi è alcuna pietà per i deboli. In un continuo rimando, attraverso citazioni dirette nei dialoghi o riferimenti inseriti all’interno della trama, scopriamo che è la favola di Cappuccetto Rosso, nella sua versione più sanguinaria, a costituire lo stesso filo conduttore di Jin-Roh. Ad esempio, i terroristi che accendono qui e lì per le vie di Tokyo i focolai della rivolta utilizzano delle giovani donne, dette Cappuccetti rossi, per trasportare gli ordigni esplosivi di cui hanno bisogno per compiere i loro attentati. Fuse, un uomo solitario alle prese con i mille dubbi che tormentano la sua coscienza, è in realtà un membro di una cerchia interna dei Kerberos, uno spietato Jin-Roh (cioè un “uomo-lupo”). La stessa Kei, presentatisi a Fuse come la sorella di una Cappuccetto rosso fattasi esplodere dinanzi all’impietrito poliziotto, è una terrorista che ha scelto di collaborare con le forze dell’ordine, finendo però con il diventare una vittima di forze più grandi di lei. Quest’anime, così amaro e tetro, riesce a partecipare a numerosi festival cinematografici assai noti a livello internazionale come il Future Film Festival di Bologna e la Berlinale.

Jin - Roh. Copyright degli aventi diritto.

Mostrando un notevole eclettismo, Oshii abbandona momentaneamente cyborg e truppe corazzate per i vampiri: nel 2000 scrive il romanzo Kemonotachi no yoru (letteralmente La notte delle bestie), da cui poi trarrà la sceneggiatura per il mediometraggio Buraddo Za Rasuto Vanpaia (Blood: The Last Vampire). Anche in quest’ultimo caso, come per il precedente Jin-Roh, Oshii preferisce affidare la regia a un suo uomo di fiducia, in questo caso a Hiroyuki Kitakubo. Chiusa la parentesi relativa ai succhia-sangue  il regista nipponico ritorna ad affrontare temi a lui più consoni legati allo sviluppo delle nuove tecnologie e alla realtà virtuale con Avaron (Avalon), film dal vivo di coproduzione nippo-polacca incentrato sulle peripezie di un’abile giocatrice di videogames, Ash. Quest’ultima è divisa tra la propria vita quotidiana, che porta stancamente avanti in uno squallido appartamento, e la realtà virtuale a sfondo bellico di Avalon all’interno della quale è una formidabile guerriera solitaria. Con grande maestria, aiutato dalla colonna sonora medievaleggiante composta dal solito Kawai, Oshii plasma un desolante universo monocromatico dalla tinta color seppia, un luogo in cui i confini tra reale e virtuale iniziano a perdere significato. Avalon beneficia di una distribuzione internazionale, viene presentato in anteprima nel 2001 al Festival di Cannes. Di recente ha persino avuto una sorta di seguito: Assault girls (2009), molto più adrenalinico e grottesco dell’originale.

Assault girls. Gray (Meisa Kuroki). Copyright degli aventi diritto.

In tema di sequel già nel 2004 Oshii ritorna all’universo di Ghost in the Shell con Inosensu (noto con il titolo internazionale di Ghost in the Shell 2: Innocence, tradotto in italiano come Ghost in the Shell: L’attacco dei cyborg); praticamente una versione all’ennesima potenza del suo prototipo di cui esasperando sino all’inverosimile le originarie caratteristiche visive e narrative. La grafica computerizzata domina incontrastata mentre le tematiche filosofiche vengono inserite di peso, quasi brutalmente, nei dialoghi arrivando sino all’assurdo, con gli agenti della Sezione 9 che citano aforismi a ogni piè sospinto, nemmeno fossero professori di filosofia in libera uscita. In tema di ritorni il 2006 vede questo regista rivolgere ancora una volta la sua attenzione alla Kerberos Saga,  questa volta da un punto di vista decisamente originale, con Tachiguishi-Retsuden: bizzarro film che riunisce animazione digitale e fotografia (la cosiddetta tecnica superlivemation), incentrato sulle peripezie di alcuni leggendari scrocconi, abilissimi nel non pagare il conto al ristorante. Un progetto decisamente più serio, ispirato all’omonimo romanzo di Hiroshi Mori, è Sukai Kurora (The Sky Crawlers – I cavalieri del cielo); un anime dal ritmo lento, introspettivo e complesso. La lentezza, a volte estenuante, di The Sky Crawlers, lo sfondo fanta-militare ucronico e la presenza di una storia d’amore tragica accomunano per certi aspetti questo film a  Jin-Roh da cui si distacca per un ancor più accentuata analisi della psicologia dei personaggi e ad un esplicito rischiamo alle tematiche della filosofia esistenziale. Nel presente alternativo di The Sky Crawlers la guerra tra le nazioni è stata sostituita da una sorta di war games planetario organizzato da apposite compagnie private. I soldati destinati ad essere massacrati in questi scontri sono i Kildren (Kirudore o Kill-dolls nell’originale), esseri prodotti dall’ingegneria genetica destinati ad un eterna adolescenza, almeno sino al momento in cui non vengono massacrati in battaglia. I Kildren di The Sky Crawlers sono dei piloti di antiquati aerei a elica, macchine niente affatto moderne ma adatte a dar vita ad emozionanti duelli che vengono trasmessi in televisione a uso delle masse. Il protagonista,  Yūichi Kannami, continua a interrogarsi sulla natura del suo “Io”, sulla sua memoria e sulla natura della realtà che lo circonda, compiendo un percorso analogo di scoperta di sè stesso analogo a quella compiuto dalla Motoko di Ghost in the Shell. In buona sostanza si può dire che The Sky Crawlers rappresenti una sorta di summa dell’arte di Oshii e che ha buon ragione nel 2008 partecipa alla 65a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e al Toronto Film Festival.

The Sky Crawlers. Copyright degli aventi diritto.

In seguito Oshii si occupa della stesura della sceneggiatura dell’anime Miyamoto Musashi soken ni haseru yume (Musashi: The Dream of the Last Samurai), incentrato sulla vita avventurosa del samurai Miyamoto Musashi (1584 – 1645). L’ultimo lavoro di questo regista relativamente alla sci-fi è però il cortometraggio Je t’aime; la malinconica odissea di un cane alla ricerca di una presenza umana attraverso un mondo post-apocalittico nel quale la nostra specie è scomparsa. Je t’aime ha già partecipato in Francia, lo scorso giugno, al Annecy International Animated Film Festival 2010.

Avalon. Copyright degli aventi diritto.


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